lunedì 30 novembre 2015

Kings of Broadway al Palace Theatre


Il giovane produttore e direttore d'orchestra Alex Parker è uno dei nomi più promettenti del West End e la sua cura per il dettaglio e la passione per le grosse orchestre lo porteranno molto lontane. Dopo aver organizzato un meraviglioso concerto per il quarantesimo anniversario di A Little Night Music in gennaio, Alex Parker torna al Palace Theatre con un nuovo concerto in onore dei tre idoli di ogni amante di musical che si rispetti: Stephen Sondheim, Jerry Herman e Jule Styne.

Stephen Sondheim è il leggendario compositore di musical come Sweeney Todd e Follies e librettista dei classici West Side Story e Gypsy; Jerry Herman ha scritto alcuni dei più grandi classici dell'epoca d'oro di Broadway, come Hello, Dolly! o Mame. Jule Styne, che di Gypsy ha scritto la colonna sonora, è invece autore di canzoni famosissime, tra cui Diamonds are a girl's best friend.

Per questo concerto, non a caso chiamato Kings of Broadway, Alex Parker ha convocato un imbattibile gruppo di artisti, i membri della gioventù dorata del West End e stelle consolidate: Alistair Brammer, Michael Colbourne, Andy Conaghan, Deborah Crowe, Janie Dee, Zoe Doano, Fra Fee, Richard Fleeshman, Bradley Jaden, Claudia Kariuki, Emma Kingston, Peter Lockye, Nadim Naaman, Anna O'Byrne, Caroline O'Connor Jamie Parker, Laura Pitt Pulford, Anne Reid, Caroline Sheen, Celinde Schoenmaker, Laura Tebbutt e Alex Young. Ma la vera star della serata è stata l'orchestra di 32 elementi condotta dallo stesso Parker, un'orchestra che ha eseguito alla perfezione le magnifiche canzoni da musical come Mame, Hello Dolly, Dear World, La Cage Aux Folles, Funny Girl, Gypsy, Gentleman Prefer Blondes, Sunday In The Park With George, Company e Follies.



Un concerto con tutti questi elementi non può certo sbagliare e Kings of Brioadway decisamente non lo fa: tiene incollato il pubblico per oltre due ore e mezza con una sfilata meravigliosa di showstoppers. Canzoni come I Am What I Am, I Won't Send Roses, I'm the Greatest Star, The Party's Over sono state eseguite alla perfezione e nel cuore del secondo atto lo show si è letteralmente fermato per il suo momento clou. Le cinque star del concerto sono entrate e, una dopo l'altra, hanno mandato in delirio il pubblico con le loro esibizione mozzafiato. A cominciare ci ha pensato Caroline Sheen con una splendida If You Hadn't, But You Did, seguita dall'ironica Janie Dee con la sua aggressiva Ladies Who Lunch e da Anne Reid con I was Beautiful. A completare in carismatico quintetto, Caroline O'Connor ha cantato una struggente Time Heals Everything prima di lasciare il palco a Laura Pitt Pulford e alla sua People che non ha niente da invidiare a Barbra Streisand.

Kings of Broadway è stato un concerto meraviglioso con una serie di grandi canzoni splendidamente eseguite e, personalmente, non vedo l'ora di scoprire quale sarà il nuovo progetto di Alex Parker.

sabato 28 novembre 2015

Bend It Like Beckham - The Musical al Phoenix Theatre



Sognando Beckham è sicuramente una delle commedie inglesi più amate ed è ricordato dai più come il film che ha consacrato Keira Knightley. Da qualche mese il film è stato riadattato in un omonimo musical con musiche di Howard Goodall, versi di Charles Hart e libretto di Gurinder Chadha e Paul Mayed Berges in scena al Phoenix Theatre.

La trama è quella del film: Jess è una ragazza indiana che vive a Londra con la famiglia e ha un solo sogno, il calcio, e un solo idolo, Beckham. Con buona pace dei genitori contrariati, Jess entra in una squadra di calcio femminile grazie all'aiuto di Jules e conosce il tenebroso allenatore Joe, con cui instaura una solida amicizia o forse qualcosa di più. Ma il contrasto tra i propri sogni e le ambizioni della famiglia porterà Jess ad attuare scelte importante...

Per ovvi motivi un musical sul calcio sembra destinato al fallimento nel momento stesso in cui viene messo in scena, eppure Beckham gioca d'astuzia: di calcio in scena se ne vede pochissimo, eppure il tutto è fatto con tanta grazie che uno non se ne accorge neanche. Questo anche grazie all'ottima regia di Gurinder Chadha (già regista e sceneggiatrice del film e librettista del musical), che fa funzione anche scene potenzialmente irrealizzabili su un palcoscenico. 

Natalie Dew, che interpreta Jess, era malata la sera in cui ho visto lo spettacolo e la sostituta Sharan Phull è andata in scena al suo posto: bravissima sotto tutti gli aspetti, Sharan canta, balla, recita e gioca a calcio benissimo. L'amica Jules ha le minute fattezze della brava Lauren Samuels, mentre Joe era il sostituto del titolare Jamie Capbell Bower, un poco incisivo Tom Millen. Ruba la scena nei panni dell'esilarante mamma di Jules la veterana Sophie-Louise Dann, ma i genitori di Jess non sono da meno: in particolare il padre, l'ottimo Tony Jayawardena, regala una delle migliori canzoni della serata, "People Like Us". Pinky, la sorella di Jess, canta con la voce favolosa di Preeya Kalidas e Tony, il miglior amico della protagonista, è il simpaticissimo Jamal Andéas.


La colonna sonora è carinissima e ci sono tre o quattro canzoni davvero belle: forse il musical è un po' troppo lungo e non riesce a mantenere l'interesse o la tensione in ogni momento, ma il risultato finale è comunque molto buono.

venerdì 27 novembre 2015

wonder.land al National Theatre

Quante versioni, quanti adattamenti diversi della stessa favola dobbiamo avere prima di inventare qualcosa di nuovo? Tra poche settimane usciranno due nuovi film ispirati a Peter Pan e al Libro della Giungla (okay, non proprio delle favole), ma questo trend di riciclare vecchie storie in modi sempre più imbarazzanti è vivo anche a teatro. L'espressione "rilettura in chiave moderna" mi rende sempre sospettoso, quando poi diventa "rilettura in chiave moderna per criticare l'uso della tecnologia nei giovani" mi pento già di aver comprato il biglietto. wonder.land, in scena al National Theatre, fa proprio questo: prende l'amatissima Alice nel Paese delle Meraviglie e lo trasforma in un aborto tecnologico in cui trama, regia, musica e libretto diventano soltanto uno spunto per gli (ottimi) effetti visivi e scenografie di Rae Smith e dei 59 Productions. Ma andiamo con ordire.

Aly è una ragazzina sola e scontrosa che, dopo il divorzio dei suoi genitori, deve trasferirsi in una nuova scuola. Qui non riesca a fare amicizia con nessuno se non con l'altro emarginato, Luke, e comincia a rifugiarsi nel mondo della tecnologia per sfuggire alla noia e alla solitudine. Capita per caso sul sito wonder.land, un gioco virtuale in cui altri disadattati si rifugiano per sfuggire alla reali o presunte difficoltà delle loro vite. In questo modo, Aly riesce a farsi nuovi amici e l'idillio prosegue finché la perfida preside Manxome non sequestra l'iPhone della giovane protagonista e le ruba l'account di wonder.land per assecondare le sue manie di potere. Scontro generazionale e inevitabile lieto fine per concludere.

Il libretto di Moira Buffini, come potete vedere, è un'accozzaglia di luoghi comuni talmente pacchiana da far rabbrividire e i versi delle canzoni (insignificanti, firmate da Damon Albarn) non sono molto meglio. Una solida regia avrebbe potuto guidare questa nave allo sbando verso acque un po' più tranquille, ma Rufus Norris punta dritto contro gli scogli. Davvero, era talmente cattivo da essere quasi divertente: la trama non si è staccata per un momento dalla lisca di pesce che doveva essere il copione e all'uscita dal teatro non riuscivo a ricordarmi neanche un solo motivetto da fischiettare.



In questa mostruosità ci sono alcuni elementi che si salvano. Anna Francolini è davvero brava nel ruolo di Ms. Manxome e non le sono da meno Carly Bawden (Alice, l'avatar che Aly usa in wonder.land) e Golda Rosheuvel (un'eccellente mamma di Aly). Certo, l'aspetto visivo è davvero spettacolare: bellissimi i costumi, le scenografie e le proiezioni. Ma quando di un musical di quasi tre ore ci si ricordano solo i costumi vuol dire che c'è qualcosa che no va.

domenica 22 novembre 2015

Evening at the Talk House al National Theatre


Dopo quasi vent'anni dalla sua ultima apparizione, Wallace Shawn torna al National Theatre con una nuova commedia scritta e interpretata da lui, Evening at the Talk House.

Dopo dieci anni dal debutto teatrale di un suo flop, lo scrittore Robert (ora affiliato al governo) viene invitato da Tom a riunirsi con gli altri membri dello staff tecnico e creativo della vecchia commedia per celebrare l'anniversario. La rimpatriata avviene nella deliziosa Talk House, un locale un tempo raffinato che ospitava i primi incontri degli allora giovani protagonisti. Con gran sorpresa di tutti, alla riunione si presenta anche Dick: un tempo era un attore di successo, ma negli ultimi anni è caduto in disgrazie ed è finito solo, povero e alcolizzato. Con il passare del tempo, ci si accorge che questo incontro avviene in un futuro distopico in cui un governo misterioso fa uccidere persone ritenute potenzialmente capaci di azioni pericolose. Questi omicidi strategici vengono commessi da comuni cittadini e sono più frequenti di quanto ci possa aspettare: anche la costumista Annette, l'attore Ted e la timida cameriera Jane ne hanno compiuti diversi. E, forse, un'altra futura vittima è presente della stanza...

Credetemi, la trama come ve l'ho raccontata è molto più interessante di com'è sulla scena. Perché, nonostante gli sforzi congiunti di un ottimo cast, Evening at the Talk House è una commedia che davvero non funziona. Sovraccaricata da dialoghi massicci e sconclusionati, il risultato finale sembra il figlio abortito di Yazmina Reza e George Orwell: in un mondo da Grande Fratello si vuole smascherare la bestialità dell'uomo. Per carità, dando a Cesare quello che è di Cesare bisogna riconoscere che ci sono anche un paio di buoni spunti. Peccato che non vengano mai sviluppati e alla fine tutte le corde sfiorate maldestramente risultano più irritanti che altro. E, ovviamente, non poteva mancare il claudicante sub-plot amoroso tra Robert e la cameriera: un amore che, purtroppo, non può realizzarsi perché la donna (comprensibilmente) è troppo scossa a causa di tutti gli omicidi che ha dovuto commettere per poter arrotondare.

Anna Calder-Marshall e Wallace Shawn

Il cast è molto buono, soprattutto Anna Calder-Marshall nel ruolo della padrona di casa Nellie e Sinéad Matthews nella parte della sua aiutante. Ma anche gli ospiti non sono da meno: Josh Hamilton (Robert), Simon Shepherd (Tom), Stuart Milligan (Ted), Joseph Mydell (Bill), Naomi Wirthner (Annette) e l'autore Wallace Shawn (Dick).

Evening at the Talk House è una commedia che prova ad essere sofistica, ma il cui unico risultato è essere inconsistente. Il lunghissimo silenzio tra la fine dello spettacolo e il momento in cui il pubblico ha cominciato ad applaudire ne è la prova... E, credetemi, non era uno di quei silenzi commossi e turbati che capita di sentire dopo aver visto un'opera che fa davvero riflettere. Era solo noia, sollievo e imbarazzo.

giovedì 19 novembre 2015

Harlequinade / All On Her Own al Garrick Theatre

La nuova compagnia di Kenneth Branagh ha presentato, oltre allo stupendo Racconto d'Inverno, una serata con un doppio appuntamento con il commediografo Terence Rattigan: Harlequinade ed il monologo All On Her Own.

All On Her Own mette a nudo l'anima di Margaret Hodge, un'elegante e sofisticata signora dell'alta società che si interroga sulla morte del marito. Tornata già piuttosto alticcia da un party, Margaret comincia a parlare con il marito defunto e, dopo un ennesimo bicchiere di whisky, la donna è posseduta dallo spirito del caro defunto... o almeno lei crede che sia così, ma forse è solo ubriaca. Con il passare del tempo, Margaret cade sempre di più nella disperazione e comincia a interrogarsi sul ruolo che ha avuto nella misteriosa morte del marito: è stato un incidente o lo ha spinto al suicidio? 

All On Her Own era nato come monologo per la televisione nel 1968 ed era già stato adattato per la scena negli anni settanta, ma il nuovo mezzo mette in crisi i limiti del testo. Già fragile di suo, All On Her Own non brilla sulla scena e la mancanza di primi piani televisivi ribadisce l'inconsistenza del monologo. Zoë Wanamaker fa del suo meglio, ma neanche un'attrice del suo calibro può salvare qualcosa che fa più acqua del Titanic e il risultato finale della sua interpretazione riesce ad essere inconsistente quanto il testo. Certo, All On Her Own non annoia, ma forse perché dura solo venticinque minuti...

Zoë Wanamaker è Margaret in All On Her Own

All on Her Own crea uno strano contrasto con Harlequinade, una farsa davvero perfetta. Debuttata nel 1948, la commedia racconta dei coniugi Gosport, una celebre coppia di attori che - pur non essendo più esattamente adolescenti - continua a riscuotere successo in provincia con un Romeo e Giulietta decisamente sopra le righe. Come da copione, la prima dello spettacolo è messa in serio rischio da una serie di eventi disastrosi: Arthur Gosport riceve la visita inaspettata da una figlia che non sapeva di avere (già madre di un bambino, alla faccia di Romeo!) e scopre di essere ancora legalmente sposato con la madre della ragazza e quindi rischia di essere incriminato per bigamia; lo stage manager Jack ha portato la promessa sposa a conoscere la compagnia e cerca il coraggio di dire ai Gosport che dopo la prima lascerà la compagnia (il suocero è contrario al teatro); un attore decide di ritirarsi dalla scene per sempre perché si sente poco rispettato e il suo sostituto non riesce assolutamente e recitare decentemente quell'unica battuta; Dame Maude, la zia di Arthur, è una grande dame che fatica a restare al passo con il teatro moderno e annega i propri dispiaceri nell'alcol, incolpando l'Old Vic di tutte le disgrazie della sua vita. Immancabilmente, i problemi scoppiano come bolle di sapone e lo spettacolo si rivela un successo.

Harlequinade è una di quelle commedie che risultano fuffa sulla carta ma oro puro sulla scena: grazie a un ottimo cast (più o meno lo stesso del Racconto d'Inverno), lo spettacolo decolla in un momento e fa sognare il pubblico. Kenneth Branagh è un ottimo Arthur - forse perché il personaggio ricorda così tanto lo stesso Branagh - e la sua recitazione un po' sopra le righe che stonava così tanto con Winter's Tale qui è davvero azzeccatissima. La Wanamaker torna per il delizioso cameo nel ruolo di Dame Maude e si fa perdonare per il monologo di prima.

Tom Bateman, Miranda Raison e Kathryn Wilder

Hadley Fraser è esilarante nel ruolo del sostituto incapace (e che voce!) e altrettanto bravi sono John Shrapnel (George), Vera Chok (Miss Fishlock), Stuart Neal (il primo attore) e Ansu Kabia (Johnny). Eccellente Tom Bateman nel ruolo dello stage manager e davvero fenomenale, ancora una volta, Miranda Raison nel ruolo di Edna Gosport, la (seconda?) moglie di Arthur. La sua è la performance eterea e romantica di una diva sempre nel personaggio e come Edna calca il palco a passo di danza, tra ricordi di vecchie glorie e sogni di nuove.

Il contrasto tra le due opere non potrebbe essere più grande (soprattutto a svantaggio della prima), ma questo doppio appuntamento con Rattigan riesce a garantire un'ora intera di risate senza fine con un cast davvero impeccabile.

martedì 17 novembre 2015

Enrico V al Barbican Centre


Poche opere teatrali scaldano il cuore degli inglesi quanto Enrico V, un dramma storico capace di risvegliare sopiti ardori patriottici nel più tranquillo calzolaio di Leeds. Vuoi perché parla di un trionfo contro i tanto combattuti francesi, vuoi perché al grido di "Inghilterra e San Giorgio!" ci si lancia in battaglia e forse anche per il celebre discorso di San Crispino, Laurence Olivier ne realizzò un famoso film nel 1942 per scaldare gli animi delle truppe britanniche in Europa. Oggi questo spirito nazionalistico è meno richiesto e questa produzione sembra essere d'accordo: non virtù militare, ma umana.

Il Principe Hal è salito al trono con il nome di Enrico V e accampa diritti sul trono francese per via di lontane parentele. Il Delfino, indignato, risponde con un regalo degno di un re: un cesto di palle da tennis. Enrico allora decide di invadere la Francia e dopo una lunga campagna riesce a sconfiggere le truppe francesi ad Agincourt e sposare la figlia del Re di Francia, Katherine, sancendo una pace tra le due nazioni rivali.

Gregory Doran ha diretto questo nuovo allestimento della Royal Shakespeare Company con grazie ed ironia: messo da parte l'ardore nazionale, Enrico diventa una sovrano saggio che ama il suo popolo e vuole il meglio per il suo Paese. Alex Hassell è un bravo Enrico, forse un po' sotto tono nelle scene della battaglia, ma ottimo  nei momenti più umani e combattuti del personaggio. Simpatico il Pistola di Anthony Byrne e davvero impeccabile il coro, il "personaggio" interpretato da Oliver Ford Davies che svela i meccanismi metateatrali del dramma. Jennifer Kirby è davvero eccellente nel ruolo di Katherine, ha solo due scene ma la sua è probabilmente la performance migliore della serata.

Alex Hassell è Enrico V


Deludenti gli interpreti del resto della casata reale francese: Jane Lapotaire fatica nel ruolo della Regina Isabella, Simon Thorp è un dimenticabilissimo Re di Francia e Robert Gilbert è più irritante che altro nel ruolo del Delfino.

Per il resto, i costumi e le scenografie di Stephen Brimson Lewis sono semplici ma eleganti, come del resto lo è tutta la produzione. Privato del suo cuore guerriero, Enrico V al Barbican garantisce una serata molto piacevole ma forse poco incisiva.

★★½

domenica 15 novembre 2015

Les Misérables al Queen's Theatre


Tratto dall'omonimo romanzo di Victor Hugo, il musical Les Misérables è uno dei più grandi fenomeni teatrali al mondo: tradotto in più di venti lingue e recentemente adattato in un film da Oscar, il musical è in scena a Londra da più di trent'anni. Con una spettacolare colonna sonora di Claude-Michel Schönberg e Alain Boublil, Les Miz racconta la straordinaria storia di Jean Valjean, ex galeotto rilasciato dopo 19 anni di prigione, tra redenzione, fuga ed eroismo nella Francia del XIX secolo. E, nel suo viaggio lungo quasi trent'anni, Valjean avrà l'occasione di incontrare una carrellata di personaggi memorabili: la sfortunata Fantine, la dolcissima Cosette, i perfidi Thénardier, il prode Enjolras, l'infelice Éponine, il romantico Marius ed il temibile e tenace ispettore Javert, che dà la caccia a Valjean dal giorno del suo rilascio.

Con una regia funzionale e pulita di Trevor Nunn e John Caird, gli ottimi costumi di Andreane Neofitou e le splendide scenografie di John Napier, Les Misérables è uno show davvero epico e pochi altri musical riescono a coinvolgere il pubblico quanto questo. Certo, il cast di oltre trenta artisti in scena (per non parlare dell'orchestra dal vivo) gioca il suo ruolo e quando tutti gli interpreti sono a proprio agio nelle rispettive parti il risultato finale è straordinario.

Adam Bayjou è un bravo Valjean, rude e ribelle nelle prime scene e poi via via più dolce e affettuoso con il passare del tempo; anche la sua voce è bellissima e il suo grande momento nel cuore del secondo atto, Bring Him Home, è da brividi. Il Javert di Jeremy Secomb è violento e tormentato, ma la voce è pazzesca e il suo soliloquio Stars è stato il momento più applaudito della serata. Rob Houchen interpreta Marius da quasi tre anni e si comincia ad avvertire un po' di stanchezza nella sua performance che, tuttavia, è comunque buona. Anche Carrie Hope Fletcher (Eponine) è nel cast dallo stesso tempo di Houchen, ma la sua bravura sembra aumentare di replica in replica: è la terza volta che la vedo e la sua On My Own è da urlo. 


Rachelle Ann Go è una Fantine struggente e la sua canzone I Dreamed A Dream, la più famosa del musical, è di un'intensità devastante; altrettanto brava è la "figlia" Cosette, interpretata dal grazioso soprano Zoë Doano. Bradley Jaden è un carismatico Enjolras dalla voce possente e il piccolo Toby Ungleson è un divertente Gavroche, il monello di strada. L'unico punto debole sono i Thénardier di Phil Daniels e Tamsin Dowsett: trascurano completamente gli aspetti più tenebrosi dei loro personaggi e trasformano le parti in ruoli esclusivamente comici.

Les Misérables è uno di quei musical pazzeschi in cui il tutto è più della somma delle singole parti e l'energia in scena è semplicemente adrenalinica... insomma, se è in scena da più di trent'anni un motivo ci sarà.

martedì 10 novembre 2015

RoosevElvis al Royal Court Theatre


Il Team, la compagnia teatrale di Brooklyn che scrive e interpreta lavori sulla vita americana moderna, ha portato il suo ultimo lavoro al Royal Court Theatre. RoosEvelvis è il risultato degli sforzi congiunti dei membri del Team ed è un buon esempio di teatro dell'assurdo moderno.

Ann e Brenda passano insieme un weekend di passione, ma quando Ann scopre che Brenda è stata sposata con un uomo si raffredda e la lascia andare. Pentita, la donna decide di intraprendere il viaggio che sogna da anni e di andare a Graceland, la leggendaria tenuta di Elvis a Memphis. Ad accompagnarla ci saranno il presidente Theodore Roosevelt e lo stesso Elvis, personaggi in bilico tra allucinazioni e allegorie, le due parti dell'anima di Ann: avventurosa e autodistruttiva. 

Nel ruolo di Ann ed Elvis c'è la brava Libby King, solida e infelice, mentre Brenda e Roosevelt sono interpretati dalla fenomenale Kristen Sieh. Grazie all'ottima regia, alla scenografia pratica e funzionale e ai bei video realizzati per integrare la trama, RoosevElvis è una bella commedia sui ruoli che la società ci impone, sulla solitudine e sull'amore.

Certo, in confini tra Ann ed Elvis o tra Brenda e Roosevelt non sono sempre chiari, ma questo è parte integrante del fascino della commedia: è una piece in cui tutto si sovrappone e non è chiaro se quello che vediamo sia la realtà o un'allucinazione.

RoosevElvis è una "road play", la storia di un viaggio che è sia fisico che spirituale alla ricerca di noi stessi e della felicità.

Come vi piace al National Theatre


As You Like It è una delle commedie shakespeariane più amate e rappresentate e il National Theatre ne ha appena messo in scena una nuova produzione diretta da Polly Findlay.

L'usurpatore Federigo esilia la nipote Rosalind, figlia del legittimo duca, che fugge insieme alla cugina Celia. Travestitasi da uomo e sotto il nome di Ganimede, Rosalind si nasconde nella foresta di Arden. La foresta si rivela essere una scelta piuttosto popolare per le fughe: il duca padre di Rosalind e la sua sua corte esiliata vaga tra gli alberi di Arden, così come il giovane Orlando ed il fedele servo Adam. Tra agnizioni, amori e redenzione, As You Like It è un'elegante commedia in cui tutto può accadere sotto l'ombra degli alberi.

Rosalie Craig è una brava Rosalind, ironica e affascinante, tesa nei momenti con Orlando, ma anche capace di tenerezza, esasperazione e amore. La migliore performance della serata è quella di Patsy Ferran, una Celia dalla lingua appuntita e dagli sguardi ironici. Per il resto il cast è buono ma niente di speciale, con l'eccezione di Fra Fee nel ruolo del musico Amiens: ha una bellissima voce ed era una capra davvero fenomenale nella scena del gregge.

Il grosso problema di questa produzione è che, pur senza avere dei grossi problemi, non riesce mai a brillare: tutto funziona, ma niente spicca. Lo stesso vale per la regia di Polly Findlay, che non riesce sempre a valorizzare i momenti più importanti ed il risultato finale è un po' sconfortante: è una commedia che non fa ridere.

Il cast nella foresta

La scenografia di Lizzie Clachan è riuscita a creare un cambio di scena sbalorditivo: l'ufficio della prima scena si trasforma lentamente della foresta, con i tavoli e le sedie che si sollevano uno dopo l'altro fino a creare l'intreccio di rami, foglie e alberi. Il colpo d'occhio è pazzesco, ma dopo poco ci stanca di questa foresta grigia, metallica e squallida e mi sembra che si sia persa l'occasione per creare qualcosa di davvero magico.

Il risultato finale è in qualche modo simile alla foresta: artificiale, funzionale, ma niente di più.

lunedì 2 novembre 2015

Photograph 51 al Noël Coward Theatre



A diciasette anni dal suo acclamato debutto teatrale londinese, Nicole Kimdan torna a calcare i palchi del West End in una nuova opera della drammaturga statunitense Anna Ziegler

Photograph 51 racconta delle ricerche di Rosalind Franklin, la chimica britannica che per prima intuì e riuscì a fotografare la struttura a doppia elica del DNA. Ostacolata dal maschilismo dei colleghi nella Londra del secondo dopoguerra, Rosalind combatterà per avere il rispetto che merita, ma alla fine si vedrà soffiare il Nobel dai suoi rivali e perdere la vita a causa di un tumore sviluppatosi per l'eccessiva esposizione ai raggi X.

L'ultima opera della Ziegler è sicuramente un dramma importante che racconta una storia poco conosciuta con precisione e anche una buona dose di ironia. Certo, la piece soffre un po' dell'eccessiva (ma giustificabile) freddezza della protagonista e, di conseguenza, non coinvolge completamente il pubblico finché la scienziata non comincia a dimostrarsi un po' più umana. 

Nicole Kidman brilla nel ruolo di Rosalind e la sua è un'interpretazione intelligente e misurata che riesce a far trapelare i veri sentimenti della scienziata dalla maschera di gelida diffidenza che si impone. Photograph 51 è sicuramente il suo spettacolo e non sarebbe male vederla riprendere la parte anche sul grande schermo, dove le sottigliezze della sua recitazione non andrebbero sprecate come in un teatro da 1500 posti.

Molto bravo è anche il resto del cast: Stephen Campbell Moore (Maurice Wilkins), Will Attenborough (James Watson), Edward Bennett (Francis Crick), Patrick Kennedy (Don Caspar), Joshua Silver (Ray Gosling).


Rapida ed efficacie è la regia di Michael Grandage, che sfrutta al meglio la scarna scenografia di Christopher Oram per suggerire i veloci cambi di scena ed il susseguirsi di scene brevi ed incisive. Photograph 51 è uno di quei casi in cui un ottimo cast eleva il materiale che interpreta e il risultato finale, soprattutto grazie all'ottima interpretazione della Kidman, è notevole.

★½

Il racconto d'inverno al Garrick Theatre


Kenneth Branagh parte col botto con la sua neofondata compagnia teatrale (la, guarda caso, Kenneth Branagh Theatre Company), che dal settembre di quest'anno a quello del prossimo occuperà il Garrick Theatre di Londra. Per inaugurare la stagione, Branagh (nelle vesti di produttore, regista e primo attore) ha scelto uno dei romances di Shakespeare, il bellissimo Racconto d'inverno, e ha voluto accanto a sé sul palco una delle più grandi attrici viventi: Dame Judi Dench.

Il racconto d'inverno è un testo che sfugge a una classificazione ben precisa: spesso viene etichettato come una commedia, ma una commedia non lo è davvero. E' più una "scampata" tragedia, una tragedia con il lieto fine. O, per farla breve, un romance (l'etichetta data alle ultime quattro agrodolci opere di Shakespeare). E' una storia di amore e gelosia, perdite ed agnizioni, sull'essere padri e sull'essere figli, sul perdonare e sul perdonarsi.

Quella messa in scena da Kenneth Branagh, con l'aiuto del co-regista Rob Ashford, è una produzione molto tradizionale di un classico ed è, in una parola sola, meravigliosa. Impeccabile è l'aspetto tecnico, dai bei costumi e dalle belle e semplici scenografie di Christopher Oram al disegno luci di Neil Austin, dal suono curato da Christopher Shutt alle eleganti melodie di Patrick Doyle.

Ma la vera magia qui è il cast, un gruppo nutrito ed eterogeneo di attori fenomenali. Poche volte capita di assistere a uno spettacolo con un cast così perfetto, dove ognuno riesce a dare assolutamente il meglio nel proprio ruolo, per quanto piccolo esso sia. Kenneth Branagh (ancora lui!) è il gelosissimo Leontes e forse è proprio lui il membro più fragile del cast. Forse perché troppo occupato con la regia, la performance di Branagh ricorda quelle dell'ultimo Olivier (un attore a cui Branagh viene spesso paragonato), un po' sopra le righe e con una ricerca eccessiva del virtuosismo. Ma è una pecca che gli si viene perdonata facilmente, dato che traspare solo in alcuni momenti. Jessie Buckley è una Perdita deliziosa, fresca e solare, il bel Tom Batem è un ottimo Floritzel, coinvolgente ed energico, John Dagleish ruba la scena nei panni del maligno Autolycus, Hadley Fraser è un solido e virile Polixenes. Ottimi anche gli "anziani" del cast: l'Antigonus di Michael Pennington e il Camillo di John Shrapnel portano alla scena un'aurea di benevola autorevolezza e Jimmy Yuill è esilarante nel ruolo del Pastore.

Judi Dench e Kenneth Branagh durante le prove

Le interpretazioni migliori, però, sono quelle di due attrici. La prima è Miranda Raison, che nel ruolo dell'oltraggiata regina Hermione regala una performance densa e coinvolgente, lasciando parecchi occhi lucidi (inclusi i miei) alla fine della sua disperata arringa in propria difesa. L'altra è, ovviamente, Judi Dench. Prossima all'ottantesimo compleanno, Dame Judi ci ricorda che la classe non è acqua e che se lei viene considerata una delle più grandi interpreti shakespeariani al mondo un motivo forse ci sarà. La sua performance è una vero e proprio master class sulla recitazione: con una naturalezza commovente e un'eleganza davvero regale, Judi Dench dà vita al personaggio secondario di Paulina e la rende la protagonista di alcuni dei momenti più toccanti di tutto lo spettacolo. Capace di creare emozioni come nessun altro attore, Dame Judi padroneggia quell'altissima forma di recitazione che va al di là della tecnica e della formazione: si spoglia della propria personalità e diventa il personaggio che interpreta. E assistere a una performance come questa è un onore più che un piacere.

Non ricordo neanche l'ultima volta che sono uscito da un teatro con la sensazione di aver vissuto un'esperienza così emozionante, intensa e catartica come quando ho lasciato il Garrick dopo una rappresentazione di Winter's Tale. E' sempre bello farsi ricordare quanto meraviglioso il grande teatro possa essere e questa produzione del Racconto d'inverno è un assoluto capolavoro.

venerdì 30 ottobre 2015

Amleto al Barbican Centre


La nuova produzione di Amleto in scena al Barbican Centre fino a domani sera è senza dubbio lo spettacolo più atteso dell'anno e i biglietti, messi in vendita a maggio, sono stati venduti tutti in pochissime ore. Tutto questo potrebbe sembrare strano (un altro Amleto? ma non ne fatto uno ogni due anni?), ma non bisogna mai sottovalutare la tenace passione con cui gli inglesi seguono i propri idoli. E Benedict Cumberbatch, star di Sherlock e candidato al premio Oscar come miglior attore protagonista per The Imitation Game, qui è un vero e proprio eroe nazionale.

Una produzione così attesa ha creato delle aspettative talmente alte che non potevano proprio essere che deluse. Cumberbatch è un ottimo Amleto, profondo e riflessivo quando serve e più leggero e divertente quando è opportuno. L'attore regala momenti di grande intensità nel creare un principe sfaccettato e instabile, un giovane uomo tormentato e depresso per tutti i terribili cambiamenti che ha dovuto sopportare. Se la cava in modo eccellente sia nei dialoghi che nei frequenti soliloqui (incluso, ovviamente, l'attesissimo "To be or not to be") e la sua performance da sola vale il prezzo del biglietto (o le attese di tutta una notte per essere i primi al botteghino in caso di biglietti restituiti). Peccato però che il resto del cast non sia assolutamente all'altezza del primo attore: il Claudio di Ciarán Hinds ha qualche buon momento, ma in certe scene farfuglia e si fa fatica a sentirlo oltre la quinta fila; Siân Brooke è un'Ofelia legnosa e insignificante nel primo atto che riesce a riprendersi abbastanza nel secondo... ma non tanto da far dimenticare la terribile performance che ha pensato bene di donarci nella prima parte della tragedia.

Benedict Cumberbatch

Anastasia Hille è una Gertrude discreta, ma il Polonio di Jim Norton è davvero troppo gigione. Il resto del cast non è male, ma ciò non basta per compensare le carenze di alcuni dei protagonisti: Barry Aird (Soldato), Eddie Arnold (Capitano danese), Nigel Carrington (Servo, Cornelius), Ruairi Conaghan (Primo attore), Rudi Dharmalingam (Guildenstern), Colin Haigh (Prete, messaggero), Paul Ham (Ufficiale), Diveen Henry (Prima attrice, messaggera), Karl Johnson (il Fantasma/Becchino), Amaka Okafor (Ufficiale), Dan Parr (Barnardo), Jan Shepherd (Cortigiano), Morag Siller (Voltemand), Matthew Steer (Rosencrantz), Sergo Vares (Fortinbras) e Dwane Walcott (Marcellus).

La scenografia di Es Devlin è meravigliosa e sfrutta al meglio l'immenso palco del Barbican, così come sono altrettanto ottimi i costumi di Katrina Lindsay e le luci di Jane Cox. Una menzione speciale va alle bellissime musiche di Jon Hopkins. La regista Lyndsey Turner ha fatto generalmente un buon lavoro, eppure mi chiedo come mai alcuni dei protagonisti (attori che di solito si sono sempre mostrati molto capaci, specialmente Hinds) non riescano mai a catturare l'essenza dei loro personaggi.

Nonostante il cast ballerino, questo Amleto è la prova che il tutto è più della somma delle singole parti e Benedict Cumberbatch è davvero straordinario nel ruolo del tormentato principe di Danimarca.


★★

giovedì 29 ottobre 2015

Piaf al Bridewell Theatre


Ieri sera sono andato a vedere la prima anteprima della nuova produzione del dramma più famoso di Pam Gems, Piaf, un'opera teatrale biografica che racconta la vita della celebre cantante francese.

Dall'esordio come cantante di strada fino alla celebrità internazionale, al declino e alla morte, Piaf ci regala un ritratto molto umano dell'artista, una persona fragile e instabile.

Questa nuova produzione diretta dal regista finlandese Jari Laakso evidenzia tutta la fragilità e i difetti di Piaf, fino a renderla una vera e propria eroica tragica (anche se capace di momenti esilaranti grazie alla sua lingua affilata). Il Bridewell offre uno spazio molto ristretto che crea un'atmosfera raccolta e un senso di unione tra pubblico e scena e Laakso è riuscito a sfruttare al meglio questo situazione, trasformando in più occasioni il pubblico del dramma nel pubblico dei concerti di Piaf. Semplice e funzionale la scenografia di Pippa Batt e davvero ottima la direzione musicale del pianista Isaac McCullough e della piccola orchestrina composta dai membri del cast che non sono impegnati a recitare al momento. Non deve essere stato facile trovare degli attori così dotati in vari campi!

Cameron Leigh è davvero fenomenale nel ruolo de "La Môme" Piaf: canta benissimo (e, per una buona volta, con un perfetto francese!) ed è capace di regalare momenti da brivido. Non dimenticherò tanto presto la scena in cui lei, dopo un ennesimo concerto fallimentare, crolla in ginocchio in preda a un attacco isterico. Molto buona la Toine di Samantha Spurgin e belle interpretazioni anche da parte del resto del cast: Valerie Cutko (Marlene Dietrich, Madeleine e infermiera), Kit Smith (Louis Leplee e altri), Max Gallagher (Louis e altri), Mal Hall (Marcel e altri; così così nel primo atto, molto bravo nel secondo) ed il simpaticissimo Maxime Yelle (Bruno e altri).


Il vero problema dello spettacolo, un problema che neanche il miglior cast tecnico e artistico potrebbe risolvere, è che il testo di per sé fa acqua da tutte le parti. Non riesce mai a creare una climax emotiva o un momento di grande tensione, i momenti della vita di Piaf risultano slegati e sconnessi e solo nel secondo atto si riesce ad intravedere un barlume di trama decente. Piaf è essenzialmente una cornice per le splendide canzoni dell'artista, presenti anche più del dovuto nel corso della rappresentazione: La vie en rose, Hymn to Love, L'accordeoniste, No Je Ne Regrette Rien e tante altre ancora, tutte indimenticabili e splendidamente eseguite.

Piaf non è certo un capolavoro, ma se volete passare una bella serata con ottima musica e bravi attori io ve la consiglio.

★★

lunedì 26 ottobre 2015

Hey, Old Friends! al Theatre Royal, Drury Lane


Pochi compositori hanno influenzato il teatro musicale quanto Stephen Sondheim, l'autore degli acclamatissimi Sweeney Todd, Into the Woods, Follies, A Little Night Music, Passion, Pacific Overtures e tanti altri ancora. Vincitori di un Oscar, otto Tony Awards e di un numero imprecisato di Grammy, Sondheim ha completato il processo iniziato dal suo maestro Oscar Hammerstein II (Il Re ed Io, Tutti insieme appassionatamente) di trasformare il teatro musicale da genere di puro intrattenimento a una nuova e potente forma di teatro moderno capace di trasmettere emozioni al di là di ogni sforzo del teatro di prosa.

Influenzato da Ravel e Rachmaninoff nella musica e da Brecht nei libretti, Sondheim è riuscito ad elevare il musical a vera e propria forma d'arte riscuotendo successi in tutto il mondo anglosassone ed è tanto amato nei natii Stati Uniti quanto in Gran Bretagna. Da 22 anni infatti la Sondheim Society di Londra organizza eventi per avvicinare il pubblico all'opera di questo geniale compositore con concerti, competizioni e speciali rappresentazione. Ieri sera, per una rappresentazione soltanto, è andato in scena al Drury Lane Theatre un grande concerto per celebrare l'ottantacinquesimo compleanno di Sondheim e, tra gli oltre cento artisti coinvolti, non mancano i nomi dell'aristocrazia del teatro musicale britannico: Rosemary Ashe, Marianne Benedict, Tracie Bennett, Lorna Dallas, Anita Dobson, Erin Doherty, Anton Du Beke, Daniel Evans, Dominic Ferris, Tim Flavin, Anna Francolini, Tiffany Graves, Simon Green, Haydn Gwynne, Anita Harris, Kit Hesketh-Harvey, Marilyn Hill Smith, Bonnie Langford, Rula Lenska, Jason Manford, Millicent Martin, James McConnel, Grant McConvey, Alistair McGowan, Robert Meadmore, Martin Milnes, Charlotte Page, Nicholas Parsons, Michael Peavoy, Laura Pitt-Pulford, Anne Reid, Joseph Shovelton, Sally Ann Triplett e Michael Xavier. E, tanto per non esagerare, aggiungiamoci pure il ritorno sulle scene della grande dame Julia McKenzie dopo oltre dieci anni di silenzio e un'orchestra dal vivo di oltre quaranta elementi e vi farete un'idea di cos'è Hey Old, Friends!

E' stata decisamente una serata di grande musica, eseguita impeccabilmente dall'ottima orchestra e dall'impressionante sfilata di grandi nomi del musical inglese. I momenti migliori della serata sono stati, secondo me, il bellissimo duetto Move On tra Anna Francolini e Daniel Evans, l'esilarante There's Always A Woman cantanta da Rosemary Ashe e Laura Pitt-Pulford e l'incredibili medley di Martin Milnes e Dominic Ferris: in cinque minuti hanno intrattenuto il pubblico con 43 canzoni! Bonnie Langford, una delle beniamine del pubblico britannico sin dagli anni settanta, ha sfidato la gravità (e i suoi oltre cinquant'anni) in un'acrobatica Can That Boy Foxtrot!, non solo cantata splendidamente ma eseguita nel corso di spettacolari ed elaborati passi di danza.

Millicent Martin


L'ultima mezz'ora, poi, è stata davvero fenomenale, con una successione di sei canzoni e sei artisti semplicemente straordinari. A cominciare il grande finale ci ha pensato l'ottuagenaria Millicent Martin, che ha deliziato il pubblico con una canzone davvero birichina prima di lasciare il palco a Tracie Bennett e alla sua esilarante Broadway Baby. Haydn Gwynne ha cantato una struggente Send in the Clowns e l'ottimo soprano Charlotte Page ha fatto inumidire parecchi occhi con un'indimenticabile Losing My Mind. Kim Criswell ha risollevato il morale con una I'm Still Here da far tremare i lampadari e, alla fine, Michael Xavier ha regalato la miglior performance della serata con una potentissima Being Alive

Hey, Old Friends! è stata una grande celebrazione, impeccabilmente interpretata ed eseguita, del genio di Sondheim e, francamente, io sto già cominciando a risparmiare per il novantesimo compleanno del maestro... un'altra serata come questa non me la perderei per nulla al mondo!

mercoledì 21 ottobre 2015

Matilda al Cambridge Theatre


Ora nel suo quarto glorioso anno di repliche al Cambridge Theatre, Matilda è la prova che la Royal Shakespeare Company non è brava solo quando si tratta di teatro di prosa. Il musical, tratto dall'omonimo romanzo di Roald Dahl, con libretto di Dennis Kelly e musiche e versi di Tim Minchin, ha collezionato premi su entrambe le sponde dell'Atlantico e ora si parla anche di un adattamento cinematografico.

Matilda Wormwood è una bambina intelligentissima che cresce in una famiglia che non si cura minimamente di lei e la sua unica gioia è la biblioteca che, nonostante i suoi sei anni, frequenta assiduamente. Anche la scuola si rivela una potente alleata grazie alla dolcissima maestra Honey e i simpatici compagni... peccato per la terrificante preside Agatha Trunchbull, l'ex campionissima olimpica di lancio del martello che tratta i bambini come esseri inferiori e somministra loro punizioni crudeli secondo un suo arbitrario senso di giustizia. Ma Matilda, con la sua grande bontà, prodigiosa intelligenza e poteri speciali riuscirà a risollevare la situazione e rendere migliori la scuola e le persone che le stanno intorno.

Matilda è un musical dolcissimo per tutta la famiglia che, con le sue canzoni orecchiabili e l'esilarante libretto, riesce a regalare forti emozioni a grandi e piccini. L'aspetto tecnico dello spettacolo è impeccabile in tutti i suoi aspetti: la regia di Matthew Warchus è precisa e originale, le scenografie di Rob Howell sono geniali e funzionali, le magie create da Paul Kiev sono da lasciare a bocca aperta e le coreografie di Peter Darling sono semplicemente mozzafiato. 



Tutto ciò andrebbe sprecato se il cast in scena non fosse all'altezza delle aspettative, ma questo non è decisamente il caso: tutti, dai bambini agli adulti, sono eccellenti nei rispettivi ruoli e brillano per talento nel canto, ballo e recitazione. Nel ruolo di Matilda si alternano cinque ragazzine (io ho visto la bravissima Evie Hone) e in scena ogni sera ci sono nove bambini che, per talento e professionalità, non sono affatto inferiori agli adulti. Ruba la scena Craige Els nel ruolo della malvagia preside Truchbull, un ruolo ruolo tradizionalmente interpretato da un uomo: deliziosamente perfido(a?), tanto alto da torreggiare su tutti e tutto sul palco, Els è eccellente nel creare una Truchbull spaventosa ed esilarante, sempre in bilico tra l'isteria e l'ossessivo ricordo del glorioso passato sportivo. 



Nel ruolo della timida e dolcissima maestra c'è la brava Miria Parvin, mentre gli eccentrici genitori di Matilda, i Wormwoods, sono interpretati dagli spassosissimi Rebecca Thonhill e  Michael Begley. Ottimo anche il resto del cast: John Brannoch (Rudolpho), Olly Dobson (Michael Wormwood), Demi Goodman (Cuoca), Elliot Harper (Escapologista), Will Hawsworth (Dottore), Charlotte Scott (Acrobata), Sharlene Whyte (Mrs. Phelps), Fabian Aloise, Robbie Boyle, Jonathan Cordin, Kate Kenrick, Rachel Moran, Matthew Serafini, Bianca Szynal, Laura Tyrer.

Matilda è un musical leggero e sopra le righe che unisce momenti commoventi ad altri davvero esilaranti, un ottimo momento di svago per tutta la famiglia... E se avete tra i sedici e i venticinque anni potere comprare i biglietti per sole cinque sterline!


★★★★

sabato 17 ottobre 2015

Farinelli and the King al Duke Of York's Theatre


La compositrice Claire van Kampen al suo debutto come drammaturga è riuscita a scatenare un grandissimo entusiasmo nel pubblico sin dal debutto di Farinelli and the King al Globe Theatre in febbraio. Un successo tale che, a sette mesi dalla sua prima rappresentazione, Farinelli ha debuttato anche nel West End - il quartiere dei teatri del cuore di Londra.

Il grande successo di critica e pubblico non è legato tanto alla scrittura della van Kampen, quanto più al genio del marito, il gigante Mark Rylance. E' un attore praticamente sconosciuto in Italia, ma per gli amanti del teatro è un nome da pronunciare con venerazione e rispetto. Acclamato interprete di tutti i grandi ruoli shakespeariani (non solo maschili), Mark Rylance si è scoperto eccezionale attore anche in opere moderne come Jerusalem, in cui aveva recitato con tale passione da venir salutato come la sua miglior performance di sempre... almeno fino ad oggi.

Farinelli and the King racconta del rapporto tra Filippo V di Spagna ed il cantante castrato Farinelli, star dell'opera nel XVIII secolo. Quando Filippo comincia a dare segni di un incipiente squilibrio mentale e di incapacità di continuare a regnare, la moglie Isabella Farnese supplica il grande cantante di recarsi alla corte di Spagna per cercare di curare il sovrano con la sua voce straordinaria. L'insolita terapia sembra funzionare, ma Filippo sviluppa una sorta di dipendenza per la voce di Farinelli e costringe il cantante a seguire lui e la regina nel bosco per un sogno bucolico... con grande sospetto dei ministri e della corte.

Farinelli and the King ci racconta di due uomini all'apice della fama e del potere, eppure frustrati ed infelici. Due re con una corona che non vorrebbero portare, traditi dalla famiglia e costretti a una vita che altri hanno voluto per loro: da una parte c'è Farinelli, fatto castrato dal fratello (il mediocre compositore Riccardo Boschi) ed esibito come un uccello raro su tutti i palchi d'Europa; dall'altra c'è Filippo, cresciuto a Versailles sotto l'egida del Re Sole e poi mandato a regnare in Spagna, un Paese arretrato che non offriva certo le possibilità di Parigi. Soffocati dalla vita, dalla famiglia, dagli obblighi e dall'etichetta Farinelli e Filippo cercano una via di fuga, abbandonare le scene e abbandonare la corona.

Melody Grove, Mark Rylance e Sam Crane

La piece di per sé non è niente di eccezionale: il primo atto è buono, nel secondo la trama si assottiglia a tal punto che in un paio di scene non ero più neanche sicuro di cosa stessi realmente vedendo. Ha qualche momento davvero buono, ma per il resto è soltanto il trampolino per le due vere attrattive della serata: la musica e Rylance. Partiamo dalla prima: il ruolo di Farinelli è "diviso in due", con un attore - l'ottimo Sam Crane - che interpreta il famoso castrato in tutte le scene e un cantante che dà voce al personaggio quanto canta le bellissime arie del periodo con cui si esibisce durante lo spettacolo (in particolare la struggente "Lascia ch'io pianga" di Handel). Nel ruolo di "Farinelli-Cantante" si alternano tre controtenori - il timbro di voce maschile che, pur essendo lontanissimo da quello dei castrati, più gli si avvicina - in diversi giorni della settimana: Iestyn Davies, Rupert Enticknap e Owen Willetts (nelle mie due visite ho visto Enticknap e Willetts, entrambi eccellenti). La voce del cantante, insieme alla musica dell'orchestra di strumenti d'epoca in scena, regala momenti di pura emozione. Su Mark Rylance c'è poco da dire: la sua performance non è fatta di virtuosismi ma di sfumature e la sua è la più alta forma di recitazione, quella che non si vede.

Molto buono anche il resto del cast, composto da Huss Garbiya (Dottor Jose Cervi), Melody Grove (Isabella Farnese), Colin Hurley (Metastasio) ed Edward Peel (De la Cuadra). A completare l'atmosfera di pensa la scenografia sapientemente creata da Jonathan Fenson, che ha voluto rievocale il clima di un teatro seicentesco con parte del pubblico sul palco e lo spazio scenico illuminato solo dalle candele.

Farinelli and the King è la storia di due solitudini che si incontrano e, pur non essendo un capolavoro, è capace di regalare grandi emozioni.

★★½

giovedì 15 ottobre 2015

Our Country's Good al National Theatre


Dopo oltre venticinque anni dal debutto il capolavoro di Timberlake Wartenbaker è tornato sulle scene londinesi in una nuova e gloriosa versione al National Theatre.

Ambientato in una colonia penale britannica in Australia nel 1789, Our Country's Good racconta dell'ambizioso progetto del sottotenente Ralph Clark di mettere in scena una commedia interpretata dai detenuti, per fa sì che la loro pena non sia solo punitiva ma anche riabilitativa. Osteggiato dai superiori e dal comportamento degli stessi detenuti, Ralph riuscirà a portare in scena la sua commedia solo dopo aver superato svariate vicissitudini tra cui la scongiurata condanna a morte della sua protagonista.

Our Country's Good è uno splendido testo sull'alto valore morale ed educativo del teatro e più in generale di ogni forma d'arte, sul potere della letteratura di elevarci e renderci migliori. La Wartenbaker non dimentica, però, il mostruoso genocidio attuato contro gli aborigeni, una strage qui ricordata dalla presenza di un membro di una tribù autoctona (l'ottimo Gary Wood) che si aggira furtivamente per il campo e che alla fine morirà per le malattie portate dall'uomo bianco.

La regista Nadia Fall ha realizzato un allestimento che riesce ad essere tanto magnifico quanto minimalista, capace di momenti visivi davvero impressionanti (non dimenticherò presto la scena in cui il palco si è letteralmente spaccato in due per rivelare l'interno della nave che portava i detenuti britannici nella colonia penale... e il loro mostruoso trattamento). La Fall ha avuto dalla sua un ottimo cast, uno di quei gruppi di interpreti che ci ricordano che non esistono piccoli e grandi ruoli, ma piccoli e grandi attori: è un'opera molto corale e ricchissima di ruoli da caratteristi, ognuno interpretato in modo memorabile.



Con la colonna sonora di Cerys Matthews, la stupefacente scenografia di Peter McKintosh e le ottime luci di Neil Austin, Our Country's Good è davvero un allestimento impeccabile di un testo pregno di significati, a tratti violento e a tratti esilarante, sul ruolo dell'arte nelle nostre vite, sull'inumanità della pena, su cosa l'Europa ha costruito la propria egemonia e sulla redenzione del singolo e della società. Un'opera monumentale che deve assolutamente essere messa in scena anche in Italia, uno di quei rari e magici momenti in cui quando esci dalla sala pensi "E' per questo che faccio teatro".

★★★★

mercoledì 14 ottobre 2015

Absent alla Shoreditch Town Hall


Non sono sicuro se Absent sia davvero teatro... e non lo dico in senso dispregiativo! Absent non è un'opera teatrale nel senso stretto del termine: non c'è una trama, un copione, uno sviluppo, una vicenda. Non ci sono nemmeno gli attori!

Ispirato alla vicenda della duchessa di Argyll Margaret Campbell, Absent inscena la storia di Margaret de Beaumont: entrata diciottenne nel Shoreditch Town Hotel negli anni cinquanta, ne è stata sbattuta fuori ottantenne ai giorni nostri per debiti. L'hotel, d'altro canto, è esso stesso in declino e dopo un'importante opera di ristrutturazione è forse pronto a riprendere un ruolo egemone nell'industria turistica londinese.

Ma, tutto questo, è soltanto intuibile nel corso della performance (o installazione?): il pubblico è lasciato solo a vagare per le stanze ridotte in diversi livelli di decrepitezza e ha solo alcuni indizi per ricostruire la vicenda... Pochi ritagli di giornale, bottiglie di alcolici vuote, una collana di perle disseminata in giro, uno specchio e dei profumi... La performance ci racconta due storie di declini e, forse, una di ripresa.

Absent è uno spettacolo in cui è la scenografia, le luci, la musica a creare la storia e l'effetto. E' una performance di emozioni e atmosfere, non di trama o risposte. E, fidatevi, è davvero un'esperienza inquietante girare in quelle stanza vuote e abbandonate che sembrano essere (e portare) al confine della follia. E' un'esperienza più che uno spettacolo, uno stato d'animo più che un dramma. Uscirete agitati, confusi e inquieti, chiedendovi cosa avete visto. E, forse, nel non saper rispondere a questa domanda sta tutto il significato dell'opera.

★★★

PS: Date un'occhiata qui per farvi un'idea!