venerdì 30 ottobre 2015

Amleto al Barbican Centre


La nuova produzione di Amleto in scena al Barbican Centre fino a domani sera è senza dubbio lo spettacolo più atteso dell'anno e i biglietti, messi in vendita a maggio, sono stati venduti tutti in pochissime ore. Tutto questo potrebbe sembrare strano (un altro Amleto? ma non ne fatto uno ogni due anni?), ma non bisogna mai sottovalutare la tenace passione con cui gli inglesi seguono i propri idoli. E Benedict Cumberbatch, star di Sherlock e candidato al premio Oscar come miglior attore protagonista per The Imitation Game, qui è un vero e proprio eroe nazionale.

Una produzione così attesa ha creato delle aspettative talmente alte che non potevano proprio essere che deluse. Cumberbatch è un ottimo Amleto, profondo e riflessivo quando serve e più leggero e divertente quando è opportuno. L'attore regala momenti di grande intensità nel creare un principe sfaccettato e instabile, un giovane uomo tormentato e depresso per tutti i terribili cambiamenti che ha dovuto sopportare. Se la cava in modo eccellente sia nei dialoghi che nei frequenti soliloqui (incluso, ovviamente, l'attesissimo "To be or not to be") e la sua performance da sola vale il prezzo del biglietto (o le attese di tutta una notte per essere i primi al botteghino in caso di biglietti restituiti). Peccato però che il resto del cast non sia assolutamente all'altezza del primo attore: il Claudio di Ciarán Hinds ha qualche buon momento, ma in certe scene farfuglia e si fa fatica a sentirlo oltre la quinta fila; Siân Brooke è un'Ofelia legnosa e insignificante nel primo atto che riesce a riprendersi abbastanza nel secondo... ma non tanto da far dimenticare la terribile performance che ha pensato bene di donarci nella prima parte della tragedia.

Benedict Cumberbatch

Anastasia Hille è una Gertrude discreta, ma il Polonio di Jim Norton è davvero troppo gigione. Il resto del cast non è male, ma ciò non basta per compensare le carenze di alcuni dei protagonisti: Barry Aird (Soldato), Eddie Arnold (Capitano danese), Nigel Carrington (Servo, Cornelius), Ruairi Conaghan (Primo attore), Rudi Dharmalingam (Guildenstern), Colin Haigh (Prete, messaggero), Paul Ham (Ufficiale), Diveen Henry (Prima attrice, messaggera), Karl Johnson (il Fantasma/Becchino), Amaka Okafor (Ufficiale), Dan Parr (Barnardo), Jan Shepherd (Cortigiano), Morag Siller (Voltemand), Matthew Steer (Rosencrantz), Sergo Vares (Fortinbras) e Dwane Walcott (Marcellus).

La scenografia di Es Devlin è meravigliosa e sfrutta al meglio l'immenso palco del Barbican, così come sono altrettanto ottimi i costumi di Katrina Lindsay e le luci di Jane Cox. Una menzione speciale va alle bellissime musiche di Jon Hopkins. La regista Lyndsey Turner ha fatto generalmente un buon lavoro, eppure mi chiedo come mai alcuni dei protagonisti (attori che di solito si sono sempre mostrati molto capaci, specialmente Hinds) non riescano mai a catturare l'essenza dei loro personaggi.

Nonostante il cast ballerino, questo Amleto è la prova che il tutto è più della somma delle singole parti e Benedict Cumberbatch è davvero straordinario nel ruolo del tormentato principe di Danimarca.


★★

giovedì 29 ottobre 2015

Piaf al Bridewell Theatre


Ieri sera sono andato a vedere la prima anteprima della nuova produzione del dramma più famoso di Pam Gems, Piaf, un'opera teatrale biografica che racconta la vita della celebre cantante francese.

Dall'esordio come cantante di strada fino alla celebrità internazionale, al declino e alla morte, Piaf ci regala un ritratto molto umano dell'artista, una persona fragile e instabile.

Questa nuova produzione diretta dal regista finlandese Jari Laakso evidenzia tutta la fragilità e i difetti di Piaf, fino a renderla una vera e propria eroica tragica (anche se capace di momenti esilaranti grazie alla sua lingua affilata). Il Bridewell offre uno spazio molto ristretto che crea un'atmosfera raccolta e un senso di unione tra pubblico e scena e Laakso è riuscito a sfruttare al meglio questo situazione, trasformando in più occasioni il pubblico del dramma nel pubblico dei concerti di Piaf. Semplice e funzionale la scenografia di Pippa Batt e davvero ottima la direzione musicale del pianista Isaac McCullough e della piccola orchestrina composta dai membri del cast che non sono impegnati a recitare al momento. Non deve essere stato facile trovare degli attori così dotati in vari campi!

Cameron Leigh è davvero fenomenale nel ruolo de "La Môme" Piaf: canta benissimo (e, per una buona volta, con un perfetto francese!) ed è capace di regalare momenti da brivido. Non dimenticherò tanto presto la scena in cui lei, dopo un ennesimo concerto fallimentare, crolla in ginocchio in preda a un attacco isterico. Molto buona la Toine di Samantha Spurgin e belle interpretazioni anche da parte del resto del cast: Valerie Cutko (Marlene Dietrich, Madeleine e infermiera), Kit Smith (Louis Leplee e altri), Max Gallagher (Louis e altri), Mal Hall (Marcel e altri; così così nel primo atto, molto bravo nel secondo) ed il simpaticissimo Maxime Yelle (Bruno e altri).


Il vero problema dello spettacolo, un problema che neanche il miglior cast tecnico e artistico potrebbe risolvere, è che il testo di per sé fa acqua da tutte le parti. Non riesce mai a creare una climax emotiva o un momento di grande tensione, i momenti della vita di Piaf risultano slegati e sconnessi e solo nel secondo atto si riesce ad intravedere un barlume di trama decente. Piaf è essenzialmente una cornice per le splendide canzoni dell'artista, presenti anche più del dovuto nel corso della rappresentazione: La vie en rose, Hymn to Love, L'accordeoniste, No Je Ne Regrette Rien e tante altre ancora, tutte indimenticabili e splendidamente eseguite.

Piaf non è certo un capolavoro, ma se volete passare una bella serata con ottima musica e bravi attori io ve la consiglio.

★★

lunedì 26 ottobre 2015

Hey, Old Friends! al Theatre Royal, Drury Lane


Pochi compositori hanno influenzato il teatro musicale quanto Stephen Sondheim, l'autore degli acclamatissimi Sweeney Todd, Into the Woods, Follies, A Little Night Music, Passion, Pacific Overtures e tanti altri ancora. Vincitori di un Oscar, otto Tony Awards e di un numero imprecisato di Grammy, Sondheim ha completato il processo iniziato dal suo maestro Oscar Hammerstein II (Il Re ed Io, Tutti insieme appassionatamente) di trasformare il teatro musicale da genere di puro intrattenimento a una nuova e potente forma di teatro moderno capace di trasmettere emozioni al di là di ogni sforzo del teatro di prosa.

Influenzato da Ravel e Rachmaninoff nella musica e da Brecht nei libretti, Sondheim è riuscito ad elevare il musical a vera e propria forma d'arte riscuotendo successi in tutto il mondo anglosassone ed è tanto amato nei natii Stati Uniti quanto in Gran Bretagna. Da 22 anni infatti la Sondheim Society di Londra organizza eventi per avvicinare il pubblico all'opera di questo geniale compositore con concerti, competizioni e speciali rappresentazione. Ieri sera, per una rappresentazione soltanto, è andato in scena al Drury Lane Theatre un grande concerto per celebrare l'ottantacinquesimo compleanno di Sondheim e, tra gli oltre cento artisti coinvolti, non mancano i nomi dell'aristocrazia del teatro musicale britannico: Rosemary Ashe, Marianne Benedict, Tracie Bennett, Lorna Dallas, Anita Dobson, Erin Doherty, Anton Du Beke, Daniel Evans, Dominic Ferris, Tim Flavin, Anna Francolini, Tiffany Graves, Simon Green, Haydn Gwynne, Anita Harris, Kit Hesketh-Harvey, Marilyn Hill Smith, Bonnie Langford, Rula Lenska, Jason Manford, Millicent Martin, James McConnel, Grant McConvey, Alistair McGowan, Robert Meadmore, Martin Milnes, Charlotte Page, Nicholas Parsons, Michael Peavoy, Laura Pitt-Pulford, Anne Reid, Joseph Shovelton, Sally Ann Triplett e Michael Xavier. E, tanto per non esagerare, aggiungiamoci pure il ritorno sulle scene della grande dame Julia McKenzie dopo oltre dieci anni di silenzio e un'orchestra dal vivo di oltre quaranta elementi e vi farete un'idea di cos'è Hey Old, Friends!

E' stata decisamente una serata di grande musica, eseguita impeccabilmente dall'ottima orchestra e dall'impressionante sfilata di grandi nomi del musical inglese. I momenti migliori della serata sono stati, secondo me, il bellissimo duetto Move On tra Anna Francolini e Daniel Evans, l'esilarante There's Always A Woman cantanta da Rosemary Ashe e Laura Pitt-Pulford e l'incredibili medley di Martin Milnes e Dominic Ferris: in cinque minuti hanno intrattenuto il pubblico con 43 canzoni! Bonnie Langford, una delle beniamine del pubblico britannico sin dagli anni settanta, ha sfidato la gravità (e i suoi oltre cinquant'anni) in un'acrobatica Can That Boy Foxtrot!, non solo cantata splendidamente ma eseguita nel corso di spettacolari ed elaborati passi di danza.

Millicent Martin


L'ultima mezz'ora, poi, è stata davvero fenomenale, con una successione di sei canzoni e sei artisti semplicemente straordinari. A cominciare il grande finale ci ha pensato l'ottuagenaria Millicent Martin, che ha deliziato il pubblico con una canzone davvero birichina prima di lasciare il palco a Tracie Bennett e alla sua esilarante Broadway Baby. Haydn Gwynne ha cantato una struggente Send in the Clowns e l'ottimo soprano Charlotte Page ha fatto inumidire parecchi occhi con un'indimenticabile Losing My Mind. Kim Criswell ha risollevato il morale con una I'm Still Here da far tremare i lampadari e, alla fine, Michael Xavier ha regalato la miglior performance della serata con una potentissima Being Alive

Hey, Old Friends! è stata una grande celebrazione, impeccabilmente interpretata ed eseguita, del genio di Sondheim e, francamente, io sto già cominciando a risparmiare per il novantesimo compleanno del maestro... un'altra serata come questa non me la perderei per nulla al mondo!

mercoledì 21 ottobre 2015

Matilda al Cambridge Theatre


Ora nel suo quarto glorioso anno di repliche al Cambridge Theatre, Matilda è la prova che la Royal Shakespeare Company non è brava solo quando si tratta di teatro di prosa. Il musical, tratto dall'omonimo romanzo di Roald Dahl, con libretto di Dennis Kelly e musiche e versi di Tim Minchin, ha collezionato premi su entrambe le sponde dell'Atlantico e ora si parla anche di un adattamento cinematografico.

Matilda Wormwood è una bambina intelligentissima che cresce in una famiglia che non si cura minimamente di lei e la sua unica gioia è la biblioteca che, nonostante i suoi sei anni, frequenta assiduamente. Anche la scuola si rivela una potente alleata grazie alla dolcissima maestra Honey e i simpatici compagni... peccato per la terrificante preside Agatha Trunchbull, l'ex campionissima olimpica di lancio del martello che tratta i bambini come esseri inferiori e somministra loro punizioni crudeli secondo un suo arbitrario senso di giustizia. Ma Matilda, con la sua grande bontà, prodigiosa intelligenza e poteri speciali riuscirà a risollevare la situazione e rendere migliori la scuola e le persone che le stanno intorno.

Matilda è un musical dolcissimo per tutta la famiglia che, con le sue canzoni orecchiabili e l'esilarante libretto, riesce a regalare forti emozioni a grandi e piccini. L'aspetto tecnico dello spettacolo è impeccabile in tutti i suoi aspetti: la regia di Matthew Warchus è precisa e originale, le scenografie di Rob Howell sono geniali e funzionali, le magie create da Paul Kiev sono da lasciare a bocca aperta e le coreografie di Peter Darling sono semplicemente mozzafiato. 



Tutto ciò andrebbe sprecato se il cast in scena non fosse all'altezza delle aspettative, ma questo non è decisamente il caso: tutti, dai bambini agli adulti, sono eccellenti nei rispettivi ruoli e brillano per talento nel canto, ballo e recitazione. Nel ruolo di Matilda si alternano cinque ragazzine (io ho visto la bravissima Evie Hone) e in scena ogni sera ci sono nove bambini che, per talento e professionalità, non sono affatto inferiori agli adulti. Ruba la scena Craige Els nel ruolo della malvagia preside Truchbull, un ruolo ruolo tradizionalmente interpretato da un uomo: deliziosamente perfido(a?), tanto alto da torreggiare su tutti e tutto sul palco, Els è eccellente nel creare una Truchbull spaventosa ed esilarante, sempre in bilico tra l'isteria e l'ossessivo ricordo del glorioso passato sportivo. 



Nel ruolo della timida e dolcissima maestra c'è la brava Miria Parvin, mentre gli eccentrici genitori di Matilda, i Wormwoods, sono interpretati dagli spassosissimi Rebecca Thonhill e  Michael Begley. Ottimo anche il resto del cast: John Brannoch (Rudolpho), Olly Dobson (Michael Wormwood), Demi Goodman (Cuoca), Elliot Harper (Escapologista), Will Hawsworth (Dottore), Charlotte Scott (Acrobata), Sharlene Whyte (Mrs. Phelps), Fabian Aloise, Robbie Boyle, Jonathan Cordin, Kate Kenrick, Rachel Moran, Matthew Serafini, Bianca Szynal, Laura Tyrer.

Matilda è un musical leggero e sopra le righe che unisce momenti commoventi ad altri davvero esilaranti, un ottimo momento di svago per tutta la famiglia... E se avete tra i sedici e i venticinque anni potere comprare i biglietti per sole cinque sterline!


★★★★

sabato 17 ottobre 2015

Farinelli and the King al Duke Of York's Theatre


La compositrice Claire van Kampen al suo debutto come drammaturga è riuscita a scatenare un grandissimo entusiasmo nel pubblico sin dal debutto di Farinelli and the King al Globe Theatre in febbraio. Un successo tale che, a sette mesi dalla sua prima rappresentazione, Farinelli ha debuttato anche nel West End - il quartiere dei teatri del cuore di Londra.

Il grande successo di critica e pubblico non è legato tanto alla scrittura della van Kampen, quanto più al genio del marito, il gigante Mark Rylance. E' un attore praticamente sconosciuto in Italia, ma per gli amanti del teatro è un nome da pronunciare con venerazione e rispetto. Acclamato interprete di tutti i grandi ruoli shakespeariani (non solo maschili), Mark Rylance si è scoperto eccezionale attore anche in opere moderne come Jerusalem, in cui aveva recitato con tale passione da venir salutato come la sua miglior performance di sempre... almeno fino ad oggi.

Farinelli and the King racconta del rapporto tra Filippo V di Spagna ed il cantante castrato Farinelli, star dell'opera nel XVIII secolo. Quando Filippo comincia a dare segni di un incipiente squilibrio mentale e di incapacità di continuare a regnare, la moglie Isabella Farnese supplica il grande cantante di recarsi alla corte di Spagna per cercare di curare il sovrano con la sua voce straordinaria. L'insolita terapia sembra funzionare, ma Filippo sviluppa una sorta di dipendenza per la voce di Farinelli e costringe il cantante a seguire lui e la regina nel bosco per un sogno bucolico... con grande sospetto dei ministri e della corte.

Farinelli and the King ci racconta di due uomini all'apice della fama e del potere, eppure frustrati ed infelici. Due re con una corona che non vorrebbero portare, traditi dalla famiglia e costretti a una vita che altri hanno voluto per loro: da una parte c'è Farinelli, fatto castrato dal fratello (il mediocre compositore Riccardo Boschi) ed esibito come un uccello raro su tutti i palchi d'Europa; dall'altra c'è Filippo, cresciuto a Versailles sotto l'egida del Re Sole e poi mandato a regnare in Spagna, un Paese arretrato che non offriva certo le possibilità di Parigi. Soffocati dalla vita, dalla famiglia, dagli obblighi e dall'etichetta Farinelli e Filippo cercano una via di fuga, abbandonare le scene e abbandonare la corona.

Melody Grove, Mark Rylance e Sam Crane

La piece di per sé non è niente di eccezionale: il primo atto è buono, nel secondo la trama si assottiglia a tal punto che in un paio di scene non ero più neanche sicuro di cosa stessi realmente vedendo. Ha qualche momento davvero buono, ma per il resto è soltanto il trampolino per le due vere attrattive della serata: la musica e Rylance. Partiamo dalla prima: il ruolo di Farinelli è "diviso in due", con un attore - l'ottimo Sam Crane - che interpreta il famoso castrato in tutte le scene e un cantante che dà voce al personaggio quanto canta le bellissime arie del periodo con cui si esibisce durante lo spettacolo (in particolare la struggente "Lascia ch'io pianga" di Handel). Nel ruolo di "Farinelli-Cantante" si alternano tre controtenori - il timbro di voce maschile che, pur essendo lontanissimo da quello dei castrati, più gli si avvicina - in diversi giorni della settimana: Iestyn Davies, Rupert Enticknap e Owen Willetts (nelle mie due visite ho visto Enticknap e Willetts, entrambi eccellenti). La voce del cantante, insieme alla musica dell'orchestra di strumenti d'epoca in scena, regala momenti di pura emozione. Su Mark Rylance c'è poco da dire: la sua performance non è fatta di virtuosismi ma di sfumature e la sua è la più alta forma di recitazione, quella che non si vede.

Molto buono anche il resto del cast, composto da Huss Garbiya (Dottor Jose Cervi), Melody Grove (Isabella Farnese), Colin Hurley (Metastasio) ed Edward Peel (De la Cuadra). A completare l'atmosfera di pensa la scenografia sapientemente creata da Jonathan Fenson, che ha voluto rievocale il clima di un teatro seicentesco con parte del pubblico sul palco e lo spazio scenico illuminato solo dalle candele.

Farinelli and the King è la storia di due solitudini che si incontrano e, pur non essendo un capolavoro, è capace di regalare grandi emozioni.

★★½

giovedì 15 ottobre 2015

Our Country's Good al National Theatre


Dopo oltre venticinque anni dal debutto il capolavoro di Timberlake Wartenbaker è tornato sulle scene londinesi in una nuova e gloriosa versione al National Theatre.

Ambientato in una colonia penale britannica in Australia nel 1789, Our Country's Good racconta dell'ambizioso progetto del sottotenente Ralph Clark di mettere in scena una commedia interpretata dai detenuti, per fa sì che la loro pena non sia solo punitiva ma anche riabilitativa. Osteggiato dai superiori e dal comportamento degli stessi detenuti, Ralph riuscirà a portare in scena la sua commedia solo dopo aver superato svariate vicissitudini tra cui la scongiurata condanna a morte della sua protagonista.

Our Country's Good è uno splendido testo sull'alto valore morale ed educativo del teatro e più in generale di ogni forma d'arte, sul potere della letteratura di elevarci e renderci migliori. La Wartenbaker non dimentica, però, il mostruoso genocidio attuato contro gli aborigeni, una strage qui ricordata dalla presenza di un membro di una tribù autoctona (l'ottimo Gary Wood) che si aggira furtivamente per il campo e che alla fine morirà per le malattie portate dall'uomo bianco.

La regista Nadia Fall ha realizzato un allestimento che riesce ad essere tanto magnifico quanto minimalista, capace di momenti visivi davvero impressionanti (non dimenticherò presto la scena in cui il palco si è letteralmente spaccato in due per rivelare l'interno della nave che portava i detenuti britannici nella colonia penale... e il loro mostruoso trattamento). La Fall ha avuto dalla sua un ottimo cast, uno di quei gruppi di interpreti che ci ricordano che non esistono piccoli e grandi ruoli, ma piccoli e grandi attori: è un'opera molto corale e ricchissima di ruoli da caratteristi, ognuno interpretato in modo memorabile.



Con la colonna sonora di Cerys Matthews, la stupefacente scenografia di Peter McKintosh e le ottime luci di Neil Austin, Our Country's Good è davvero un allestimento impeccabile di un testo pregno di significati, a tratti violento e a tratti esilarante, sul ruolo dell'arte nelle nostre vite, sull'inumanità della pena, su cosa l'Europa ha costruito la propria egemonia e sulla redenzione del singolo e della società. Un'opera monumentale che deve assolutamente essere messa in scena anche in Italia, uno di quei rari e magici momenti in cui quando esci dalla sala pensi "E' per questo che faccio teatro".

★★★★

mercoledì 14 ottobre 2015

Absent alla Shoreditch Town Hall


Non sono sicuro se Absent sia davvero teatro... e non lo dico in senso dispregiativo! Absent non è un'opera teatrale nel senso stretto del termine: non c'è una trama, un copione, uno sviluppo, una vicenda. Non ci sono nemmeno gli attori!

Ispirato alla vicenda della duchessa di Argyll Margaret Campbell, Absent inscena la storia di Margaret de Beaumont: entrata diciottenne nel Shoreditch Town Hotel negli anni cinquanta, ne è stata sbattuta fuori ottantenne ai giorni nostri per debiti. L'hotel, d'altro canto, è esso stesso in declino e dopo un'importante opera di ristrutturazione è forse pronto a riprendere un ruolo egemone nell'industria turistica londinese.

Ma, tutto questo, è soltanto intuibile nel corso della performance (o installazione?): il pubblico è lasciato solo a vagare per le stanze ridotte in diversi livelli di decrepitezza e ha solo alcuni indizi per ricostruire la vicenda... Pochi ritagli di giornale, bottiglie di alcolici vuote, una collana di perle disseminata in giro, uno specchio e dei profumi... La performance ci racconta due storie di declini e, forse, una di ripresa.

Absent è uno spettacolo in cui è la scenografia, le luci, la musica a creare la storia e l'effetto. E' una performance di emozioni e atmosfere, non di trama o risposte. E, fidatevi, è davvero un'esperienza inquietante girare in quelle stanza vuote e abbandonate che sembrano essere (e portare) al confine della follia. E' un'esperienza più che uno spettacolo, uno stato d'animo più che un dramma. Uscirete agitati, confusi e inquieti, chiedendovi cosa avete visto. E, forse, nel non saper rispondere a questa domanda sta tutto il significato dell'opera.

★★★

PS: Date un'occhiata qui per farvi un'idea!

Riccardo II al Globe Theatre


C'è poco da dire, vedere Shakespeare al Globe è davvero un'esperienza unica che raccomando a tutti gli appassionati di teatro di passaggio a Londra. E per cinque sterline stare in piedi per tre ore non è poi un sacrificio così grande. Lo spettacolo - o meglio, la tragedia - che sono andato a vedere è Riccardo II, uno di quei drammi di Shakespeare che per qualche motivo non è mai noto o rappresentato quanto quei cinque o sei che appaiono regolarmente nelle locandine di tutti i teatri... Eppure non è certo un'opera minore e tutto in essa richiama Shakespeare: lo straordinario uso della lingua, il tema del potere, l'interrogativo politico e il dibattito sul duplice corpo del Re, quello di persona fisica e di persona morale.

I due aristocratici Bolingbroke e Mowbray si accusano a vicenda dell'omicidio del duca di Glaucester e Riccardo II decide di concludere la diatriba condannando all'esilio entrambi i presunti cospiratori: a vita per Mowbray e per sei anni al cugino Bolingbroke. Ma quando la corona incontra difficoltà economiche Riccardo decide di confiscare i beni di Bolingbroke, un atto senza precedenti: indignata è la reazione dei nobili e semplicemente furiosa quella dell'esiliato, che si interroga (a ragione) su cosa accadrà di lui al termine dell'esilio. Bolingbroke crea un esercito e marcia sull'Inghilterra, portando uno spaventato Riccardo - abbandonato da consiglieri e presunti amici - a perdere prima la corona e poi la vita.

Questa nuova produzione diretta da Simon Godwin, in scena fino al 18 ottobre, dipinge Riccardo II non tanto come una cattiva persona o un tiranno, quanto più come un uomo assolutamente inadatto a ricoprire il ruolo di sovrano; a questo proposito è stata aggiunta una bellissima scena proprio all'inizio, l'incoronazione del decenne Riccardo. E' impressionante quanto le movenze di Charles Edwards, un ottimo Riccardo, richiamino quelle del bambino della prima scena: perché questo è il Riccardo di Edwards, un uomo inetto e infantile che continua a credere che tutto gli sia dovuto e concesso. Non pecca di arroganza, ma di leggerezza. Grazie all'aggiunta di questa scena capiamo anche il perché è così difficile per Riccardo lasciare andare la corona: è il ruolo che ha recitato da quando era un bambino. Il suo Riccardo, comunque, è capace non solo di momenti di grande intensità, ma anche di ironia: indimenticabile il momento in cui invita il cugino a prendere la corona con lo stesso tono con cui non incoraggiamo il nostro cane a riportare il bastone.



Il resto del cast è altrattanto solido: Oliver Bott (Mowbray/Carlisle), Graham Butler (Aumerle), William Chibb (Duke of York), Jonny Glynn (Northumberland), Greg Haiste (Bushy), Angus Imrie (Bagot), Richard Katz (Giardiniere/Exton), Ekow Quartey (Ross), Anneika Rose (Regina Isabel), David Sturzaker (Bolingbroke), Sasha Waddell (Duchessa di Glaucester) e Arthur Wilson (Green). William Gaunt era assente per malattia e Henry Everett (impegnato anche nel ruolo di Salisbury) lo ha sostituito con il copione in mano. Una particolare menzione di merito va all'esilarante Sarah Woodward per la sua interpretazione della Duchessa di York, ha davvero rubato la scena!

Questo allestimento di Riccardo II è una produzione elegante e non priva di ironia che, pur non essendo particolarmente originale, fa riscoprire al pubblico un testo godibilissimo e spesso dimenticato.

★★★½

domenica 11 ottobre 2015

Hangmen al Royal Court Theatre


Il brillante commediografo Martin McDonagh ha presentato al Royal Court Theatre il suo primo lavoro sulle scene londinesi dopo oltre dieci anni di assenza, ma è come se il tempo non fosse mai passato. Eccola lì la vecchia grinta, l'umorismo graffiante e un po' macabro, quel gusto unico per il grottesco e per il colpo di scena... Hangmen è questo e tanto altro ancora.

1963: James Hennessy, nonostante protesti la sua innocenza, viene impiccato da Harry Wade, il "secondo miglior boia del Regno Unito", per l'omicidio di diverse donne a Norfolk.

1965: La pena di morte è stata abolita e Harry si è reinventato come barista e conduce una vita tranquilla con la bella moglie Alice e la lunatica figlia Shirley. Tutto cambia quando nel giorno del secondo anniversario della morte di Hennessy Shirley sparisce misteriosamente e Syd, il vecchio assistente di Harry, va a trovare l'ex boia con una notizia allarmante: hanno impiccato l'uomo sbagliato, l'assassino di Norfolk è ancora a piede libero e forse ha già trovato la sua nuova vittima...

Hangman è un'ottima opera teatrale che, con un umorismo un po' cinico, riflette su temi importanti come la pena di morte. McDonagh ha scelto come culla per il suo ultimo bambino il Royal Court Theatre, il grande tempio del teatro moderno che ha consacrato drammaturghi come Sarah Kane, Martin Crimp, Timberlake Wertenbaker e Ionesco, e non avrebbe potuto trovare balie migliori del bravo regista Matthew Dunster

Per non parlare del cast! Davvero impeccabile, in particolare per il burbero Harry di David Morrissey ed il "vagamente minaccioso" Mooney di Johnny Flynn, la vera punta di diamante della commedia. Ma tutti, davvero tutti, fanno un lavoro eccezionale con i loro ruoli e meritano di essere ricordati per le loro brillanti interpretazioni da caratteristi: Josef Davies, James Dryden, Graeme Hawley, Ralph Ineson, Bronwyn James, Ryan Pope, Sally Rogers, Simon Rouse e Reece Shearsmith. Una particolare menzione anche alla scenografia di Anna Fleischle: il cambio di scena tra il 1963 ed il 1965 è una delle cose più spettacolari che abbia mai visto.

Johnny Flynn e Sally Rogers

Osannato dalla critica e dal pubblico, Hangmen ha conluso un glorioso mese di repliche completamente sold out al Royal Court proprio ieri sera. Ma non disperate: da dicembre lo potrete vedere al Wyndham's Theatre, nel cuore del West End. Se passate per Londra non lasciatevelo scappare: non succede spesso che malinconia e umorismo esilarante, tensione e divertimento formino un mix perfetto quanto in Hangmen.


Una curiosità: quando ho visto Hangmen il mio vicino di posto era Martin "Bilbo Baggins" Freeman!!! Non credo che me lo scorderò tanto presto...

★★★★



Teddy Ferrara alla Donmar Warehouse


La prestigiosa Donmar Warehouse, uno dei teatri più acclamati e ambiti di Londra, sta ospitando la prima produzione inglese dell'ultima fatica del finalista al Premio Pulitzer Christopher Shinn: Teddy Ferrara.

La piece ci parla di Gabe, un ragazzo omosessuale alle prese con il suo ultimo anno di università, la presidenza del gruppo LGBTQ, una candidatura alla rappresentanza degli studenti e la nuova relazione con l'ambizioso direttore del giornale universitario, Drew.

Il delicato equilibrio della vita di Gabe (e dell'intera università) si spezza quando Drew pubblica un articolo sul fatto che uno studente suicidatosi l'anno prima era un omosessuale non dichiarato: a nulla servono i tentativi del preside per fermare l'indignazione della comunità dei giovani gay, che pretende uguaglianza e rispetto non solo sulla carta. Ad aggravare la situazione ci pensa il suicido di Teddy Ferrara, un ragazzo gay timido e introverso che nasconde una vita sessuale estrema su Internet. La spirale di eventi causata dal secondo suicidio coinvolgerà intimamente tutti i personaggi e cambierà le loro vite.

Teddy Ferrara aveva davvero tutti i crismi e le premesse per essere un'opera significativa, eppure la sua stessa ambizione le impedisce di arrivare al risultato a cui aspira. Il problema del dramma può essere ridotto al buon vecchio modo di dire "avere troppa carne al fuoco". Perché di questo si tratta, ci sono troppi imput e nessuno viene sviluppato con la serietà che meriterebbe. C'è l'omofobia, chiaro, che è il tema principale della piece; c'è l'impressionante tasso di suicidi tra i giovani gay; c'è il senso di alienazione causato dal vivere in un mondo strettamente eterosessuale; c'è la promiscuità che impedisce l'instaurarsi di relazione profonde; c'è la mancanza di visibilità dei transgender e la totale ignoranza della gente a questo proposito; per non parlare di quanto sia difficile essere disabili in un mondo che ha così cari i valori estetici come quello dei giovani gay. E ancora: gli omosessuali che si vergognano così tanto da fingersi etero e stare in relazioni bluff, il controverso mondo degli incontri online e delle app come Grindr, l'ambizione, il potere. Davvero, davvero troppi. La piece dice tante cose molto giuste che avrebbero meritato un maggiore approfondimento e invece restano lì, rozzamente abbozzate.

La colpa non è certo del regista Dominic Cooke e nemmeno del bravo cast con così tanti giovani in scena: Luke Newberry (Gabe), Nancy Crane (Provost), Oliver Johnstone (Drew), Kadiff Kirwan (Nicky), Ryan McParland (Teddy Ferrara), Matthew Marsh (Preside), Anjli Mohindra (Jenny), Pamela Nomvete (Ellen), Nathan Wiley (Tim), Gryffin Gyllian (Jaq), Christopher Imbrosciano (Jay), Nick Harris (poliziotto) e Abubakar Salim (poliziotto).

Il bravo Ryan McParland è Teddy Ferrara


Eppure, nonostante gli sforzi congiunti di tanti artisti di talento, il dramma non decolla mai: il primo atto è un lungo susseguirsi di scene quasi slegate che non portano a niente; il secondo è un po' meglio, ma non si sfiora mai quell'intensità che una piece su un tema come questo dovrebbe saper creare. Tuttavia, forse a causa delle sue stesse ingenuità e dei suoi personaggi così rudimentali, Teddy Ferrara riesce a creare una certa atmosfera di alienazione, solitudine ed incomunicabilità. E' praticamente un effetto collaterale, ma colpisce.

Il programma di sala riporta alcuni dati che fanno riflettere più di quanto non faccia lo spettacolo di per sé e vorrei condividerli con voi:
  • Il 13% degli uomini gay o bisessuali hanno sperimentato la depressione a diversi stadi, a differenza del 7% degli uomini eterosessuali
  • Il 23% dei giovani gay, lesbiche, bisessuali o transessuali ha tentato il suicidio almeno una volta
  • Il 27% degli uomini gay ha contemplato il suicidio, una percentuale che sale al 35% per gli omosessuali di colore, al 38% per i bisessuali e al 47% per gli omosessuali disabili. 
  • Il 55% degli omosessuali è stato vittima di bullismo a scuola
  • Il 46% dei giovani omosessuali che ha subito bullismo soffre di depressione, così come il 35% di quelli che sono stati "lasciati in pace". Per gli eterosessuali la stima è del 5%
  • Il 28% dei ragazzi gay vittime di bullismo ha tentato il suicido.

Il prossimo lavoro della Donmar sarà un revival dell'affascinante dramma Le relazioni pericole con la due volte candidata al premio Oscar Janet McTeer nel ruolo reso celebre da Glenn Close... speriamo che dalla fine di novembre la Donmar possa tornare ad essere una fucina di eccellenze e che Teddy Ferrara non sia stato che un incidente di percorso.


★★