giovedì 25 febbraio 2016

Cleansed al National Theatre



Benvenuti nel mondo di Sarah Kane, controversa drammaturga inglese che negli ultimi anni del Novecento ha presentato al pubblico londinese cinque drammi molto violenti e dibattuti, prima di impiccarsi all'età di 28 anni. Tra questi cinque, nessuno è più violento e dibattuto di Cleansed, Purificati, il terzo dramma della Kane. La leggenda racconta che Sarah abbia trovato l'ispirazione in un saggio del critico Roland Bartes che afferma "essere innamorato è come essere ad Auschwitz". E questa è anche un perfetto riassunto della trama: i cinque personaggi principali verranno brutalmente torturati e martoriati nel corso dei cento minuti del dramma per l'amore che li lega tra loro.

Ambientato in quello che sembra un ospedale psichiatrico abbandonato, la prima scena ci presenta Tinker, l'aguzzino, che inietta eroina nelle palpebre di Graham e questo scatena tutti gli eventi che seguono. La sorella di Graham, Grace, che lo ama forse anche più del dovuto, lo viene a cercare e pagherà il prezzo del suo amore con l'elettroshock (esperienza vissuta in prima persona dalla Kane) e con un trapianto di genitali maschili per diventare identica a Graham. La coppia gay costituita da Carl e Rod passa anche attraverso momenti peggiori: per mostrare a Carl che anche l'amore può essere piegato, Tinker lo impala parzialmente, gli taglia la lingua, le mani, i piedi e il pene (proprio quello che impianterà a Grace) e infine uccide Rod. Robin, un ragazzino innamorato di Grace, verrà umiliato fino ad essere spinto al suicidio. Una ballerina viene fucilata perché innamorata - e corrisposta - da Tinker. Alla fine, quando anche gli aguzzini lasciano il palco, Grace - ora Graham - si scatena in una violenta danza per esprimere il suo dolore o, forse, una gioia selvaggia per essere l'unica ancora in vita sul palco. 



Cleansed è un dramma violento ed esplicito: si vedono corpi nudi, sesso e sangue, torture, omicidi, stupri e un suicido. Alcune scene sono così brutali che ogni sera dal debutto diversi spettatori hanno lasciato la sala durante il corso della rappresentazione; una donna seduta nella fila davanti alla mia è svenuta e, una volta tornata in sé, il marito ha passato il resto del tempo a sussurrare quando poteva guardare e quando doveva distogliere lo sguardo. La violenza, spesso gratuita e sopra le righe, è una costante del teatro della Kane; lei ha sempre difeso questa scelta sostenendo che il suo tentativo è quello di mettere in scena quello che si credeva inscenabile, spingere le barriere del realismo sulla scena fino a dove non erano mai state spinte prima. Fair enough. "Non c'è niente che non si possa raffigurare su un palco" ha detto la Kane "Se dici che non puoi inscenare qualcosa, dici che non puoi parlarne, ne stai negando l'esistenza e questa è una cosa straordinariamente ignorante da fare". E' un ragionamento che ha una sua logica, non c'è che dire. Il problema però è che l'approccio della regista Katie Mitchell tende ad essere, per usare una parola un po' troppo esagerata, quasi puritano. Sia chiaro, l'efferatezze, il nudo e la tortura avvengono come da copione, ma non c'è quell'esaltazione del massacro, quello spingere oltre le barriere del teatro che la Kane tanto bramava. E' come se Woody Allen dirigesse un film su una sceneggiatura di Tarantino, non può ignorare la violenza ma la minimizza quando può. Certo, un piede mozzato in scena è un piede mozzato in scena, la violenza e tanta e forte da guardare (mentirei se dicessi di non aver mai distolto lo sguardo), ma quando l'amputazione finisce si passa oltre e fine. Le vittime gemono sommessamente, ma nessuno grida per il dolore. E alcune scene, nel contesto, appaiono quasi pudiche. Il risultato è un "vorrei ma non posso", che preferisco interpretare come un non voler cedere al gusto del massacro piuttosto che come un tentativo di rendere più commestibile un testo indigesto. 


E, svenimenti a parte, ho sentito parecchi - e non molto educati - sbadigli: se lo scopo è scioccare qualcosa è andato chiaramente storto. Alcuni momenti hanno decisamente una loro poesia, come quando gli scagnozzi di Tinker (il cui nome pare sia stato ispirato dal critico teatrale Jack Tinker, fiero stroncatore di tutte le opere della Kane) camminano al rallentatore stringendo mazzi di fiori bianchi, ma credo che il sentimento generale sia soprattutto di perplessità. Perché, alla resa dei conti, rimane la domanda: cosa sto vedendo? Forse è tutto un incubo di Graham dovuto a un'overdose di eroina o forse è semplicemente quello che vediamo: persone torturate perché amano altre persone. E, forse, c'è addirittura un messaggio positivo: Carl continua ad amare Rod anche dopo essere stato mutilato ed evirato, solo la morte del fidanzato pone effettivamente fine alla loro relazione.

Certo, è uno spettacolo molto duro da portare in scena: gli attori non devono solo superare il comprensibile blocco di apparire nudi davanti a centinaia di persone, ma quelli che interpretano sono ruoli che richiedono di portate alla luce le loro parti più oscure (non solo letteralmente), sono parti che logorano e affaticano un attore oltre a ogni dire. Graham Butler (Riccardo II) è un bravo Graham, Natalia Klamar è un'inquietante ballerina, Matthew Tennyson è un Robin dolce e indifeso e Michelle Terry dà davvero l'anima nel ruolo di Grace. Tom Mothersdale riesce addirittura nella titanica impresa di far provare quasi compassione per il tormentato Tinker; Peter Hobday (Carl) e George Taylor (Rod) non fanno altro che essere torturati, ma lo fanno con stile.


La domanda di fondo, però, resta: è uno spettacolo valido o è una provocazione fine a sé stessa? Sarah Kane è stata un modello per giovani scrittori e ha portato qualcosa di nuovo e innovativo al teatro inglese, ma quanto di quello che ha scritto è valido oggi e non è semplicemente un grido di aiuto da parte di una donna molto malata (il suo ultimo dramma, Psychosis 4.48, rappresentato postumo, è chiaramente una lettera di un suicida)? Oggi, dopo sette episodi della saga di Saw e il successo dei film splatter, questo testo ci dice ancora qualcosa se togliamo la violenza? O forse, questo testo scritto all'indomani del genocidio in Bosnia, un testo che grida "Olocausto!" da tutte le parti, ha detto tutto quello che doveva dire? Io non lo so, forse un regista più coraggioso della Mitchell ha la risposta. Questa produzione ha due problemi. Il primo è la regista, che non ha capito che se balli col diavolo ti conviene stringerti forte o lasciar perdere. L'altro è il testo di per sé, un'opera praticamente unica nella storia del teatro scritta da una grande ribelle. E, come si sa, il banco di prova per i ribelli è il tempo: alcuni lo superano brillantemente è diventato dei pionieri, altri si rivelano essere solo dei provocatori e finiscono nel dimenticatoio. Forse, a diciotto anni dal debutto al Royal Court, non è ancora passato abbastanza tempo per esprimere un vero e proprio giudizio su Cleansed

lunedì 22 febbraio 2016

WhatsOnStage Awards


Ieri sera si è svolta al Prince of Wales Theatre la cerimonia della consegna dei WhatsOnStage Award, l'unico premio londinese ad essere votato dal pubblico e non dalla critica. Giunto alla sua sedicesima edizione, i WhatsOnStage Award di quest'anno hanno premiato le eccellenze del teatro inglese e le sue stelle più scintillanti. Tra le dozzine di candidati, tre spettacoli hanno brillanto più di tutti: l'Amleto con Benedict Cumberbatch e i musical Kinky Boots e Gypsy.

Il giovane Alex Parker (Kings of Broadway) ha diretto l'orchestra dal vivo che ha accompagnato la cerimonia e con cui si sono esibiti diversi artisti nel corso della serata, tra cui Janie Dee (Hand to God), Nadim Naaman (Kings of Broadway), il cast di Les Misérables e Jenna Russell, che ha cantato il suo cavallo di battaglia dalla produzione recentemente conclusasi di Grey Gardens.

Ecco la lista di candidati e vincitori:

Miglior attore in un'opera di prosa
  • Benedict Cumberbatch, Hamlet
  • James McAvoy, The Ruling Class
  • Bradley Cooper, The Elephant Man
  • Mark Rylance, Farinelli and the King
  • Alex Hassell, Henry V

Miglior attrice in un'opera di prosa
  • Nicole Kidman, Photograph 51
  • Denise Gough, People, Places and Things
  • Lia Williams, Oresteia
  • Rosalie Craig, As You Like It
  • Harriet Walter, Death of a Salesman 

Miglior attore in un musical
  • Matt Henry, Kinky Boots
  • Killian Donnelly, Kinky Boots
  • Michael Ball, Mack and Mabel
  • Sam Mackay, In the Heights
  • Ben Forster, Elf the Musical 

Miglior attrice in un musical
  • Imelda Staunton, Gypsy
  • Beverley Knight, Cats
  • Kimberley Walsh, Elf the Musical
  • Lily Frazer, In the Heights
  • Katie Brayben, Beautiful: The Carole King Musical

Miglior attore non protagonista in un'opera di prosa
  • Mark Gatiss, Three Days in the Country
  • Ciaran Hinds, Hamlet
  • Bertie Carvel, Bakkhai
  • Johnny Flynn, Hangmen
  • Kobna Holdbrook-Smith, Hamlet

Miglior attrice non protagonista in un'opera di prosa
  • Judi Dench, The Winter’s Tale
  • Sian Brooke, Hamlet
  • Anastasia Hille, Hamlet
  • Imogen Doel, The Importance of Being Earnest
  • Patsy Ferran, As You Like It 
Miglior attore non protagonista in un musical
  • David Badella, In the Heights 
  • Lucas Rush, American Idiot
  • Alexis Gerred, American Idiot
  • Jack Edwards, Mack and Mabel
  • Peter Davison, Gypsy
Miglior attrice non protagonista in un musical
  • Lara Pulver, Gypsy
  • Jennie Dale, Elf the Musical
  • Amy Lennox, Kinky Boots
  • Lauren Samuels, Bend It Like Beckham
  • Victoria Hamilton-Barritt, In The Heights

Migliore opera di prosa
  • Photograph 51
  • Hangmen
  • Oppenheimer
  • People, Places and Things
  • Farinelli and the King

Miglior nuovo musical
  • Kinky Boots
  • Bend It Like Beckham
  • Elf the Musical
  • Beautiful
  • In The Heights

Miglior revival di un'opera di prosa:
  • Hamlet
  • Importance of Being Earnest
  • The Ruling Class
  • Death of a Salesman
  • Oresteia

Miglior revival di un musical:
  • Gypsy
  • Cats
  • High Society
  • Mack and Mabel
  • American Idiot

Miglior regia:
  • Gypsy, Jonathan Kent
  • Hamlet, Lyndsey Turner
  • In The Heights, Luke Sheppard
  • American Idiot, Racky Plews
  • Kinky Boots, Jerry Mitchell

Migliori coreografie:
  • Kinky Boots, Jerry Mitchell
  • In The Heights, Drew McOnie
  • High Society, Nathan M Wright
  • Gypsy, Stephen Mear
  • American Idiot, Racky Plews
Migliori scenografie:
  • Hamlet, Es Devlin
  • American Idiot, Sara Perks
  • Kinky Boots, David Rockwell
  • In The Heights, Takis
  • Gypsy, Anthony Ward

Migliori luci:
  • Hamlet, Jane Cox
  • In The Heights, Howard Hudson
  • American Idiot, Tim Deiling
  • Kinky Boots, Kenneth Posner
  • Gypsy, Mark Henderson

Miglior produzione dell'Off West End:
  • Carrie, Southwark Playhouse
  • Shock Treatment, King’s Head Theatre
  • You Won’t Succeed on Broadway If You Don’t Have Any Jews, St James’s Theatre
  • Grand Hotel, Southwark Playhouse
  • Assassins, Menier Chocolate Factory 
Miglior produzione regionale:
  • Mary Poppins, tour
  • Mack and Mabel, Chichester Festival Theatre and tour
  • Anything Goes, Sheffield Crucible and tour
  • Hairspray, tour
  • Henry V, RSC
Miglior musical del West End:
  • Les Misérables
  • Kinky Boots
  • Miss Saigon
  • Matilda
  • Wicked

Premio speciale per i servizi al teatro: Kenneth Branagh

venerdì 19 febbraio 2016

Rabbit Hole all'Hampstead Theatre


Quasi dieci anni dopo aver vinto il Premio Pulitzer per la drammaturgia, il capolavoro di David Lindsay-Abaire ha debuttato a Londra. L'Hampstead Theatre è rinomato per le sue produzioni di qualità, che hanno goduto un grande successo anche quando riproposte nel più commerciale West End: tra loro anche Judas Kiss con Rupert Everett, Mr Foote's Other Leg con Simon Russell Beale e un'altra commedia di Lindsay-Abaire, Good People, in scena nel West End nel 2014 con la sempre impeccabile Imelda Staunton. Ora è il turno di Rabbit Hole di commuovere le platee londinesi, come aveva già fatto a Broadway nel 2007 e con il suo omonimo adattamento cinematografico con Nicole Kidman e Aaron Eckhart.

A otto mesi dalla tragica morte del figlio, l'equilibrio di Howie e Becca fatica ancora a sistemarsi: il primo si crogiola nei ricordi, la moglie vorrebbe cancellarli definitivamente. Ma il mondo intorno a loro a va avanti: la sorella di Becca, Izzy, sta per avere un bambino e Jason, il ragazzo che non è riuscito a sterzare in tempo per evitare il piccolo Danny, chiede ai genitori in un lutto un'occasione per poter parlare con loro. Solo attraverso le infinite sfide di ogni giorno, Becca riuscirà ad accettare di prendere atto del proprio dolore e, forse, ricominciare a vivere una vita il più normale possibile.

Il dolore della perdita è qualcosa di difficilissimo da gestire non solo nella vita quotidiana, ma anche quando si prova a parlarne in film e romanzi. E' facile andare sopra le righe con scene in cui i personaggi si accusano ferocemente per la fatalità accaduta, si strappano i capelli e singhiozzano con il nome del caro estinto sulle labbra. Questo non è assolutamente il caso di Rabbit Hole che, anzi, colpisce per il modo molto contenuto con cui i personaggi affrontano le proprie emozioni. Non che siano aridi - anzi - ma sono persone che cercano di ricominciare a vivere, persone che cercano di tornare perfettamente funzionali. Leggendo un'intervista di Lindsay-Abaire, mi ha colpito come dicesse che anche le persone in lutto devono svuotare la lavastoviglie e fare la spesa: questa immagine è una perfetta metafora di Rabbit Hole, la storia di persone che provano ad essere di nuovo efficienti.

Claire Skinner e Georgina Rich

Questi sentimenti sempre a fior di pelle ma quasi mai chiaramente espressi sono difficili da portare in scena, ma Claire Skinner lo fa egregiamente nel ruolo di Becca. La sua performance è davvero straordinaria, non di quell'inutile virtuosismo che piace tanto a certi interpreti, ma così sottile da risultare ancora più devastante: quando alla fine dà sfogo alle lacrime trattenute per tutto lo spettacolo, l'effetto è incredibilmente potente. Ottimo anche il marito Howie di Tom Goodman-Hill e la bravissima Penny Downie nel ruolo di Nat, la madre di Becca. Anche Nat ha subito una perdita simile a quella di Becca, il figlio eroinomane si era suicidata alcuni anni prima, e la scena in cui parla con la figlia di come il dolore possa in qualche modo diventare confortante, quasi come un sostituto della persona che lo causa, è tra le più commoventi del dramma. Ruba la scena dei panni di Jason Sean Delaney: appena diplomato alla Royal Academy of Speech and Drama, il giovane attore è una sicura promessa. Un po' più legnosa Georgina Rich nel ruolo di Izzy, la sorella di Becca.

Grazie alla bravura del cast, alla salda regia di Edward Hall e alle belle scenografie di Ashley Martin-Davis, la produzione di Rabbit Hole all'Hampstead Theatre è una messa in scena ben riuscita e intensa dell'ottimo testo di Lindsay-Abaire.

giovedì 18 febbraio 2016

Red Velvet al Garrick Theatre


La Kenneth Branagh Theatre Company ha appena messo in scena al Garrick Theatre Red Velvet, l'opera teatrale più nota della drammaturga inglese Lolita Chakrabarti.

Londra, 1833. Quando il mostro sacro Edmund Kean collassa sul palco, l'impresario Pierre Laporte decide di assumere il giovane attore afroamericano Ira Aldridge per sostituirlo nei panni di Otello. La compagnia teatrale di Covent Garden apprezza molto il giovane attore, con il suo stile naturalista e appassionato, e il pubblico gli tributa un'ovazione dopo la prima. Ma alla critica non piace: le labbra spesse degli uomini di colore non sono adatte a recitare Shakespeare, l'irruenta violenza di Otello è scambiata per quella di Ira, i tratti di un nero non piacciono tanto quanto quelli di un bianco con del lucido da scarpe in faccia. E, mentre in parlamento si discute per abolire la schiavitù nei domini britannici, la vera tragedia di Ira si consuma fuori dalle scene.

Partiamo dalle cose buone: il cast. Red Velvet si avvale di un cast di nove membri, tutti molto bravi e a loro agio nel proprio ruolo. Ayesha Antoine è la fidata serva Connie, il bravo Simon Chandler è Bernard Warde, il sostituto di Iago, Alexander Cobb è il simpatico attor giovane della compagnia, Mark Edel-Hunt è un ottimo Charles Kean (figlio di Edmund e rivale di Ira per il ruolo di Otello), Emun Elliott è un elegante produttore Laporte e Caroline Martin e Amy Martin completano il cast nei ruoli minori. Charlotte Lucas è una bravissima Ellen Tree, la primadonna della compagnia e Desdemona nell'Otello. La sua elegante performance spazia dalla sorpresa nella prima volta che vede Ira, allo stupore, all'apprezzamento e all'affetto. 

Adrian Lester è monumentale nel ruolo di Ira, la sua performance è possente e appassionata. Vederlo parlare dei suoi umili esordi in un teatro improvvisato, con le lacrime che gli riempono gli occhi e la voce che si incrina è stato davvero da brivido. Lester torreggia su tutti gli altri attori sul palco e questa sua massiccia presenza fisica si riflette sulla sua interpretazione, sul suo essere un grande in mezzo a tante persone con la mentalità ristretta. Una scena completamente devastante è stata l'ultima, ambientata trent'anni dopo il debutto a Londra, mentre si prepara ad interpretare Re Lear tingendosi il volto di bianco per assomigliare a un europeo. Le lentezza dei suoi movimenti, il dolore in ogni mano di trucco, la disperata necessità di diventare qualcun altro per poter fare ciò che ama: tutte queste sfumature rendono la performance di Lester unica e indimenticabile.

Adrian Lester

Il testo, purtroppo, non è all'altezza del cast. Per carità, ci sono dei bei momenti, come quando la compagnia incontra Ira per la prima volta (Ellen credeva che quando le recensioni dicevano che era nero alludessero al suo umore) e la mattina dopo la prima. Ma, per il resto, il dramma sembra ondeggiare da un punto all'altro senza particolare convinzione, bloccato in una struttura in due atti rigidamente tripartita. Una scena del secondo atto, per esempio, è semplicemente troppo lunga: un dialogo tra Ira e Pierre che sembra essere più che altro un susseguirsi di monologhi, una scena che vorrebbe essere il cuore dell'opera ma risulta troppo verbosa.

Con un cast di ottimo livello, Red Velvet racconta una storia importante che avrebbe meritato di essere raccontata meglio.

½

Mrs Henderson Presents al Noël Coward Theatre


Dopo un certo periodo di prova a Bath, il musical Mrs Hendersen Presents - tratto dal film di Stephen Frears Lady Henderson Presenta - ha appena debuttato nel West End, con una colonna sonora di George Fenton e Simon Chamberlin, versi di Don Black e libretto di Terry Johnson.

Alla vigilia della seconda guerra mondiale, l'eccentrica vedova Laura Henderson acquista il Windmill Theatre di Londra per mettere in scena un ambizioso progetto, una versione inglese del Moulin Rouge. Ma, per motivi di censura, le ragazze possono apparire nude sulla scena solo se restano completamente immobili e spacciano la loro performance per una sorte di tableau vivant. Allo scoppio della guerra, lo spettacolo della signora Henderson e del burbero direttore artistico, il signor Vivian Van Damm, è ancora un successo, ma i bombardamenti a tappeto su Londra portano lo show sull'orlo del baratro...

Lo devo ammettere, Lady Henderson presenta è una delle mie commedie preferite. Vuoi perché adoro Stephen Frears, vuoi perché Judi Dench è la mia attrice preferita, vuoi perché è una commedia esilarante e a tratti toccante. Quindi immaginatevi la mia delusione dopo aver visto lo spettacolo! Il musical è, in una parola, blando. Il secondo atto, in particolare, soffre di grossi tagli della trama originale: due eventi significativi sono stati omessi, tra cui la morte di uno dei protagonisti e un magnifico discorso di Mrs. Henderson sul perché ha voluto gettarsi a capofitto in questo tipo di impresa. Queste assenze si fanno pesare, dato che eliminano un qualsivoglia arco drammatico o sviluppo emotivo all'interno dello show. Per compensare le lacune drammaturgiche, qualcuno ha pensato bene di aggiungere un nuovo personaggio, una storta di clown/comico da burlesque con un repertorio già trito ai tempi della vera Mrs. Henderson. L'antipatia del pubblico per questo personaggio è palpabile, è davvero un trionfo di occasioni mancate: nella penultima scena il clown chiede un applauso del pubblico e solo una dozzina di persone hanno battuto le mani... davvero imbarazzante. Per non parlare del fatto che ogni tanto il clown si occupava di sintetizzare eventi  che non accadevano in scena a spiegare il contesto storico (del resto si sa, con tutte le volte che Londra è stata bombardata è importante ricordare che quella volta la colpa era dei nazisti...).

Tracie Bennett

Il primo atto scivola e va senza che nessuna canzone abbia lasciato il segno, se non (forse) il penultimo numero, in cui Vivian (ebreo) commenta l'ascesa del nazismo. Il numero che conclude il primo atto, un inno all'indomabilità del Regno Unito, ha scatenato una reazione più entusiasta nel tiepido pubblico, ma sospetto che fosse più patriottismo che apprezzamento. Il secondo atto è emotivamente più denso, ma drammaticamente anche meno coeso del primo. C'è una bella canzone di Maureen, la primadonna dello spettacolo, e poi un caotico numero che assicura il pubblico che il Windmill non chiuderà mai. Sipario.

Il grosso, grosso problema dello spettacolo è da imputare al team creativo: i due compositori (mai un buon segno) hanno scritto una colonna sonora che non è certo brutta, ma nemmeno memorabile o incisiva. Ogni canzone segue la precedente, sono funzionali ma nulla di più. Il libretto sembra scritto da qualcuno che non ha la minima idea di come tenere in piedi uno spettacolo e quando la struttura è fragile niente può davvero funzionare.

Il cast non è neanche male, ma non può certo salvare lo show dalla povertà del contenuto. Ian Bartholomew è un solido Vivian, ma il suo personaggio è forse quello che soffre di più della piattezza del libretto: Bartholomew fa quello che può e lo fa piuttosto bene. Emma Williams offre la performance migliore della serata nel ruolo di Maureen, la ragazza acqua e sapone che diventa la star inaspettata del varietà. La Williams ha una voce fantastica che sfoggia nell'unica bella canzone dello spettacolo, "If Mountains Were Easy To Climb", ed è anche un'ottima attrice. Il suo personaggio è l'unico ad affrontare una crescita emotiva e personale ed Emma ricopre il ruolo con grazia e competenza; il problema del materiale si fa sentire di nuovo, se il testo fosse stato un po' più ispirato anche la performance di Emma avrebbe potuto essere più memorabile. Jamie Foreman è Arthur il clown e di lui meno si parla, meglio è. Samuel Holmes è Bertie, l'unico uomo della compagnia di Mrs. Henderson: il suo personaggio è un concentrato di stereotipi, ma Holmes è bravo e simpatico. Lo stesso vale per il Lord Cromer di Robert Hands, costretto ad essere il protagonista del peggior numero di tutto lo spettacolo. Matthew Malthouse è un bravo e tenero Eddie, l'amore di Maureen, recita, canta e balla bene, ma il personaggio è piatto come tavola e, di nuovo, non c'è niente che l'attore possa fare per brillare.

Emma Williams

Arriviamo ora al cuore dello show, Mrs. Henderson, interpretata dalla veterana del West End Tracie Bennett (Kings of Broadway). Ora, Tracie è un'attrice di prima categoria, un'ottima cantante e un'eccellente interprete di ogni lavoro in cui abbia mai recitato: le sue performances indimenticabili le hanno portato il successo sui palchi di Londra e Broadway, ha vinto due Laurence Olivier Award, un Drama Desk ed è stata candidata ad altri premi importanti, tra cui il Tony Award. Gli inglesi hanno una parole per quello che è successo a Tracie Bennett in questo musical: "miscast", l'attrice sbagliata per il ruolo sbagliato. Non so se la colpa sia sua o della regia (mediocre, di Terry Johnson), ma il suo personaggio è tutto quello che Mrs. Henderson non dovrebbe essere. Laura Henderson era una facoltosa e raffinata vedova, una donna straordinariamente intraprendente e avanti coi tempi, ma anche una madre che aveva perso il suo unico figlio durante la Prima Guerra Mondiale. Judi Dench la interpretava con la classe che la contraddistingue, ma anche con una esilarante vena caustica. Tracie, complice il libretto, interpreta il personaggio come se fosse la tenutaria di un postribolo: con il suo accento cockney e i modi bruschi, la sua Mrs. Henderson è tutto tranne che una lady. Senza tirare in ballo il fatto che ora la voce sembri la pubblicità sui rischi del fumo sulla salute, la Laura di Tracie non trova mai un'occasione per brillare e questo Mrs. Henderson Presents diventa un treno su binari sbilenchi purtroppo privato di una locomotiva salda. 

Ora, per essere giusto, bisogna riconoscere al musical i propri meriti. Le scene di nudo sono fatte con buon gusto e garbo, senza calcare i toni, ma presentate con naturalezza e semplicità. E questa davvero non è un'impresa da poco, bisogna riconoscerlo. Tuttavia, Mrs. Henderson Presents è un esempio di come un team creativo inesperto possa rovinare una bella storia con mosse maldestre e deludenti, riducendo quello che poteva essere il musical dell'anno in un vero e proprio flop.

½

giovedì 11 febbraio 2016

Hand to God al Vaudeville Theatre


Hand to God è una delle ultime gemme del teatro di prosa di Broadway e una delle poche commedie a venire da New York a Londra e non viceversa. Debuttato a Broadway nell'aprile del 2015, Hand to God è rimasta in cartellone per più di trecento repliche ed è valsa la candidatura a un prestigioso Tony Award al suo autore, Robert Askins.

Cypress, Texas. Jason è uno studente timido e curioso che trova una valvola di sfogo per la sua creatività in un corso per burattinai nella chiesa locale. Con un vecchio calzino, Jason realizza un pupazzo, Tyrone, che però sviluppa una propria personalità via sia sempre più violenta e crudele. E, mentre l'influenza di Tyrone su Jason cresce di minuto in minuto, Hand to God affronta i temi della fragile natura della fede, della morale e dei nostri vincoli etici.

Hand to God è una delle migliori commedie che ho visto negli ultimi anni, assolutamente esilarante e profonda, dissacrante e geniale. Il modo in cui esplora il rapporto madre-figlio, il superamento del lutto (il padre di Jason è morto da sei mesi), i sentimenti contrastanti di un adolescente, le frustrazioni di una donna non più giovane che si ritrova senza marito e con un figlio problematico, i dubbi di un pastore di mezz'età che vorrebbe qualcuno con cui condividere la propria vita è davvero unico e originale. E poi c'è il dubbio di fondo: Tyrone è davvero il diavolo o una parte della personalità scissa di Jason, la parte in cui il ragazzo ha riversato tutta la rabbia, la solitudine e il dolore?

La scrittura do Askins è densa e irriverente, mira al cuore di ognuno dei suoi personaggi e ne esplora la natura con ironia e sensibilità. Harry Melling (Harry Potter) è semplicemente fenomenale nel ruolo di Jason/Tyrone: non solo è bravissimo nel ruolo del goffo adolescente, ma è anche talmente abile a manovrare il pupazzo da farti dimenticare che è solo un oggetto di stoffa. Il modo in cui la sua voce cambia quando parla come Jason e quanto parla come Tyron dimostra doti recitative tutt'altro che comuni, specialmente considerando che anche quando parla come Tyron le sue espressioni facciali e il linguaggio del corpo sono quelle di un timido ragazzo spaventato che sta comunicando con un'entità presumibilmente demoniaca. La sua è una performance dinamica e potente, un vero tour de force per un attore.

Altrettanto brava è Janie Dee (Kings of Broadway) nel ruolo di Margery, la mamma di Jason. A sei mesi dalla morte del marito, Margery riempe le proprie giornate insegnando ai ragazzi della chiesa come manovrare burattini e si ritrova inaspettatamente oggetto dell'amore del pastore e della passione di Timothy, uno dei ragazzi. Janie porta alla luce magnificamente tutte le sfaccettature del suo personaggio, la devota cristiana, la donna in crisi, la madre disperata, la vedova con i sensi di colpa, la ninfomane repressa. Forse anche più di Jason, è Margery quella con le due personalità: la facciata della casalinga e madre perfetta e la natura più intima della crisi umana e spirituale, del desiderio soffocato e del bisogno di qualcosa di più grande.

Jason (Harry Melling), Tyrone e Jessica (Jemima Rooper)

E il resto del cast non è affatto da meno. Jemima Rooper (Kinky Boots, One Chance - L'opera della mia vita) è una bravissima Jessica, l'adolescente dalla lingua tagliente di cui Jason è segretamente innamorato. La Rooper è esilarante nella parte e sorprende il pubblico con un'inaspettata carica erotica nel secondo atto, quando cerca di placare Tyone facendolo accoppiare con la sua marionetta, la procace Jolene. Neil Pearson è un ottimo Pastore Greg, il pacato sacerdote che si trova all'improvviso a fronteggiare un presunto  caso di possessione demoniaca. Pearson è un bravo attore e riesce a portare abilmente in scena l'anima del pastore, combattuta tra problemi spirituali e altri più pragmatici, innamorato e deluso da Margery e dall'intera comunità. Il bravissimo Kevin Mains completa il cast nel ruolo di Timothy, il ragazzo scorbutico e prepotente innamorato di Margery. Nascondendo sotto una patina di aggressività problemi come l'alcolismo della madre, Timmy riversa su Margery una passione travolgente e un amore tenero, che la donna userà a proprio vantaggio. E Mains è davvero grande in questo ruolo: Anche se è una parte secondaria, la sua interpretazione non ha nulla da invidiare a quelle di Melling o di Janie Dee.

Hand to God è un vero miracolo teatrale, una di quelle produzioni speciali in cui testo, cast e regia (ottima, firmata da Moritz Von Stuelpnagel) collaborano alla perfezione per creare qualcosa di unico e magico, qualcosa che non dimenticherò tanto presto.

giovedì 4 febbraio 2016

Road Show all'Union Theatre


Road Show è l'ultimo lavoro del geniale compositore statunitense Stephen Sondheim, frutto di una lunga e travagliata gestazione durata quasi dieci anni. Dopo essersi chiamato Bounce, Gold! e Wise Guy, Road Show ha debuttato nella sua forma definitiva a New York nel 2008, prima di approdare a Londra nel 2011. A quattro anni dal debutto inglese, Road Show è tornato sui palchi del fringe in un nuovo allestimento di Phil Willmott in scena all'Union Theatre fino al 5 marzo.

Spronati dal padre nel suo letto di morte, i fratelli Addison e Wilson Mizner si uniscono agli avventurieri della corsa dell'oro in cerca della loro fetta di fortuna. Mentre Addison lavora alacremente, Wilson guadagna una piccola fortuna al gioco e cede i diritti della miniera per una cifra ridicola. Furioso, Addison lascia il fratello in cerca della propria fortuna, non sapendo che le loro strade sono destinate e incrociarsi nuovamente. Dopo aver raggiunto il successo come architetto in Florida e aver trovato l'amore (l'aspirante mecenate Hollis Bessemer), Addison riceve l'inaspettata visita di Wilson, caduto in disgrazia, che gli propone un nuovo, ambizioso progetto: acquistare un lembo di terra e costruire una città, Boca Raton. Le cose vanno bene per un po', ma poi Wilson si abbandona alla sua vena più disonesta e comincia a pubblicizzare Boca Raton con trovate sempre più ingannevoli, questa volta con l'aiuto di Addison. La disonestà dell'amato obbligherà Hollis a chiudere i rubinetti e a lasciare Addison. Da soli, furiosi e di nuovo in rovina, i fratelli Mizner cercheranno un'altra opportunità per raggiungere il loro American Dream, consapevoli del fatto che - tra amore e odio - la loro vita non sarà mai completa senza l'altro.

Road Show è un musical che, nonostante il buon libretto di John Weidman e i raffinati versi di Sondheim, semplicemente non decolla: certo, si capisce quando la vicenda tocca il suo apice narrativo ed emotivo, ma penso che pochi spettatori si siano sentiti davvero coinvolti. La colonna sonora davvero non aiuta, a parte "Gold!" e "The Best Thing That Ever Has Happened" poche canzoni rimangono impresse. Con questo non voglio dire che sia un lavoro scritto male, anzi, il suo difetto principale è forse un'impeccabilità stilistica che lascia poco spazio ai sentimenti: non è arido, ma è poco personale... e per una biografia non è certo un buon punto di partenza.

Howard Jenkins è Addison Mizner

Il cast è di tutto rispetto: Howard Jenkins è un bravo Addison, dolce e romantico, trascurato dalla madre e ansioso di ricevere la propria fetta di attenzioni e amore; è il personaggio per cui tutti tifano e Jenkins lo interpreta con calore e una bella voce. L'opportunista e manipolatore Wilson si avvale delle fattezze e della potente voce di Andre Refig, che riesce a trasformare il personaggio in una simpatica canaglia. Molto bravo Steve Watts nel ruolo di Papà Mizner, il personaggio che dà la stura agli aventi e agisce come una sorta di silenzioso narratore, sempre presente e vigile; il personaggio si trasformerà nell'anziano Addison che scrive le proprie memorie. Joshua LeClaire presta il fisico minuto e l'ottimo timbro tenorile a un Hollis Bessemer un po' carente sul piano recitativo; molto ben riuscita la Mamma Mizner di Cathryn Sherman. Davvero ottima la compagnia, che si barcamena agilmente tra un ruolo e l'altro.

Road Show è uno spettacolo intelligente e ben fatto che si interroga sul rapporto da fratelli, la famiglia, l'etica del lavoro ed il sempre presente Sogno Americano, ma un po' più di sentimento non avrebbe fatto alcun male a questo musical.

½