Un blog sul dinamico mondo del teatro di Londra e non solo!
domenica 31 ottobre 2021
Metamorphoses alla Sam Wanamkaer Playhouse
giovedì 28 ottobre 2021
La Traviata alla Royal Opera House
sabato 23 ottobre 2021
Transverse Orientation al Sadler's Wells Theatre
sabato 16 ottobre 2021
The Dante Project alla Royal Opera House
In occasione del settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta, McGregor torna a riproporre questo modello con The Dante Project, magnificamente portato sulle scene dal Royal Ballet. Vedere il balletto come un adattamento della Divina Commedia sarebbe un errore: una trasposizione integrale dell'opera (anche ammettendo che la danza sia l'espressione artistica migliore) sarebbe impossibile e del resto il coreografo ha altri piani. Così come in Woolf Works, anche in The Dante Project assistiamo a una rarefazione della trama con il passare degli atti. Se in Inferno: Pilgrim riconosciamo diversi episodi della prima cantica, in Purgatorio: Love vediamo come la Vita Nuova sia stata inglobata nel viaggio di espiazione delle anime e in Paradiso: Poema Sacro non ritroviamo più il Paradiso di Cacciaguida e San Bernardo, ma una massima rappresentazione della poetica dantesca della luce.
... e quelle anime lietesi fero spere sopra fissi poli,fiammando, volte, a guisa di comete.E come cerchi in tempra d’orïuolisi giran sì, che ’l primo a chi pon mentequïeto pare, e l’ultimo che voli;così quelle carole, differente-mente danzando, de la sua ricchezzami facieno stimar, veloci e lente.
(Par. XXIV, 10-18)
La partitura di Adès, che dirige anche l'orchestra, vengono modellate da McGregor in coreografie che non rappresentano nessuno degli episodi narrati da Dante nel Paradiso, ma che creano un linguaggio visivo caratterizzato da ariosità e luminosità. L'atto è indubbiamente bello e mostra al pieno gli infiniti talenti dei ballerini del Royal Ballet, ma dopo la grande emotività del Purgatorio Paradiso: Poema Sacro risulta un po' più arido e meno soddisfacente. Migliora però nel finale, quando, dopo un ultimo, toccante pas de deux con Beatrice, a Dante non resta che rimanere a bocca aperta alla visione di quell'"Amor che move il sole e le altre stelle".
Il livello di talento in scena è francamente eccezionale. Adès stesso dirige l'ottima orchestra, in cui spiccano soprattutto le percussioni e i fiati. In scena danzano, oltre al corpo di ballo, ben undici ballerini principali del Royal Ballet, tra cui i sempre eccellenti Marcelino Sambé, Natalia Osipova e Yasmine Naghdi, oltre ai già citati Ball, Hayward, Lamb, Kaneko e, soprattutto, Watson. Edward Watson danza nella compagnia da quasi trent'anni e il 30 ottobre darà l'addio alle scene proprio con il suo Dante. Ballerino feticcio e stretto collaboratore di McGregor, Watson è uno dei danzatori più particolari ed intriganti dell'ultimo quarto di secolo. Con il suo corpo lungo e sottile, gli arti magri e interminabili, Watson si aggira sulla scena come un ragno: la sua agilità ed elasticità disegnano un Dante incredibilmente tormentato, con un piede sempre nella selva oscura. Il suo corpo sofferente lascia trasparire un profondo disagio interiore, che si allevia almeno in parte nel corso della serata. Non è nobile o elegante, ma un'anima che vede qualcosa di sé in tutti gli spiriti dell'Inferno. E anche quando danza in Paradiso, il Dante di Watson è in quel mondo ma non di quel mondo, una figura imperfetta e quasi claudicante che lotta per la perfezione e la pace interiore. È un'interpretazione intensa e memorabile ed è quanto mai appropriato che Watson termini la sua carriera interpretando un altro artista che, come lui, ha sempre spinto oltre il limite di quello che si credeva che la sua arte potesse raggiungere.
giovedì 14 ottobre 2021
Macbeth all'Almeida Theatre
In realtà la regia della Farber non porta i protagonisti in territori inesplorati e le dinamiche di coppia dei Macbeth non sono diverse da quelle che vengono portate in scena solitamente: Lady M spinge il marito al regicidio e ne raccoglie i pezzi quando l'uomo crolla dopo il delitto, per poi invertire i ruoli e assumere la posizione dominante mentre la moglie scivola nel senso di colpa e nella pazzia. L'intera messa in scena della regista, del resto, non è bizzarra o estrema quanto si sarebbe potuto immaginare (o temere) e il risultato finale è un solido Macbeth che regala bei tableau e forti emozioni. Il primo atto (che termina con l'omicidio di Banquo) fatica a trovare sia un proprio ritmo che un proprio stile, ma nella seconda metà della serata la Farber riaggiusta il tiro e presenta un prodotto più coeso e coerente. Certo, alcuni dei suoi tic registici ci sono sempre – la musica dal vivo, una donna che canta, momenti ritualistici (bellissimo il masque delle streghe nel secondo atto), un grande interesse negli elementi naturali (sia il fuoco che l'acqua svolgono un ruolo di rilievo nelle ultime scene) – ma in Macbeth questi sono sia più appropriati che meglio calibrati rispetto ad altre opere dirette in precedenza dalla regista.
Il tempo sembra svolgere un ruolo di primo piano nella produzione dell'Almeida: da quando una delle tre streghe – le ottime Diane Fletcher, Maureen Hibbert e Valerie Lilley – rivela l'orologio che sovrasta il palco, il tempo dell'azione e il tempo interiore in cui si muovono i personaggi sembra mutare e dilatarsi. Una settimana fa abbiamo sentito Cush Jumbo dire che "the time is out of joint" in Amleto (un'altra tragedia molto interessata alla soggettività del trascorrere del tempo) e anche qui potremmo dire qualcosa di simile. Macbeth ferma il tempo, distrugge il tempo, si colloca fuori dal tempo quando uccide re Duncan (un debole William Gaunt) ed esso torna a scorrere regolarmente solo dopo l'uccisione del regicida: "the time is free", annuncia Macduff (il bravo Emun Elliott) sopra il cadavere di Macbeth. "Domani, e domani e domani striscia a piccoli passi, di giorno in giorno, fino all'ultima sillaba del tempo prescritto" dice Macbeth nel suo ultimo, celebre soliloquio e forse più che in ogni altro allestimento recente di Macbeth è proprio il concetto del tempo su cui la regia ci fa riflettere. Le streghe dal sapore beckettiano concludono la tragedia così come la iniziano, mostrandoci come il ciclo degli orrori e delle vicende è pronto a riniziare con un nuovo protagonista, in un carosello tanto infinito quanto sanguinario.
La tanto attesa Saoirse Ronan è una brava Lady Macbeth. Più una first lady che una regina, la Lady M della Ronan dà il meglio di sé nella seconda parte della tragedia: se è vero che nelle prime scene non risulta feroce quanto potrebbe, è dopo l'omicidio di Duncan che mostra tutta la sua spietata freddezza. L'attrice brilla quando interpreta una lady M intenta ad incantare i propri ospiti, come al banchetto dopo l'incoronazione, in cui mostra il suo talento non solo come affabile padrona di casa, ma anche come un'astuta politica capace di rimediare rapidamente agli errori (o deliri) del marito. Ottima è la chimica con James McArdle (già suo marito nel film Ammonite): i Macbeth sono una coppia unita e piena di passione e nello sgretolamento del loro rapporto dopo gli omicidi vediamo il vero fulcro della loro rovina. Come la Ronan, anche McCardle alterna momenti di grande emotività ad altri di crudele pragmatismo e il suo è un Macbeth intrappolato in un gioco più grande di lui, ma di cui finisce per imparare le regole diventando non solo un complice, ma l'artefice di nuove nefandezze. È tuttavia nel rimorso che l'interpretazione di McArdle raggiunge il massimo e l'attore non è mai intenso e toccante come quando seduto sul bordo del letto sussurra con voce incrinata "I am in blood".
Se la prova d'attore dei due protagonisti non raggiunge mai i livelli di introspezione che potremmo aspettarci da artisti del loro calibro, la colpa non è la loro. Ci sono allestimenti di Macbeth in cui i due protagonisti sono l'intera opera e il successo o il fallimento della messa in scena pesa unicamente sulle loro spalle – sto pensando ad esempio al celebre Macbeth diretto da Trevor Nunn nel 1976, in cui Ian McKellen e Judi Dench regalavano una terrificante discesa nella corruzione dell'animo umano su un palco virtualmente deserto. Il Macbeth che potrete vedere all'Almeida è teatro d'auteur, in cui le scelte estetiche e registiche della Farber rimangono sempre in primo piano. In questo caso i Macbeth sono sicuramente importanti, ma dei tasselli di un mosaico più grande invece che dei pilastri portanti. Nonostante la durata insolita, questo è un Macbeth che favorisce l'azione allo scavo psicologico e scene di grande impatto visivo al lacerante e sottile smembramento di un'anima corrotta. Il risultato finale funziona, avvince e cancella i brutti ricordi che il pubblico londinese si porta dietro da ormai tre anni. Resta comunque un po' un peccato che con attori del genere non si raggiungano mai le vette (o gli abissi) emotivi e psicologici che Macbeth si presta bene ad esplorare.
In breve. Saoirse Ronan fa un bel debutto sulle scene britanniche in un Macbeth intenso e avvincente che lascia poco spazio agli attori.
martedì 12 ottobre 2021
Romeo e Giulietta al Globe Theatre
sabato 9 ottobre 2021
Camp Siegfried all'Old Vic
Back to the Future all'Adelphi Theatre
giovedì 7 ottobre 2021
Amleto al Young Vic
Con il suo fisico androgino, la testa rasata e gli abiti maschili, l'Amleto della Jumbo ha un che di adolescenziale e per una rara volta possiamo vedere un principe di Danimarca che è – o almeno sembra – veramente giovane. Questo ringiovanimento del protagonista non è casuale (una battuta da cui si potrebbe evincere la vera età del protagonista è stata eliminata) ed è una delle scelte volute dal regista Greg Hersov per rifocalizzare l'intera vicenda esclusivamente intorno alla famiglia. O, per dirla tutta, alle famiglie, dato che ai reali danesi si affianca prepotentemente anche la famiglia composta da Pollonio e dai figli Laerte e Ofelia.
Per molti aspetti l'allestimento diretto da Hersov non offre nulla di particolarmente originale, anche se i massicci tagli al testo e la carismatica interpretazione di Cush Jumba trasformano la tragedia per eccellenza in tre ore di serrata azione e tensione. La pazzia di Amleto non è simulata (tagliata è la battuta sull'antic disposition), ma un profondo lutto che attanaglia il giovane principe e riemerge come tic misurati. L'energico Amleto di Jumbo è un affabulatore estroverso e apparentemente socievole, capace di interagire con fascino e intelligenza non solo con i suoi veri alleati (come Orazio), ma anche con tutte le persone che lo vogliono solo spiare (Polonio, Rosencrantz e Guildenstern). Più a suo agio nei dialoghi che nei soliloqui, l'Amleto della Jumbo colpisce per la sua "normalità", per essere un giovane uomo qualunque che si ritrova in una situazione strana e straziante: non è un eroe romantico, decadente o post-psicoanalitico, ma una persona energica e vitale che si trova intrappolata in un incubo. È questa normalità, questo essere vittima degli eventi a renderlo così vicino ad Ofelia, un personaggio la cui pazzia è – come per Amleto – causata sia dal grande lutto che dall'essere diventata uno strumento in mano a poteri più forti. E Norah Lopez Holden è un'ottima Ofelia, così come ottimi sono anche il Laerte di Jonathan Ajayi e, soprattutto, il Polonio di Joseph Marcell, che interpreta un personaggio estremamente pedante senza diventarlo egli stesso.