mercoledì 8 novembre 2017

Lucia di Lammermoor alla Royal Opera House


Tratto dal romanzo di Walter Scott La sposa di Lammermoor, Lucia è il capolavoro tragico di Donizetti, su libretto di Salvadore Cammarano. Dopo aver diviso critici e pubblico nel 2015, l'allestimento dell'opera diretto da Katie Mitchell è stato riproposto nella stagione autunnale della Royal Opera House di Covent Garden.

Quando Enrico scopre che la sorella Lucia ha una relazione clandestina con il nemico Edgardo le combina un matrimonio con Arturo, la cui influenza potrebbe salvare la posizione instabile della famiglia Ashton. Prima di andare a combattere in Francia, Edgardo e Lucia si sono scambiati solennemente gli anelli e per questo la falsa notizia che Edgardo l'ha dimentica è un colpo così duro per la giovane donna. Desiderosa solo di morire, Lucia firma il contratto nuziale, nel momento in cui Edgardo irrompe nella sala. Lucia uccide Arturo durante la loro prima notte di nozze e impazzisce.

Come ci si potrebbe aspettare da un teatro di questo calibro, l'orchestra è straordinaria e viene sapientemente diretta da Michele Mariotti. Il cast è anch'esso di prim'ordine: nel ruolo di Ernico Christopher Maltman presta il proprio splendido timbro baritonale con successo e crea un personaggio il cui dilemma tra benessere economico e la felicità di Lucia è quasi palpabile. Il tenore italo-americano Charles Castronovo è un ottimo Edgardo e il suo Tombe degli avi miei è uno dei momenti più intensi e applauditi dell'opera. Nel ruolo di Lucia Lisette Oropesa non andrà certo a mettere in discussione il primato della Sutherland, ma sfoggia tecnica e bravura nella celebre scena della pazzia e, soprattutto, nella splendida Regnava nel silenzio. Una menzione speciale all'eccellente Arturo di Konu Kim.

La regia della Mitchell è un altro paio di maniche e alterna momenti davvero esaltanti a scelte decisamente infelici. In ogni scena il palco è diviso in due sezioni che mostrano parti diversi della magione (il cimitero e la camera di Lucia; la camera di Lucia e il bagno; l'ingresso e la sala da pranzo; la camera e la sala; il cimitero e il bagno). E' una scelta sicuramente interessante, ma non è facile concentrarsi su due azioni così diverse, sulla musica e leggere i sottotitoli allo stesso tempo; al di là di questo, la scelta della Mitchell non è sempre di successo. Nella prima scena è anche bello vedere Lucia struggersi in camera, mentre il fratello viene a conoscenza della sua relazione con Edgardo, è un momento che dà maggior introspezione psicologica al personaggio. In altri punti è solo una distrazione: quando Edgardo canta la meravigliosa Tu che a Dio spiegasti l'ali, tutta l'attenzione dovrebbe essere su di lui, invece questo momento così bello e intenso viene rovinato dalla scena parallela, Enrico che riceve la visita dei fantasmi della madre e della fanciulla della leggenda di Lammermoor.

Charles Castronovo e Lisette Oropesa

La Mitchell ha anche voluto dare un taglio femminista all'opera, rivendicando l'intelligenza di Lucia senza renderla una vittima passiva degli eventi. Così, la sua Lucia è incinta e si affida all'onnipresente damigella Alisa per tutto, anche nell'omicidio. Infatti, in questa produzione abbiamo il piacere di assistere all'omicidio di Arturo, consumato mentre nell'altra stanza Enrico sfida Edgardo a duello (Asthon! Sì). L'omicidio è tutto fuorché un raptus: la riluttante sposina seduce Arturo, lo benda come in un gioco erotico e lo pugnala ripetutamente, prima che Alisa lo soffochi con un cuscino. La successiva scena della pazzia sarebbe difficile da giustificare, ma con un altro lampo di genio della Mitchell tutto si risolve: Lucia perde il bambino. Macchiata dal sangue dell'aborto spontaneo, Lucia si trascina nella sala da pranzo per cantare il pezzo più famoso dell'opera, con lo sguardo fisso ad un Edgardo fantasma. Le disgrazie non sono ancora finita per la Lucia della Mitchell, che mentre il coro parla già della sua morte (??) si chiude in bagno, legge le vecchie lettere dell'amato e si taglia le vene. 

Oropesa e Castronovo nella scena della pazzia (Oh, giusto cielo!)


La produzione della Mitchell è emotivamente molto intensa e commovente, ma il suo grosso limite è quello di non essere coerente. Non solo le arie spesso smentiscono la scena (versi in cui si parla di pomeriggio, mentre fuori è chiaramente notte, etc...), ma smentiscono anche le azioni dei personaggi: il risultato finale non è privo di meriti, ma resta comunque un raffazzonato e incoerente tentativo di piegare un'opera a una poetica. La doppia scenografia ha almeno dato a Vicki Mortimer la possibilità di creare un bellissimo e inquietante mondo vittoriano da casa infestata, una delle poche note felici da una produzione intensa, ma mal diretta.

In breve. La regia maldestra di Katie Mitchell può lasciare decisamente perplessi, ma il solido cast e l'ottima orchestra infondono linfa al capolavoro di Donizetti.

★★★

Follies al National Theatre


Follies è quello che potremmo definire un imperfect masterpiece, un musical apprezzato e amato, ma non al di sopra di ogni possibile critica. La colonna sonora di Stephen Sondheim annovera nella partitura alcune delle canzoni più amate del repertorio del teatro musicale, tra cui i classici Losing My Mind, Broadway Baby e I’m Still Here. Il libretto, del Premio Oscar James Goldman, ha invece sempre lasciato pubblico e registi insoddisfatti, al punto che da essere continuamente revisionato: non è troppo lontano dal vero affermare che non esistono due produzioni del musical con la stessa versione del libretto.

Follies, ambientato in un teatro di Broadway nel 1971, racconta della riunione delle ex-showgirls che si esibivano su quel palco oltre trent'anni prima. Alcune di loro, come Carlotta Champion, sono rimaste nel mondo dello spettacolo, mentre altre hanno intrapreso strade totalmente diverse. Tra i partecipanti alla reunion ci sono anche Sally e Phyllis, con i rispettivi mariti Buddy e Ben. I quattro erano inseparabili prima dello scoppio della guerra e rincontrarsi dopo tanti anni riaccende in Sally l’amore mai sopito per Ben. L’uomo sta affrontando una profonda crisi personale, che sia davvero l’amore di Sally la risposta a tutti i suoi dubbi?

Come i fantasmi che ne attraversano il palco, Follies è un musical fumoso e ineffabile, una riflessione più sulla memoria che sullo show business. Accompagnati dalle versione di loro stesse da giovani, le attempate signore rivivono la propria giovinezza per alcune ore: alcune sognano il passato, altre sono sagge abbastanza da sapere che nella memoria tutto sembra migliore. La produzione diretta da Dominic Cooke coglie in pieno lo spirito del (sottovalutato) libretto di Goldman e accetta le incongruenze del musical come quando si prende atto dell’inconsistenza di un ricordo. Cooke ha puntato molto sulla specularità, sul presentare con una sincronia mozzafiato il presente e il passato: nel primo numero, Beautiful Girls, le ex-ballerine ricreano il numero di apertura delle Weisman Follies scendendo goffamente la scalinata del teatro, mentre dall'altra parte del palco le loro versione più giovani fanno lo stesso con grazia ed eleganza. Questo si ripete per molti dei numeri principali, in cui i fantasmi del passato scrutano affascinati e delusi le donne che diventeranno col tempo. Certo, a volte il palco è un po’ troppo sovraffollato, ma emotivamente è da brivido.


 Imelda Staunton (Sally) e Janie Dee (Phyllis)


L’eccellenza della regia si rispecchia nel cast, un ensemble di quasi quaranta elementi che dà nuova linfa a un musical che compie quarantasei anni. Nel ruolo della fragile Sally Durant Plummer Imelda Staunton regala una performance sentina e commovente, un ritratto di una donna depressa che ha passato gli ultimi trent’anni nell’attesa di qualcosa che non è mai esistito. Quando mette piede sul palco per la prima volta, eccitata di essere tornata a New York, si illumina di una gioia deliziosa, presto spenta dall’arrivo del marito. La sua Sally ci ricorda di quella zia zitella che legge romanzi rosa e gli oroscopi, un personaggio eccentrico e adorabile che nasconde un dolore molto profondo. Vocalmente, Imelda non può competere con i suoi predecessori Dorothy Collins, Julia McKenzie o Bernadette Peters, ma la sua timida voce trasuda emozioni e la sua In Buddy’s Eyes è commovente come poche.

Janie Dee (Hand to God) è una splendida Phyllis Rogers Stone, l'amica-nemica di Sally che è riuscita ad accalappiare l'uomo dei suoi sogni e diventare un membro di spicco della società. Come Sally, nasconde il proprio dolore e la propria insoddisfazione, ma lo fa dietro a un velo di gelido cinismo. La serata metterà a serio rischio il suo rapporto con Ben, disotterando rancori sepolti da tempo. Dietro alle sue eleganti fattezze da Jackie O si nasconde una ragazza cruda e dirompente, che ancora emerge in alcuni momenti. Dee recita impeccabilmente, canta come una grande professionista (la sua Could I Leave You? è forse il momento migliore della serata) e mostra anche un talento nella danza nel suo numero finale, l'elettrizzante Lucy and Jessie, in cui mette in scena come in un numero di vaudeville la sua anima divisa.

Philip Quast (Ben) e Peter Forbes (Buddy)

Il baritono australiano Philip Quast è un ottimo Ben Stone, solido ma incrinato dai dubbi, un uomo che mette in discussione il successo ottenuto, le scelte fatte e il matrimonio. Vocalmente, Quast non ha rivali sul palco, ma anche la sua recitazione non è da meno: quello che rischia di diventare il personaggio più debole e noioso diventa l'anima del musical, un personaggio che ce l'ha fatta, ma ne siamo davvero sicuri? Peter Forbes è un Buddy particolarmente frustrato, che prova ancora a rendere felice la moglie anche se sa che fallirà. Anche Forbes regala un'ottima performance, specialmente nel suo numero Buddy's Blues, in cui esamina il rapporto con Sally e l'amante Margie come se fosse in un numero di varietà.

Nelle parti del resto delle ex-showgirl troviamo un impressionante gruppo di veterane del West End e particolarmente ben riuscite sono la Hattie di Di Botcher e la Carlotta di Tracie Bennett (Mrs Henderson Presents). La prima, una cinquantenne sgraziata e sovrappeso, si esibisce in un'esilarante Broadway Baby, un inno al working actor che passa da particina a particina sognando di diventare una star. La seconda interpreta una star di Hollywood survivalista che ha attraversato mezzo secolo di storia americana restando sempre sulla cresta dell'onda: e tutto questo viene cantato con una voce straordinaria e una rara intensità in I'm Still Here, il fiero canto di una donna che è sopravvissuta a tutto e a tutti. Ottima anche Dawn Hope nel ruolo di Stella, la ballerina di mezz'età che guida il cast nell'eccellente Who's That Woman?, un numero in cui le vecchie colleghe ricreano l'iconico numero del loro show e danzano a passi di tip tap con le loro versioni più giovani. Assolutamente indimenticabile è Dame Josephine Barstow - stella dell'opera londinese - nel ruolo della vecchissima Heidi: vicina agli ottanta, la Barstow ottiene la più grande ovazione della serata con la struggente One More Kiss, un duetto con se stessa da giovane. 


Non possiamo certo dimenticare le versioni più giovani dei quattro protagonisti: Zizi Strallen (Phyllis), Fred Haig (Buddy), Adam Rhys-Charles (Ben) ed Alex Young (Sally) sono tanto bravi quanto i consumati attori di cui interpretano i fantasmi e i ricordi. E' davvero impressionante riscontrare negli uni e negli altri tic e movenze in comune, fino al punto che l'illusione di vedere lo stesso personaggio in momenti diversi della sua vita diventa completamente reale.

Coraggiosa e ben riuscita è la scelta di tagliare l'intervallo: Follies è una maratona emotiva di due ore e dieci che non beneficia della mancanza di interruzioni. Cooke ha scelto anche di ritornare al libretto originale di Goldman, usando la versione più fedele che sia stata messa in scena negli ultimi cinque decenni. Il risultato è eccellente, nessuno dei revival ha mai avuto un testo così ricco, appassionante e dettagliato. Certo, Follies resta insoddisfacente, vorremmo tutti sapere di più su quei personaggi - alcuni appena abbozzati - ma forse è qui che Follies vince su tutti i fronti. Fumoso come la memoria, dolce come una vecchia canzone e triste come un ricordo, Follies sarà anche imperfetto, ma resta un grande capolavoro.

In breve. Eccellente revival di un grande musical di Sondheim, messo in scena con maestria e interpretato da un solidissimo cast. Assolutamente imperdibile.  

★★★★½