sabato 27 ottobre 2018

Company al Gielgud Theatre


Se i suoi versi in West Side Story and Gypsy e la sua partitura di A Funny Thing Happened on the Way to the Forum lo resero un giovane compositore degno di nota, fu senza dubbio Company a trasformare Stephen Sondheim nell’indiscusso maestro del musical, un genere che non solo arricchì, ma rivoluzionò. Debuttato a Broadway nel 1970 con il libretto di George Furth, la regia di Hal Prince e le coreografie di Michael Bennett (un pedigree davvero impressionante, oggi come allora), Company fu il primo vero e proprio musical “per adulti”, un’opera di teatro musicale capace di rispecchiare la vita dei suoi spettatori, svelarne gli altarini e condividerne le problematiche. Sia chiaro, già altri musical avevano affrontato argomenti seri come il razzismo (Show Boat, West Side Story), l’omicidio (Oklahoma!) e la guerra (South Pacific), ma nessuno come Company cambiò le dinamiche del musical come genere teatrale, affermandone la validità drammaturgica e la meritata appartenenza al “teatro serio”. Nella sua analisi a tratti ironica e a tratti spietata della vita da sposati della New York contemporanea, Company presentò al pubblico le difficoltà e le tensioni quotidiane da cui andavano a distrarsi con un bel musical.

Bobby è un affascinante scapolo di trentacinque anni, bello, carismatico e pieno di amici pronti a festeggiare il suo trentacinquesimo compleanno. Tutti i suoi amici sono sposati – con più o meno successo – e nelle vignette che compongono il musical Bobby scopre le loro dinamiche, le loro piccole gioie, le loro ripicche e i loro rimpianti. Affascinato e spaventato dal matrimonio, Bobby deve finalmente decidere cosa fare della sua vita, se è pronto a rinunciare all’essere single per il grande amore o se la paura di impegnarsi lo condurrà ad un’esistenza solitaria.

Larry Kert e il cast originale di Broadway (1970)

Una storia bella, divertente e commovente, in cui tutti possono rispecchiarsi, ma che ha cominciato a scricchiolare sotto il peso dei quasi cinquant’anni dal debutto. Del resto, non essere sposati a 35 anni poteva essere strano o sospetto nel 1970, ma nel 2018? Ci stupiremmo del contrario. Già negli anni 90 Sondheim e Furth avevano ripreso in mano il libretto per svecchiare alcune scene e rivedere alcuni punti, ma anche questo intervento di drammaturgia chirurgia estetica cominciava a dare segni di cedimento da qualche anno. Riproposto a Broadway nel 2006 con Raul Esparza e in concerto con la New York Philharmonic e Neil Patrick Harris nel 2011, Company sembrava destinato a diventare un pezzo da museo, il primo squarcio sulla tela, una pietra miliare a cui riguardare con affetto ma forse non più così capace di comunicarci qualcosa. E qua è arrivato l’aiuto provvidenziale della pluripremiata regista Marianne Elliot, fresca dal grande successo del suo revival di Angels in America in scena a Londra e Broadway.

Dopo averci sorpreso facendoci vedere il modo attraverso gli occhi di un ragazzino autistico ne Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte e aver riportato alla vita i cavalli della Grande Guerra in War Horse, la Elliot ci stupisce questa volta con qualcosa di più semplice: cambiare sesso al protagonista. E così Bobby diventa Bobbie, una trentacinquenne bella e intelligente che si barcamena tra uomini e amici nella New York dei nostri giorni. Se da parte questa scelta può sembrare un modo per arruffianarsi il pubblico dell’epoca #MeToo, dall’altra l’orologio biologico di Bobbie conferisce nuovamente urgenza a Company: a metà strada tra i trenta e i quaranta, la donna non può aspettare ancora molto se vuole una famiglia e dei bambini. Intorno a questo principale e riuscitissimo cambiamento, se ne affacciano tanti altri: una delle quattro coppie di amici è ora una coppia gay, le caselle telefoniche sono diventate messaggi audio su WhatsApp, la ricca Joanne, matura mangiatrice di uomini, non è più solo una spalla su cui piangere, ma un vero e proprio mentore per la giovane Bobbie. Storicamente restio ai cambiamenti (nel 2013 aveva bocciato una versione gay di Company con Alan Cumming), Sondheim ha dato la sua benedizione al progetto, rivedendo anzi di persona la partitura e cambiando i versi del libretto per renderli più attuali e fedeli all’azione.

Rosalie Craig, Patti LuPone e Marianne Elliot

Il risultato finale è eccezionale, Company è nuovamente un musical con qualcosa da dire alla nuova generazione di theatregoers, una commedia sofisticata e attuale che ci fa finalmente capire come doveva essere trovarsi tra quel pubblico che, quarantotto anni fa, vide il debutto dello show. La sapiente regia della Elliot è valorizzata dalle scenografie di Bunny Christie, che crea stanza cubiche a scomparsa dalle quali Bobbie, come Alice nel romanzo di Carroll, si muove meravigliata per vedere lo strano mondo della vita di coppia. Pur non tradendo la sua passione per il neon, Elliot sfrutta al meglio il genio del lighting designer Neil Austin, che illumina le varie sequenze con una luce metallica e un po’ fredda che, come il libretto di Furth, esplora i personaggi nel dettaglio.

La bellezza e la raffinatezza della messa in scena andrebbe sprecata se il cast non fosse capace di rendergli giustizia, ma fortunatamente questo non è il caso. Rosalie Craig (As You Like It) non solo è stupenda in rosso, ma regala una Robbie ricca di sentimento e con delle note da brivido. I suoi soliloqui in musica Someone is Waiting, Marry Me A Little e, soprattutto, la splendida Being Alive mettono in bella mostra le ottime capacità canore della Craig, mentre il libretto ne mette alla prova le capacità recitative. Un test che, del resto, supera brillantemente: cambiando di scena in scena mentre la storia di sviluppa in maniera non lineare, l’attrice porta sul palco una donna intelligente e ironica, a tratti forte e a tratti indecisa, dubbiosa, curiosa e, forse, profondamente sola. Intorno a lei orbitano i suoi eccentrici amici sposati, le quattro coppie formate da Jamie e Paul, Sarah e Harry, Susan e Peter e Joanne ed il terzo marito Larry.

Rosalie Craig, Alex Gaumond e Jonathan Bailey

Nei ruoli di Jamie (un tempo Amy), Jonathan Bailey regala quella che è probabilmente la scena migliore della serata, l’esilarante pattern song Getting Married Today. Fresco del suo successo in The York Realist alla Donmar Warehouse, Bailey crea un personaggio adorabilmente nevrotico ed istericamente esilarante, un ragazzo combattuto tra l’amore per il compagno e la paura del matrimonio – ora è legale! Alex Gaumond è ottimo nel ruolo di Paul, il futuro (si spera?) marito di Jamie. Ottimi sono anche i Susan e Peter di Daisy Maywood e Ashley Campbell, i Jenny e David di Jennifer Saayeng e Richard Henders e i Peter e Sarah di Gavin Spokes e Mel Giedroyc, mentre Ben Lewis presta il fascino virile e l’ugola d’oro a Larry. Nei ruoli dei tre spasimanti di Bobbie, Andy, PJ e Theo (un tempo April, Martha e Kathy) fanno la loro figura Richard Fleeshman, George Blagden e Matthew Seadon-Young, impeccabili del loro terzetto You Could Drive A Perzon Crazy. Fleeshman e Seadon-Young brillanto anche nelle loro rispettive scene: il primo delinea un Andy fragile e divertente, capace di duettare con la Craig sulle note di una bellissima Barcellona, mentre il secondo regala grandi emozioni con il suo limitatissimo tempo sulla scena, in uno dei momenti più commoventi del musical. George Blagden è invece l’unica nota stonata (letteralmente) della produzione ed è un peccato, dato che canta uno dei numeri più amati, Another Hundred People.

Patti LuPone

Dulcis in fundo, la leggendaria veterana di Broadway Patti LuPone fa una rara apparizione sulle scene del West End e ci ricorda cos’è una diva della vecchia scuola. Noncurante dei suoi 69 anni, la LuPone mette in ombra il resto del cast con la sua voce unica e potente, ruggendo sulle note di una The Ladies Who Lunch da brividi con il carisma e la star quality di una vera leggenda. La sua Joanne è una Karen Walker al vetriolo, una donna ricca, alcolizzata e graffiante che regna indiscussa tra i personaggi così come la LuPone regna sulla scena. Il riferimento a Will & Grace non è casuale, dato che la Elliot è riuscita a trasformare la dozzina di vignette che compongono Company in piccole scene da sitcom, delle vere gemme che dimostrano quanto una visione rivoluzionaria di un classico, un allestimento di primo ordine e un cast più unico che raro possano rendere una sera a teatro davvero indimenticabile.

In breve. Eccezionale revival del primo successo di Sondheim, una commedia cinica e sofisticata reinventata da Marianne Elliot per una nuova generazione e superbamente interpretato da attori di primissima categoria. Il miglior musical a Londra.

★★★★★