sabato 9 ottobre 2021

Camp Siegfried all'Old Vic


Un fatto poco noto nella storia degli Stati Uniti è che c'era un gruppo di simpatizzanti nazisti che per tutti gli anni trenta organizzarono un campo estivo per promuovere gli ideali che Hitler diffondeva in Germania. Questo campo estivo a Long Island, chiamato appunto Camp Siegfried, è il soggetto dell'ultima pièce di Bess Wohl, la drammaturga statunitense fresca di candidatura al Tony Award che sta facendo ora il suo esordio sulle scene britanniche.

Un ragazzo (Him) e una ragazza (Her) si incontrano al campo estivo noto come Camp Siegfried: lui è un veterano del posto, mentre per lei è la prima volta. Con la sua esperienza e il suo carisma, il giovane diventa un mentore e un amico della ragazza, poi i due si innamorano e lei resta incinta. Perché è questo l'aspetto più oscuro del campo: non è solo un luogo d'indottrinamento, ma un posto in cui gli americani con sangue tedesco possono accoppiarsi per preservare ed aumentare la germanicità che è in loro. Con il passare dei giorni e lo stato della ragazza, le dinamiche tra i due cambiano, finché all'inizialmente timida giovane non viene chiesto di pronunciare il discorso di fine estate...

I two-hander, le opere teatrali interpretati da solo due attori, sono notoriamente un grande banco di prova per chi le scrive e chi le recita. Con attori inferiori e una drammaturga meno esperta, Camp Siegfried potrebbe essere stato pedante e pesante, soprattutto perché sarebbe facile cadere nella lezioncina di storia o nel moralismo. Fortunatamente questo non è il caso e il dramma regala al pubblico novanta intensi minuti di dialogo serrato, sottile ironia e grande recitazione. Luke Thallon e Patsy Ferran sono ottimi anche se presi singolarmente, ma insieme fanno davvero scintille. La Ferran (Speech & Debate, Come vi piace), in particolare, si è distinta negli ultimi anni come una delle migliori giovani attrici sulle scene londinesi, e con i suoi modi impacciati e l'orgoglio latente la sua Girl è uno dei personaggi più indimenticabili della stagione. La sua trasformazione da brutto anatroccolo ad appassionata oratrice è una grande prova di recitazione ed è almeno dal revival del 2017 de Le zoo di vetro che non vedo niente di simile. Thallon non è da meno: affascina e intriga all'inizio, tocca il cuore nella parte centrale e lo spezza in quella finale, quando combatte per non perdere il potere (e l'amore) che credeva di aver guadagnato.

Patsy Ferran e Luke Thallon

La pièce, elegantemente diretta da Katy Rudd, è una bella esplorazione del fascino che il nazifascismo può esercitare sui giovani con il senso (ghettizzante) di comunità che riesce a creare. Se da una parte è una lezione che è bene ricordare, soprattutto qui in Europa, dall'altre l'autrice non nasconde i richiami trumpiani: il nazismo di Camp Siegfried non è basato su teorie razziali, ma sulla rivendicazione della propria terra, della propria identità politica e il sogno di tornare a una (presunta) epoca d'oro del Paese. Forse qui si avverte un po' il limite dell'opera: i nazisti della Wohl sono troppo MAGA, troppo contemporanei e forse poco nazisti. A parte una rapida allusione, l'antisemitismo non è quasi mai menzionato e il razzismo in generale non ha posto a Camp Siegfried. Non è chiaro se questo rispecchia la realtà degli americani filo-nazisti o se l'autrice ce li ha voluti rendere più digeribili per non alienarsi il pubblico, sta di fatto che in alcuni momenti il loro idealismo/fanatismo politico tocca note un pochino troppo moderne, tanto che non ci stupiremmo di vedere Lui & Lei tirare fuori uno smartphone e twittare dell'account dei giovane repubblicani. 

Scenografie e costumi, semplici e funzionali, sono di Rosanna Vize

Resta comunque splendido il modo in cui la drammaturga costruisce e sviluppa la relazione tra i due protagonisti e il rapporto tra Him ed Her rimane un appassionante e meticoloso studio non solo dei rapporti e dei primi amori, ma dei giochi di potere che si formano nelle coppie. E sì, decisamente a volte la realtà storica si confonde con la contemporaneità, il finale è un po' sbrigativo e, come si sono lamentati alcuni critici londinesi, qualche ripetizione potrebbe essere eliminata. Ma la scrittura vibrante di Bess Wohl e le intense interpretazioni di Thallon e Ferran fanno chiudere un occhio su quasi ogni pecca e se ogni nuova opera teatrale avesse l'ambizione, l'intelligenza e l'urgenza di Camp Siegfried forse vivremmo in un mon(d)o un pochino più consapevole.

In breve. Un fatto poco noto dell'America degli anni trenta diventa una parabola (e un monito) sui pericoli e sul fascino del nazismo.

★★★★

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