giovedì 7 ottobre 2021

Amleto al Young Vic

Dal 1741, quando Fanny Furnival lo interpretò per la prima volta a Dublino, il ruolo di Amleto ha attratto non solo grandi attori, ma anche grandi attrici. Dalla divina Sarah Bernhardt a Ruth Negga, il Principe di Danimarca non è appannaggio escusivamente maschile da quasi tre secoli, con buona pace di Repubblica che ha visto nell'Amleto femminile di Antonio Latella una "provocazione". Ora a reggere l'oneroso teschio di Yorick ci pensa la trentaseienne Cush Jumbo, protagonista della serie The Good Fight e assente dalle scene britanniche da quasi un decennio.

Con il suo fisico androgino, la testa rasata e gli abiti maschili, l'Amleto della Jumbo ha un che di adolescenziale e per una rara volta possiamo vedere un principe di Danimarca che è – o almeno sembra – veramente giovane. Questo ringiovanimento del protagonista non è casuale (una battuta da cui si potrebbe evincere la vera età del protagonista è stata eliminata) ed è una delle scelte volute dal regista Greg Hersov per rifocalizzare l'intera vicenda esclusivamente intorno alla famiglia. O, per dirla tutta, alle famiglie, dato che ai reali danesi si affianca prepotentemente anche la famiglia composta da Pollonio e dai figli Laerte e Ofelia. 

Cush Jumbo (Amleto), Tara Fitzgerald (Gertrude) e Jonathan Ajavi (Laerte)

Per molti aspetti l'allestimento diretto da Hersov non offre nulla di particolarmente originale, anche se i massicci tagli al testo e la carismatica interpretazione di Cush Jumba trasformano la tragedia per eccellenza in tre ore di serrata azione e tensione. La pazzia di Amleto non è simulata (tagliata è la battuta sull'antic disposition), ma un profondo lutto che attanaglia il giovane principe e riemerge come tic misurati. L'energico Amleto di Jumbo è un affabulatore estroverso e apparentemente socievole, capace di interagire con fascino e intelligenza non solo con i suoi veri alleati (come Orazio), ma anche con tutte le persone che lo vogliono solo spiare (Polonio, Rosencrantz e Guildenstern). Più a suo agio nei dialoghi che nei soliloqui, l'Amleto della Jumbo colpisce per la sua "normalità", per essere un giovane uomo qualunque che si ritrova in una situazione strana e straziante: non è un eroe romantico, decadente o post-psicoanalitico, ma una persona energica e vitale che si trova intrappolata in un incubo. È questa normalità, questo essere vittima degli eventi a renderlo così vicino ad Ofelia, un personaggio la cui pazzia è – come per Amleto – causata sia dal grande lutto che dall'essere diventata uno strumento in mano a poteri più forti. E Norah Lopez Holden è un'ottima Ofelia, così come ottimi sono anche il Laerte di Jonathan Ajayi e, soprattutto, il Polonio di Joseph Marcell, che interpreta un personaggio estremamente pedante senza diventarlo egli stesso.


Alla famiglia perfettamente riuscita di Polonio si contrappongono i reali danesi, una coppia più acerba e interpretata debolmente da Tara Fitzgerald ed Adrian Dunbar. Forse è proprio Dunbar l'anello debole del cast e il suo Claudio manca di spessore: si riprende un po' nelle ultime scene in cui può interpretare un politico machiavellico, ma assente è il turbamento causato dalla sua stessa mancanza di rimorso. L'attore interpreta anche il Fantasma e qui Hersov fatica a delinearne la figura in modo soddisfacente: il vecchio Re Amleto compare in scena solo una volta, ma forse funziona meglio quando si limita a manifestarsi tramite proiezioni nebulose sullo sfondo. Brilla nei ruoli minori dell'attore e del(l'unico) becchino Leo Wringer, che con gli occhi spiritati e l'umorismo sottile rende la sua scena con Amleto nel cimitero uno dei momenti meglio riusciti della serata.

Norah Lopez Holden (Ofelia) e Cush Jumbo (Amleto)

Non tutto brilla nell'Amleto di Hersov: i tagli rendono molto scorrevole l'azione, ma sminuiscono un po' lo spessore dell'opera e senza l'arrivo di Fortinbras il finale è troppo brusco e affrettato. Anche la scena dell'omicidio di Polonio che conclude il primo atto è stranamente impacciata: il ciambellano viene pugnalato fuori scena e l'intervallo interrompe la "closet scene" spezzando così un ritmo che impiega un po' di tempo a recuperare nel secondo atto. Lo stesso problema avviene all'inizio: l'allestimento fatica a carburare e non trova davvero il suo centro fino al primo dialogo tra Amleto e Polonio, a cui segue l'incontro tra il principe e gli esilaranti Rosencrantz e Guildenstern di Joana Borja e Taz Skylar. A incorniciare la messa in scena, tesa e ricca di azione, ci pensa la bella scenografia di Anna Fleischle (Hangmen) che, pur non venendo sfruttata al massimo, mostra il marcio della Danimarca con i suoi specchi ossidati e le pareti che trasudano umidità.

In breve. Il carismatico Amleto di Cush Jumbo è la star di un lucido allestimento che, pur non raggiungendo mai grossi picchi emotivi, non annoia né delude.

★★★½

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