martedì 31 gennaio 2017

The Glass Menagerie al Duke of York's Theatre


A dieci anni dall'ultima produzione londinese, un acclamato revival del celebre memory play di Tennessee Williams torna a calcare le scene del West End dopo i successi ottenuti a Broadway e Edimburgo. The Glass Menagerie, noto in Italia come Lo zoo di vetro, è la più autobiografica delle opere di Williams, il geniale drammaturgo statunitense autore di classici come Un tram che si chiama Desiderio e La rosa tatuata.

Non c'è niente che Amanda Wingfield voglia più che trovare un marito alla fragile figlia Laura e per riuscirci obbliga il frustrato figlio Tom, aspirante scrittore, a portare a casa il suo collega Jim e presentarlo alla sorella. I sogni di Amanda sembrano finalmente realizzarsi e, con i suoi, anche quelli di Tom, che aspetta il matrimonio della sorella per poter cominciare a vivere la propria vita. Ma Jim riuscirà a realizzare i sogni dei Wingfield o li manderà in frantumi definitivamente? 

Diretto da John Tiffany, questo revival cattura in pieno la qualità evanescente della scrittura di Williams: il mondo che lo spettatore si trova davanti, anche grazie alla splendida scenografia di Bob Crowley, è fumoso come un ricordo e misterioso come un sogno, un bellissimo e quantomai raro incontro tra realismo e magia. L'intera vicenda è un ricordo di Tom e, nella visione di Tiffany, gli "spettri" dei suoi cari sembrano non aver mai lasciato la squallida casa in cui lui e la sorella sono cresciuti: mentre Tom ricorda, Laura sguscia fuori dal divano, un ricordo che non ha mai lasciato il luogo dove ha passato tutta la vita. L'atmosfera onirica della produzione è coronata dalle belle luci di Natasha Katz e dalle ottime musiche di Nico Muhly.

Cherry Jones e Michael Esper

Un cast di primissimo ordine rende pienamente giustizia al testo di Williams e alla regia di Tiffany, aggiungendo tocchi personali e sfumature originali ai personaggi. Nel ruolo della matriarca Amanda troviamo la leggenda di Broadway Cherry Jones al suo debutto londinese. Originaria del Tennessee, la Jones porta con sé un autentico bagaglio di esperienze di vita nel Sud degli Stati Uniti e un accento favoloso, creando un'Amanda in cui i guizzi di un passato più felice si fanno prepotentemente largo. Nessuno potrebbe dubitare che la sua Amanda è un'autentica ex "bella del Sud", una donna che ha passato la sua giovinezza nella veranda di una qualche piantagione a bere tè ghiacciato e intrattenere fascinosi figli di proprietari terrieri. E, anche quando il passato è un ricordo lontano, i manierismi restano, così come l'aria civettuola e una tendenza a contare sulla propria bellezza anche quando questa è sfiorita. Un particolare che ho trovato particolarmente toccante è il fatto che la Jones sembri suggerire che la sua Amanda è malata. In un paio di occasioni, Amanda nota che una mano le trema incontrollabilmente, l'afferra, la nasconde. Il suo desiderio ossessivo di trovare un marito per Laura non è quindi solo un modo di rivivere la propria giovinezza usando la figlia come surrogato, ma è spinto dal bisogno di trovare qualcuno che provveda a Laura quando lei non ci sarà più. Questa scelta va a mitigare la leggendaria forza fagocitante di Amanda Wingfield, rendendola più umana. Kate O'Flynn delinea una Laura di una timidezza sconvolgente, ai limiti dell'autismo, che parla con una voce forzata e a tratti meccanici: ma quando qualcuno è gentile con lei e la fa sentire importante, anche la sua voce si scalda e il suo essere una bambina nel corpo di un'adulta si attenua.

Kate O'Flynn e Brian J. Smith

Michael Esper (Lazarus) è Tom, il narratore, e nella sua ossessiva timidezza si scorgono le cicatrici dei soprusi emotivi della madre. Tom è un sognatore con la ali tarpate, un aspirante scrittore costretto a lavorare in fabbrica per provvedere alle due donne di casa: questa situazione ha portato il Tom di Epser a uno stato vicino all'isteria e per lui poter lasciare la casa è veramente una questione di vita o di morte. Ruba la scena nel ruolo di Jim Brian J. Smith, il collega di Tom figlio di immigrati irlandesi. In lui c'è tutta la simpatia e il carisma di un giovanotto di bella presenza, ma anche il fondo di delusione del non essere riuscito a mantenere le promesse che aveva manifestato da ragazzo. Come tutti gli altri personaggi del dramma, Jim è un miscuglio di speranze e delusioni, un sognatore che, a differenza dei Wingfield, tiene sempre i piedi per terra. Per descriverlo con le parole di Tom, Jim è una metafora, è "quel qualcosa sempre aspettato e sempre rinviato per il quale viviamo".

In breve. Splendido revival del primo successo di Tennessee Williams, un dramma magicamente diretto e interpretato da un cast eccezionale.

★★★★½

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