sabato 16 ottobre 2021

The Dante Project alla Royal Opera House


Nel 2015 il coreografo Wayne McGregor era stato acclamato per aver rivoluzionato la struttura tipica del balletto in tre atti con il suo meraviglioso Woolf Works. Il balletto, riproposto anche alla Scala un paio di anni fa, era una rielaborazione di tre opere di Virginia Woolf – La signora Dalloway, Orlando e Le onde – che, sviluppate ciascuna in un atto diverso, formavano un trittico davvero memorabile. Nessuno dei tre atti era un mero adattamento dei romanzi, dato che McGregor aveva "aperto" i testi come in un quadro cubista, assorbendone il contenuto e riproponendolo in maniera che fosse sì riconoscibile, ma nuova e innovativa. Mentre I Now, I Then era un adattamento ragionevolmente fedele di Mrs Dalloway, il secondo atto Becomings aveva soltanto una vaga rassomiglianza con Orlando, mentre in Tuesday McGregor aveva offerto una lettura altamente astratta e stilizzata di The Waves, che del resto è il più sperimentale dei romanzi della Woolf.

In occasione del settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta, McGregor torna a riproporre questo modello con The Dante Project, magnificamente portato sulle scene dal Royal Ballet. Vedere il balletto come un adattamento della Divina Commedia sarebbe un errore: una trasposizione integrale dell'opera (anche ammettendo che la danza sia l'espressione artistica migliore) sarebbe impossibile e del resto il coreografo ha altri piani. Così come in Woolf Works, anche in The Dante Project assistiamo a una rarefazione della trama con il passare degli atti. Se in Inferno: Pilgrim riconosciamo diversi episodi della prima cantica, in Purgatorio: Love vediamo come la Vita Nuova sia stata inglobata nel viaggio di espiazione delle anime e in Paradiso: Poema Sacro non ritroviamo più il Paradiso di Cacciaguida e San Bernardo, ma una massima rappresentazione della poetica dantesca della luce.

Gary Avis (Virgilio) ed Edward Watson (Dante)

Il successo del balletto nasce dalla perfetta sinergia tra le coreografia di McGregor, la scenografia di Tacita Dean, il disegno luci Lucy Carter e, immancabilmente, la partitura di Thomas Adès. Acclamata visual artist, Dean sviluppa scene e costumi trattando ciascuna cantica con straordinaria originalità. Il suo inferno non è la fornace che ci immaginiamo, ma una Caina perenne, fredda e buia. Sullo sfondo vediamo una gigantesca lastra di ardesia su cui è stata disegnata una montagna rovesciata: un'immagine bizzarra ed alienante, che suggerisce l'invertimento dell'ordine naturale e la desolazione del luogo, da cui si può vedere una realtà riconoscibile ma troppo lontana per essere raggiunta. In Purgatorio le sette cornici sono rappresentate da semplici sgabelli e su tutto si erge la fotografia di una pianta di Jacaranda. In paradiso la scenografia scompare e su uno schermo al centro del palco viene proiettato un filmato in 35mm che mostra un susseguirsi di cerchi luminosi, ispirati a quelli nei disegni per la Divina Commedia realizzati da Sandro Botticelli negli ultimi anni della sua vita.

I dannati all'Inferno

La Dean è affascinata dall'idea del negativo, nel senso fotografico del termine. I monti dell'inferno appaiono come nel negativo di una fotografia, così come i costumi dei ballerini: nonostante l'assenza di luce, essi sono completamente coperti di nero e i loro peccati – solitamente rappresentati con il colore della pece – vengono portati in scena con il biancore del gesso. È proprio il gesso che ricopre i personaggi a tradire il loro peccato, di cui diventa manifestazione visiva: un peccato che lascia impronte, che aleggia nell'aria e rimane attaccato alla pelle. I ladri hanno le mani coperte di gesso, Paolo e Francesca (gli stupendi Francesca Hayward e Matthew Ball) hanno il gesso sulle zone erogene, mentre Satana (l'ottima Fumi Kaneko) ne è completamente ricoperto. Anche il colore degli abiti di Dante e Virgilio vengono rappresentati in negativo, invertendo i colori attribuiti loro da William Blake. Così il Dante dell'inferno indossa una tunica di un verdino ospedaliero, mentre Virgilio è in giallo.

Edward Watson (Dante) e Sarah Lamb (Beatrice) in Purgatorio

È solo in purgatorio che Dante comincia a colorarsi di rosso, il colore di cui sarà vestito completamente in paradiso. Ed è proprio il secondo atto, quello del purgatorio, ad essere il più bello e commovente. McGregor immagina questo luogo di penitenza ed espiazione come un posto di profonda introspezione e memoria: mentre le anime dell'Inferno usano i ricordi per sminuire i propri errori e deflettere le proprie colpe, le anime purgatoriali si immergono nei ricordi e li accettano. L'atto diventa un'occasione per Dante (e McGregor) di ricordare l'amore per Beatrice (la splendida Sarah Lamb) e lo fa in una meravigliosa sequenza in cui il giovane poeta (Marco Masciari, davvero ottimo) ricrea la scena del primo incontro. Il secondo atto presenta anche il commovente addio di Dante al suo "dolcissimo patre", nonché momenti particolarmente toccanti di espiazione per le anime penitenti. Non più suddivisi in gruppi e scene episodiche, le anime del Purgatorio appaiono come una vera comunità e la partitura di Adès – intelligente ed evocativa, ricca di richiami a Liszt e Čajkovskij – incorpora magistralmente i baqashot, i canti di penitenza e supplica della tradizione sefardita. Il risultato finale dell'atto, dalla durata di appena venticinque minuti, è profondamente toccante e rende Purgatorio: Love la sezione di maggior successo del balletto.


Paradiso: Poema Sacro

Così come i versi danteschi si fanno più rarefatti nella terza cantica, anche le coreografie di McGregor abbandonano ogni tentativo di realismo per dedicarsi a un linguaggio profondamente simbolico e astratto. È la topografia del Paradiso – e non gli angeli e i santi – ad interessargli e forse la miglior descrizione del terzo atto ce la fornisce proprio Dante:

... e quelle anime liete
si fero spere sopra fissi poli,
fiammando, volte, a guisa di comete.

E come cerchi in tempra d’orïuoli
si giran sì, che ’l primo a chi pon mente
quïeto pare, e l’ultimo che voli;

così quelle carole, differente-
mente danzando, de la sua ricchezza
mi facieno stimar, veloci e lente.

                                                                (Par. XXIV, 10-18) 

La partitura di Adès, che dirige anche l'orchestra, vengono modellate da McGregor in coreografie che non rappresentano nessuno degli episodi narrati da Dante nel Paradiso, ma che creano un linguaggio visivo caratterizzato da ariosità e luminosità. L'atto è indubbiamente bello e mostra al pieno gli infiniti talenti dei ballerini del Royal Ballet, ma dopo la grande emotività del Purgatorio Paradiso: Poema Sacro risulta un po' più arido e meno soddisfacente. Migliora però nel finale, quando, dopo un ultimo, toccante pas de deux con Beatrice, a Dante non resta che rimanere a bocca aperta alla visione di quell'"Amor che move il sole e le altre stelle".

Sarah Lamb (Beatrice) ed Edward Watson (Dante) nel terzo atto

Il livello di talento in scena è francamente eccezionale. Adès stesso dirige l'ottima orchestra, in cui spiccano soprattutto le percussioni e i fiati. In scena danzano, oltre al corpo di ballo, ben undici ballerini principali del Royal Ballet, tra cui i sempre eccellenti Marcelino Sambé, Natalia Osipova e Yasmine Naghdi, oltre ai già citati Ball, Hayward, Lamb, Kaneko e, soprattutto, Watson. Edward Watson danza nella compagnia da quasi trent'anni e il 30 ottobre darà l'addio alle scene proprio con il suo Dante. Ballerino feticcio e stretto collaboratore di McGregor, Watson è uno dei danzatori più particolari ed intriganti dell'ultimo quarto di secolo. Con il suo corpo lungo e sottile, gli arti magri e interminabili, Watson si aggira sulla scena come un ragno: la sua agilità ed elasticità disegnano un Dante incredibilmente tormentato, con un piede sempre nella selva oscura. Il suo corpo sofferente lascia trasparire un profondo disagio interiore, che si allevia almeno in parte nel corso della serata. Non è nobile o elegante, ma un'anima che vede qualcosa di sé in tutti gli spiriti dell'Inferno. E anche quando danza in Paradiso, il Dante di Watson è in quel mondo ma non di quel mondo, una figura imperfetta e quasi claudicante che lotta per la perfezione e la pace interiore. È un'interpretazione intensa e memorabile ed è quanto mai appropriato che Watson termini la sua carriera interpretando un altro artista che, come lui, ha sempre spinto oltre il limite di quello che si credeva che la sua arte potesse raggiungere.

Federico Bonelli dopo la sua prima rappresentazione [foto di Rob Sallnow]

Al cast principale capitanato da Watson si alterna un secondo cast – di qualità altrettanto elevata ma con nomi meno noti – che vede nel nostro Federico Bonelli il suo Dante. Bonelli è, per molti versi, l'anti-Watson: dove il futuro pensionato è strano, inquietante e spasmodico, Federico è il classico danseur noble romantico e virile. Mentre Watson è sofferente, Bonelli è emotivo e l'interpretazione che ne risulta è decisamente differente. Senza quel corpo da insetto di Watson, Bonelli fatica a comunicare gli abissi di disperazione che Dante fronteggia all'inferno e anche nella prima cantica il suo è un protagonista profondamente segnato all'amore, come dimostra nell'interesse nei confronti di Francesca e Didone. Il ballerino italiano si riscatta abbondantemente nel secondo atto, dove il suo pas de deux con Beatrice raggiunge un'armonia sconosciuta in Watson: Bonelli è, prima di tutto, un grande partner sulle scene e mentre Watson vive di assoli, Federico dà il meglio di sé quando interagisce fisicamente con altri. In particolare, è nell'ultimo atto che vediamo la più grande differenza: mentre Watson si conferma un Dante che rimane estraneo alla perfezione del paradiso, Bonelli vi prende parte danzando i passi celestiali come se fossero la sua lingua madre. Entrambi i ballerini sono grandi artisti e potete stare sicuri che, qualunque cast vedrete, sarete in ottime mani.

In breve. Pur non riuscendo sempre a ritrovare la grande emotività e coerenza di Woolf Works, McGregor presenta al pubblico un nuovo balletto che anche se non è sempre soddisfacente, riesce comunque ad essere bellissimo. 

★★★★½

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