venerdì 24 marzo 2017

42nd Street al Theatre Royal, Drury Lane


42nd Street è uno dei grandi classici moderni, un musical debuttato a Broadway nel 1980 e basato sull'omonimo film con Ginger Rogers del 1933. Il musical aprì i battenti a Londra nel 1984 (proprio al Drury Lane!) e lanciò una giovanissima Catherine Zeta-Jones che, in un colpo di scena simile a quello nerrato nello spettacolo, andò a sostituire la star malata una sera in cui dei produttori erano tra il pubblico. 

New York, 1933. Il regista Julian Marsh sta per mettere in scena un nuovo costosissimo spettacolo di varietà con protagonista Dorothy Brock, una diva non più giovanissima. Sfortunatamente, Dorothy si rompe una gamba durante il rodaggio a Filadelfia e lo spettacolo sembra condannato a una morte prematura. Ma la giovane Peggy Sawyer, appena arrivata a New York sognando Broadway, sostituisce la diva all'ultimo momento e diventa una star.

42nd Street è esattamente tutto quello che vi viene in mente quando sentite parlare di musical: ballerine di fila, tip tap, coreografie pazzesche, costumi fantastici, luci, sogni che si avverano e un lieto fine. E' così stereotipicamente musical che uno potrebbe pensare che sia una specie di scherzo, una parodia. Purtorppo il libretto di Michael Stewart non è abbastanza acuto per questo, ma anzi, perde anche le occasioni di fare il minimo indispensabile. Quando Peggy mette piede nella sala prove sappiamo tutti che entro un'ora e mezzo diventerà una star: Stewart si appoggia su questa consapevolezza e ci appioppa tutti gli altri cliché che gli vengono in mente. Quello che secondo me è il vero difetto del libretto è il non saper valorizzare il periodo storico in cui il musical si svolge: siamo in piena Grande Depressione, la gente sta letteralmente morendo di fame. Ma il musical non ci mette mai davanti a questa realtà e così anche quando lo show minaccia di chiudere per l'assenza della star, noi finiamo per non preoccuparci più di tanto: i ballerini si lamentano che perderanno il lavoro, ma non realizziamo mai le implicazioni. Il programma di sala, giustamente, ci avverte che se il coro venisse licenziato non avrebbe nessun altro mezzo di sostentamento, il musical è una sottile speranza di restare a galla e non sprofondare nella terribilie povertà che affligge il Paese. Peccato che non l'abbiano fatto notare anche a Stewart: se avesse evidenziato quanto fosse alta la posta in gioco, il testo sarebbe risultato più teso e interessante. E invece scivola via, senza particolari picchi di emozioni né sorprese: anche il lieto fine sarebbe stato più bello se ci fosse stata almeno qualche difficoltà da superare durante il percorso.



A risollevarci il morale ci pensa la colonna sonora di Harry Warren (musiche) e Al Dubin (versi), canzoni frizzanti e divertenti che includono le celebri We're in the Money, Lullaby of Broadway e 42nd Street, il grande numero che conclude lo spettacolo di varietà e anche il musical. Ma la vera star della serata sono le coreografie di Randy Skinner, che sanno sfruttare al pieno il talento del numerosissimo cast: quando cento piedi colpiscono il palco con perfetta sincronia in un numero di tip tap...bé, è difficile non rimanere impressionati. Ottimi e ben caratterizzati sia i numeri diegetici che quelli eterodiegetici, brillanti coreografie che strizzano l'occhio alle Ziegfeld Follies con costumi luccicanti (ottimi, di Roger Kirk), specchi che riflettono il disegno e che si avvalgono in pieno della monumentale scenografia di Douglas W. Schmidt. Si possono criticare a oltranza i limiti del libretto, ma dei protuttori si può dire tutto tranne che siano stati tirchi.

Per l'occassione hanno anche riesumato Sheena Easton, che usa la sua voce pastosa e il naturale atteggiamento da diva per delineare una Dorothy divertente e, a tratti, anche toccante. Le hanno anche aggiunto una canzone, Boulevard of Broken Dreams, e la Easton se la cava egregiamente. Tom Lister delude nei panni del regista Julian Marsh, la sua ottima voce non compensa per una recitazione al limite dell'amatoriale, che consiste prevalentemente nel lanciare sguardi da maniaco al pubblico. Maggie Jones e Bert Barry, la coppia comica dello show, sono gli eccellenti Jasna Ivir e Christopher Howell: la prima stupisce con una voce potentissima, l'altro ha i tempi comici di un consumato uomo di teatro. Stuart Neal (The Winter's Tale, Harlequinade) è irresistibilmente irritante nel ruolo di Billy, il primo attore della compagnia: ottimo timbro tenorile, carisma da vendere e ballerino con i fiocchi.



Clare Halse è superba nel ruolo di Peggy Sawyer, il suo è uno dei quei debutti che possono segnare una carriera. Oltre a ricordare una giovane Lauren Bacall, la Halse balla divinamente, ha una voce da brivido, fascino, simpatia e una presenza scenica da vendere. Spero proprio che 42nd Street le serva da tramplino di lancio per lavori nuovi e * ehm ehm * migliori. Per quanto i protagonisti siano tutti bravi (e lo sono davvero), l'anima del musical resta fedele al suo intento e il grande protagonista dello spettacolo è il coro. Erano anni che il West End non si trovava davanti a un musical di queste dimensioni: il cast conta più di cinquanta artisti, 43 persone nel coro, di cui 15 ballerini e 28 ballerine. Quando ballano tutti insieme e in perfetta sincronia sono da mozzare il fiato: il gran finale (sopra la foto!) è un capolavoro di bravura, opulenza e precisione. Indimenticabile anche la prima scena: dopo la splendida overture, il sipario si solleva di un metro per mostrare una fila di cento gambe che ballano il tip-tap.

42nd Street è uno di quei casi in cui una produzione francamente perfetta fa brillare una materia prima non propriamente ispirata: capisco che il libretto di Stewart si voglia mantenere vicino alle intenzioni del film originale, quello di risollevare il morale delle persone flagellate dalla Depressione senza ricordagliela. Ma il 1980 non era il 1933 e se il film originale era davvero uno spettacolo d'evasione, quello del 1980 aveva semplicemente un libretto cretino e gli ultimi 37 anni dal debutto hanno solo rimarcato questo aspetto. Tuttavia, 42nd Street si fa perdonare con il suo cast eccezionale, l'ottima orchestra e le coreografie pazzesce: se avessero sistemato un po' il tiro, avrebbe potuto essere il musical perfetto.

In breve. Faraonico revival di un classico moderno, un musical con coreografie bellissime, un ottimo cast e belle musiche zavorrate da un libretto inconsistente.

★★★★

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