domenica 27 gennaio 2019

Outlying Islands al King's Head Theatre


Lo storico teatro e pub di Islington ha messo in scena un raro revival di Outlying Islands di David Greig, la pièce debuttata ad Edimburgo nel 2002 con il giovane Sam Heughan di Outlander nel cast. Alla vigilia della seconda guerra mondiale, i giovani ornitologi John e Robert vengono inviati dall'Università di Cambridge a studiare la popolazione di uccelli che vivono in una sperduta isola scozzese. Qui i due vivono in completa solitudine, se non per il vecchio proprietario dell'isola, Mr. Kirk, e la sua timida nipote Ellen. Il lucido Robert cede al fascino del posto e si sente sempre più attratto dalla natura e dal desiderio di unirsi ad essa, mentre il più prudente John cerca di mantenere una parvenza di civiltà anche in quell'avamposto desolato. Ma quando il vecchio Kirk muore in circostanze sospette, la tensione sessuale tra i due giovani ed Ellen cresce fino a portare i tre personaggi oltre il punto di non ritorno.

Nel suo dramma Greig pone domande interessanti sulla nostra responsabilità nei confronti della natura, sull'ipocrisia della nostra società, sul perbenismo che usiamo per nascondere i nostri impulsi più gretti e meschini. Tutto ciò sarebbe incredibilmente eccitante per un'opera scritta agli inizi del novecento, ma un dramma vecchio di quindi anni non dice niente che altri scrittori non abbiano detto prima e meglio. Outlying Islands è come un Signore delle mosche con protagonisti un po' più cresciuti, un tentativo di celebrare in modo quasi bacchico e orgiastico la natura e la nostra unione ad essa, un'unione con radici più profonde che quelle con la società borghese. Ma tutte le grandi domandi che la pièce ci lascia vengono solo accennate, quasi timidamente, ed è difficile dire quale sia l'intenzione dietro a tutto questo. La morte di Kirk, di cui Robert è parzialmente - o in grosso modo - responsabile, non sembra lasciare un profondo turbamento nei personaggi, come ci aspetteremmo che un fatto così grave facesse. E così anche per tante altre situazioni e temi: vengono momentaneamente sollevati e poi accatastati in un angolo, senza sapere cosa farci.

Jack McMillan (John) e Tom Machell (Robert)

Forse una regia più ispirata o un cast più travolgente potrebbe far sorvolare, se non risolvere, i limiti del testo, ma sfortunatamente questo non è il caso. La regista Jessica Lazar si limita a servire il testo con poche direzioni o coinvolgimento, anche se almeno le va il merito di aver saputo usare molto astutamente il limitatissimo spazio scenico del King's Head Theatre, questo anche greazie alla scenografia semplice e funzionale di Anna Lewis. Nel ruolo dell'anima nera del dramma, il disperatamente cinico e pragmatico Robert, troviamo un Tom Machell piuttosto blando e per niente carismatico. Nessuna sorpresa che non riesca a portare John al lato oscuro, con i suoi occhi spiritati e manierismi sembra ispirarsi più a Sheldon Cooper che un uomo innamorato del sublime che l'isola suggerisce con i suoi aspetti meravigliosi e terribili. Decisamente migliore Jack McMillan, che mette a nudo la crescita, i dubbi e l'indecisione del suo John. Il suo flirt con gli istinti più inconfessabili viene vissuto con vergogna e negazione, aspetti che McMillan incarna alla perfezione. Peccato che i due protagonisti stiano spesso in scena insieme da soli e la mancanza di chimica tra i due non giova  alla produzione.

Rose Wardlaw (Ellen) e Ken Drury (Mr Kirk)

Rose Wardlaw è sicuramente il fiore all'occhiello della produzione e la sua Ellen, una ragazza timida ed innamorata del cinema, che trova finalmente modo di crescere dopo la morte del tirannico zio, sboccia davanti al pubblico durante il secondo atto, trasformandosi da timida ed impacciata a sensuale e tentatrice. Completa il cast Ken Drury, veterano del National Theatre, che nel duplice ruolo di Mr Kirk e del capitano porta uno splendido accento scozzese e una burbera autorevolezza sul palco. Appesantito da dialoghi eccessivamente lirici, il dramma si consuma lentamente e la Lazar spreca anche l'ultima occasione di rendere un po' emozionante il confronto finale tra i tre giovani. E togliendo la tensione, il sesso, la paura e il dramma, ad Outlying Islands rimane soltanto la noia.

In breve. Trascurabile revival di un'opera che forse non meritava una seconda vita.

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