sabato 21 gennaio 2017

Holding the Man al Jack Studio Theatre


Il commovente memoir di Timothy Conigrave Holding the Man ha riscosso di recente un certo successo cinematografico quando Neil Armfield lo ha adattato in un film con Ryan Corr e Geoffrey Rush. Alcuni anni prima, Tommy Murphy lo aveva già trasposto sulle scene e ora, a sette anni dal debutto londinese, il dramma Holding the Man torna ad emozionare le platee.

Melbourne, 1976. Quando gli adolescenti Tim e John si innamorano non hanno idea che la loro storia sarà destinata ad affrontare un percorso così travagliato. Nei quindici anni insieme i due dovranno sopportare discriminazioni e rifiuti, ma la stabilità della coppia è messa a repentaglio anche dai continui tradimenti di Tim. Troveranno una nuova forza quando scopriranno entrambi di essere sieropositivi e Tim finalmente riuscirà a prendersi le proprie responsabilità nell'accudire l'uomo che ama fino alla morte di John, scomparso a 31 anni per complicazioni dovute all'AIDS.

Holding the Man è una storia molto toccante che non manca di umorismo e, purtroppo, di una certa autoindulgenza. Il primo atto e un'autentica gioia, ma il secondo sprofonda in un morboso e sdolcinato drammone che, come il titolo suggerisce, sembra davvero non riuscire a lasciare che la trama si chiuda con grazia. Il tema è importantissimo e chiaramente sentito da tutte le persone coinvolte (sia in scena che in platea), ma l'eccessivo sentimentalismo con cui viene trattato non fa onore a nessuno. La morte di John si prolunga per oltre quaranta minuti e ricorre a una serie di cliché che, per quanto efficaci, sminuiscono la portata della piece: nel riadattare il libro di memorie, Murphy avrebbe dovuto ricordarsi che quello che è sincero in un genere (le memorie) potrebbe risultare un po' forzato in un altro. Sia chiaro, non c'era un solo occhio asciutto alla fine, ma un po' più di sottigliezza (e tagli) non avrebbero certo guastato.

Christopher Hunter e Paul-Emile Forman

Il regista Sebastian Palka ha scelto di onorare la memoria del defunto attore e commediografo Conigrave ambientando l'intero dramma in una sala prove, idea originale ma che non giustifica certe scelte da saggio finale di una scuola di recitazione. Il budget era certamente limitato e soprattutto per questo avrebbe dovuto cercare di concentrarsi sulla storia in modo diretto e senza fronzoli... il risultato è stato altalenante. Fortunatamente, un cast di primo livello ha portato Holding the Man in acque più sicure. Marl-Jane Lynch, Dickon Farmar, Sam Goodchild ed Emma Zadow sono un'ensemble versatile e dinamica che interpreta le decine di ruoli secondari, tutti ben caratterizzati e portati in scena con ironia e gusto. Nei ruoli di Tim e John Christopher Hunter e Paul-Emile Forman sono davvero eccellenti e, non solo sono molto bravi singolarmente, ma insieme fanno scintille. La grande complicità e alchimia tra i due attori dà al dramma il cuore pulsante che Palka si è dimenticato di cercare e, in uno spazio intimo come il Jack Studio Theatre, crea un ambiente umano, personale e domestico che rende la storia dei due innamorati veramente elettrizzante.

In breve. Dramma commovente e a tratti un po' sdolcinato con un tema sempre attuale e due fantastici attori nelle parti dei protagonisti.

★★★½

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