Company al Gielgud Theatre
Se i suoi versi in West Side
Story and Gypsy e la sua partitura di A Funny Thing Happened on the Way to the
Forum lo resero un giovane compositore degno di nota, fu senza dubbio Company a
trasformare Stephen Sondheim nell’indiscusso maestro del musical, un genere che
non solo arricchì, ma rivoluzionò. Debuttato a Broadway nel 1970 con il
libretto di George Furth, la regia di Hal Prince e le coreografie di Michael
Bennett (un pedigree davvero impressionante, oggi come allora), Company fu il
primo vero e proprio musical “per adulti”, un’opera di teatro musicale capace
di rispecchiare la vita dei suoi spettatori, svelarne gli altarini e
condividerne le problematiche. Sia chiaro, già altri musical avevano affrontato
argomenti seri come il razzismo (Show Boat, West Side Story), l’omicidio
(Oklahoma!) e la guerra (South Pacific), ma nessuno come Company cambiò le
dinamiche del musical come genere teatrale, affermandone la validità
drammaturgica e la meritata appartenenza al “teatro serio”. Nella sua analisi a
tratti ironica e a tratti spietata della vita da sposati della New York
contemporanea, Company presentò al pubblico le difficoltà e le tensioni
quotidiane da cui andavano a distrarsi con un bel musical.
Bobby è un affascinante scapolo
di trentacinque anni, bello, carismatico e pieno di amici pronti a festeggiare
il suo trentacinquesimo compleanno. Tutti i suoi amici sono sposati – con più o
meno successo – e nelle vignette che compongono il musical Bobby scopre le loro
dinamiche, le loro piccole gioie, le loro ripicche e i loro rimpianti.
Affascinato e spaventato dal matrimonio, Bobby deve finalmente decidere cosa
fare della sua vita, se è pronto a rinunciare all’essere single per il grande
amore o se la paura di impegnarsi lo condurrà ad un’esistenza solitaria.
Larry Kert e il cast originale di Broadway (1970)
Una storia bella, divertente e
commovente, in cui tutti possono rispecchiarsi, ma che ha cominciato a
scricchiolare sotto il peso dei quasi cinquant’anni dal debutto. Del resto, non
essere sposati a 35 anni poteva essere strano o sospetto nel 1970, ma nel 2018?
Ci stupiremmo del contrario. Già negli anni 90 Sondheim e Furth avevano ripreso
in mano il libretto per svecchiare alcune scene e rivedere alcuni punti, ma
anche questo intervento di drammaturgia chirurgia estetica cominciava a dare
segni di cedimento da qualche anno. Riproposto a Broadway nel 2006 con Raul
Esparza e in concerto con la New York Philharmonic e Neil Patrick Harris nel
2011, Company sembrava destinato a diventare un pezzo da museo, il primo squarcio
sulla tela, una pietra miliare a cui riguardare con affetto ma forse non più
così capace di comunicarci qualcosa. E qua è arrivato l’aiuto provvidenziale
della pluripremiata regista Marianne Elliot, fresca dal grande successo del
suo revival di Angels in America in scena a Londra e Broadway.
Dopo averci sorpreso facendoci
vedere il modo attraverso gli occhi di un ragazzino autistico ne Lo strano caso
del cane ucciso a mezzanotte e aver riportato alla vita i cavalli della Grande
Guerra in War Horse, la Elliot ci stupisce questa volta con qualcosa di più
semplice: cambiare sesso al protagonista. E così Bobby diventa Bobbie, una
trentacinquenne bella e intelligente che si barcamena tra uomini e amici nella
New York dei nostri giorni. Se da parte questa scelta può sembrare un modo per
arruffianarsi il pubblico dell’epoca #MeToo, dall’altra l’orologio biologico di
Bobbie conferisce nuovamente urgenza a Company: a metà strada tra i trenta e i
quaranta, la donna non può aspettare ancora molto se vuole una famiglia e dei
bambini. Intorno a questo principale e riuscitissimo cambiamento, se ne
affacciano tanti altri: una delle quattro coppie di amici è ora una coppia gay,
le caselle telefoniche sono diventate messaggi audio su WhatsApp, la ricca
Joanne, matura mangiatrice di uomini, non è più solo una spalla su cui
piangere, ma un vero e proprio mentore per la giovane Bobbie. Storicamente
restio ai cambiamenti (nel 2013 aveva bocciato una versione gay di Company con
Alan Cumming), Sondheim ha dato la sua benedizione al progetto, rivedendo anzi
di persona la partitura e cambiando i versi del libretto per renderli più
attuali e fedeli all’azione.
Rosalie Craig, Patti LuPone e Marianne Elliot
Il risultato finale è
eccezionale, Company è nuovamente un musical con qualcosa da dire alla nuova
generazione di theatregoers, una commedia sofisticata e attuale che ci fa
finalmente capire come doveva essere trovarsi tra quel pubblico che,
quarantotto anni fa, vide il debutto dello show. La sapiente regia della Elliot
è valorizzata dalle scenografie di Bunny Christie, che crea stanza cubiche a
scomparsa dalle quali Bobbie, come Alice nel romanzo di Carroll, si muove
meravigliata per vedere lo strano mondo della vita di coppia. Pur non tradendo
la sua passione per il neon, Elliot sfrutta al meglio il genio del lighting
designer Neil Austin, che illumina le varie sequenze con una luce metallica e
un po’ fredda che, come il libretto di Furth, esplora i personaggi nel
dettaglio.
La bellezza e la raffinatezza
della messa in scena andrebbe sprecata se il cast non fosse capace di rendergli
giustizia, ma fortunatamente questo non è il caso. Rosalie Craig (As You Like It) non solo è stupenda in rosso, ma regala una Robbie ricca di sentimento e
con delle note da brivido. I suoi soliloqui in musica Someone is Waiting, Marry
Me A Little e, soprattutto, la splendida Being Alive mettono in bella mostra le
ottime capacità canore della Craig, mentre il libretto ne mette alla prova le
capacità recitative. Un test che, del resto, supera brillantemente: cambiando
di scena in scena mentre la storia di sviluppa in maniera non lineare,
l’attrice porta sul palco una donna intelligente e ironica, a tratti forte e a
tratti indecisa, dubbiosa, curiosa e, forse, profondamente sola. Intorno a lei
orbitano i suoi eccentrici amici sposati, le quattro coppie formate da Jamie e
Paul, Sarah e Harry, Susan e Peter e Joanne ed il terzo marito Larry.
Rosalie Craig, Alex Gaumond e Jonathan Bailey
Nei ruoli di Jamie (un tempo
Amy), Jonathan Bailey regala quella che è probabilmente la scena migliore della
serata, l’esilarante pattern song Getting Married Today. Fresco del suo
successo in The York Realist alla Donmar Warehouse, Bailey crea un personaggio
adorabilmente nevrotico ed istericamente esilarante, un ragazzo combattuto tra
l’amore per il compagno e la paura del matrimonio – ora è legale! Alex Gaumond
è ottimo nel ruolo di Paul, il futuro (si spera?) marito di Jamie. Ottimi sono
anche i Susan e Peter di Daisy Maywood e Ashley Campbell, i Jenny e David di
Jennifer Saayeng e Richard Henders e i Peter e Sarah di Gavin Spokes e Mel
Giedroyc, mentre Ben Lewis presta il fascino virile e l’ugola d’oro a Larry.
Nei ruoli dei tre spasimanti di Bobbie, Andy, PJ e Theo (un tempo April, Martha
e Kathy) fanno la loro figura Richard Fleeshman, George Blagden e Matthew
Seadon-Young, impeccabili del loro terzetto You Could Drive A Perzon Crazy.
Fleeshman e Seadon-Young brillanto anche nelle loro rispettive scene: il primo delinea
un Andy fragile e divertente, capace di duettare con la Craig sulle note di una
bellissima Barcellona, mentre il secondo regala grandi emozioni con il suo
limitatissimo tempo sulla scena, in uno dei momenti più commoventi del musical.
George Blagden è invece l’unica nota stonata (letteralmente) della produzione
ed è un peccato, dato che canta uno dei numeri più amati, Another Hundred
People.
Patti LuPone
Dulcis in fundo, la leggendaria
veterana di Broadway Patti LuPone fa una rara apparizione sulle scene del West
End e ci ricorda cos’è una diva della vecchia scuola. Noncurante dei suoi 69
anni, la LuPone mette in ombra il resto del cast con la sua voce unica e potente,
ruggendo sulle note di una The Ladies Who Lunch da brividi con il carisma e la
star quality di una vera leggenda. La sua Joanne è una Karen Walker al vetriolo, una
donna ricca, alcolizzata e graffiante che regna indiscussa tra i personaggi
così come la LuPone regna sulla scena. Il riferimento a Will & Grace non è
casuale, dato che la Elliot è riuscita a trasformare la dozzina di vignette che
compongono Company in piccole scene da sitcom, delle vere gemme che dimostrano
quanto una visione rivoluzionaria di un classico, un allestimento di primo
ordine e un cast più unico che raro possano rendere una sera a teatro davvero
indimenticabile.
In breve. Eccezionale revival del
primo successo di Sondheim, una commedia cinica e sofisticata reinventata da
Marianne Elliot per una nuova generazione e superbamente interpretato da attori
di primissima categoria. Il miglior musical a Londra.
★★★★★
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