Follies al National Theatre
Follies è quello che potremmo definire un imperfect masterpiece, un musical
apprezzato e amato, ma non al di sopra di ogni possibile critica. La colonna
sonora di Stephen Sondheim annovera nella partitura alcune delle canzoni più
amate del repertorio del teatro musicale, tra cui i classici Losing My Mind,
Broadway Baby e I’m Still Here. Il libretto, del Premio Oscar James Goldman, ha
invece sempre lasciato pubblico e registi insoddisfatti, al punto che da essere
continuamente revisionato: non è troppo lontano dal vero affermare che non
esistono due produzioni del musical con la stessa versione del libretto.
Follies, ambientato in un teatro di Broadway nel 1971, racconta della
riunione delle ex-showgirls che si esibivano su quel palco oltre trent'anni
prima. Alcune di loro, come Carlotta Champion, sono rimaste nel mondo dello
spettacolo, mentre altre hanno intrapreso strade totalmente diverse. Tra i partecipanti
alla reunion ci sono anche Sally e Phyllis, con i rispettivi mariti Buddy e
Ben. I quattro erano inseparabili prima dello scoppio della guerra e rincontrarsi
dopo tanti anni riaccende in Sally l’amore mai sopito per Ben. L’uomo sta
affrontando una profonda crisi personale, che sia davvero l’amore di Sally la
risposta a tutti i suoi dubbi?
Come i fantasmi che ne attraversano il palco, Follies è un musical fumoso e
ineffabile, una riflessione più sulla memoria che sullo show business. Accompagnati
dalle versione di loro stesse da giovani, le attempate signore rivivono la
propria giovinezza per alcune ore: alcune sognano il passato, altre sono sagge
abbastanza da sapere che nella memoria tutto sembra migliore. La produzione
diretta da Dominic Cooke coglie in pieno lo spirito del (sottovalutato)
libretto di Goldman e accetta le incongruenze del musical come quando si prende
atto dell’inconsistenza di un ricordo. Cooke ha puntato molto sulla
specularità, sul presentare con una sincronia mozzafiato il presente e il
passato: nel primo numero, Beautiful
Girls, le ex-ballerine ricreano il numero di apertura delle Weisman Follies
scendendo goffamente la scalinata del teatro, mentre dall'altra parte del palco
le loro versione più giovani fanno lo stesso con grazia ed eleganza. Questo si
ripete per molti dei numeri principali, in cui i fantasmi del passato scrutano
affascinati e delusi le donne che diventeranno col tempo. Certo, a volte il
palco è un po’ troppo sovraffollato, ma emotivamente è da brivido.
Imelda Staunton (Sally) e Janie Dee (Phyllis)
L’eccellenza della regia si rispecchia nel cast, un ensemble di quasi
quaranta elementi che dà nuova linfa a un musical che compie quarantasei anni.
Nel ruolo della fragile Sally Durant Plummer Imelda Staunton regala una performance sentina e commovente, un
ritratto di una donna depressa che ha passato gli ultimi trent’anni nell’attesa
di qualcosa che non è mai esistito. Quando mette piede sul palco per la prima
volta, eccitata di essere tornata a New York, si illumina di una gioia
deliziosa, presto spenta dall’arrivo del marito. La sua Sally ci ricorda di
quella zia zitella che legge romanzi rosa e gli oroscopi, un personaggio
eccentrico e adorabile che nasconde un dolore molto profondo. Vocalmente,
Imelda non può competere con i suoi predecessori Dorothy Collins, Julia
McKenzie o Bernadette Peters, ma la sua timida voce trasuda emozioni e la sua In Buddy’s Eyes è commovente come poche.
Janie Dee (Hand to God) è una splendida Phyllis Rogers Stone, l'amica-nemica di Sally che è riuscita ad accalappiare l'uomo dei suoi sogni e diventare un membro di spicco della società. Come Sally, nasconde il proprio dolore e la propria insoddisfazione, ma lo fa dietro a un velo di gelido cinismo. La serata metterà a serio rischio il suo rapporto con Ben, disotterando rancori sepolti da tempo. Dietro alle sue eleganti fattezze da Jackie O si nasconde una ragazza cruda e dirompente, che ancora emerge in alcuni momenti. Dee recita impeccabilmente, canta come una grande professionista (la sua Could I Leave You? è forse il momento migliore della serata) e mostra anche un talento nella danza nel suo numero finale, l'elettrizzante Lucy and Jessie, in cui mette in scena come in un numero di vaudeville la sua anima divisa.
Philip Quast (Ben) e Peter Forbes (Buddy)
Il baritono australiano Philip Quast è un ottimo Ben Stone, solido ma incrinato dai dubbi, un uomo che mette in discussione il successo ottenuto, le scelte fatte e il matrimonio. Vocalmente, Quast non ha rivali sul palco, ma anche la sua recitazione non è da meno: quello che rischia di diventare il personaggio più debole e noioso diventa l'anima del musical, un personaggio che ce l'ha fatta, ma ne siamo davvero sicuri? Peter Forbes è un Buddy particolarmente frustrato, che prova ancora a rendere felice la moglie anche se sa che fallirà. Anche Forbes regala un'ottima performance, specialmente nel suo numero Buddy's Blues, in cui esamina il rapporto con Sally e l'amante Margie come se fosse in un numero di varietà.
Nelle parti del resto delle ex-showgirl troviamo un impressionante gruppo di veterane del West End e particolarmente ben riuscite sono la Hattie di Di Botcher e la Carlotta di Tracie Bennett (Mrs Henderson Presents). La prima, una cinquantenne sgraziata e sovrappeso, si esibisce in un'esilarante Broadway Baby, un inno al working actor che passa da particina a particina sognando di diventare una star. La seconda interpreta una star di Hollywood survivalista che ha attraversato mezzo secolo di storia americana restando sempre sulla cresta dell'onda: e tutto questo viene cantato con una voce straordinaria e una rara intensità in I'm Still Here, il fiero canto di una donna che è sopravvissuta a tutto e a tutti. Ottima anche Dawn Hope nel ruolo di Stella, la ballerina di mezz'età che guida il cast nell'eccellente Who's That Woman?, un numero in cui le vecchie colleghe ricreano l'iconico numero del loro show e danzano a passi di tip tap con le loro versioni più giovani. Assolutamente indimenticabile è Dame Josephine Barstow - stella dell'opera londinese - nel ruolo della vecchissima Heidi: vicina agli ottanta, la Barstow ottiene la più grande ovazione della serata con la struggente One More Kiss, un duetto con se stessa da giovane.
Non possiamo certo dimenticare le versioni più giovani dei quattro protagonisti: Zizi Strallen (Phyllis), Fred Haig (Buddy), Adam Rhys-Charles (Ben) ed Alex Young (Sally) sono tanto bravi quanto i consumati attori di cui interpretano i fantasmi e i ricordi. E' davvero impressionante riscontrare negli uni e negli altri tic e movenze in comune, fino al punto che l'illusione di vedere lo stesso personaggio in momenti diversi della sua vita diventa completamente reale.
Coraggiosa e ben riuscita è la scelta di tagliare l'intervallo: Follies è una maratona emotiva di due ore e dieci che non beneficia della mancanza di interruzioni. Cooke ha scelto anche di ritornare al libretto originale di Goldman, usando la versione più fedele che sia stata messa in scena negli ultimi cinque decenni. Il risultato è eccellente, nessuno dei revival ha mai avuto un testo così ricco, appassionante e dettagliato. Certo, Follies resta insoddisfacente, vorremmo tutti sapere di più su quei personaggi - alcuni appena abbozzati - ma forse è qui che Follies vince su tutti i fronti. Fumoso come la memoria, dolce come una vecchia canzone e triste come un ricordo, Follies sarà anche imperfetto, ma resta un grande capolavoro.
In breve. Eccellente revival di un grande musical di Sondheim, messo in scena con maestria e interpretato da un solidissimo cast. Assolutamente imperdibile.
★★★★½
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