lunedì 17 ottobre 2016

Ragtime al Charing Cross Theatre


Il Charing Cross Theatre è un piccolo teatro a due passi dalla stazione di Embarkment e quest'anno sta mettendo in scena versioni "da camera" di musical precedentemente noti per i loro allestimenti sontuosi. Dopo il grande successo ottenuto con il musical Titanic, il teatro ospita attualmente una nuova e originalissima produzione di Ragtime, il musical di Stephen Flaherty e Lynn Ahrens (gli autori della colonna sonora del cartone Anastasia) tratto dall'omonimo capolavoro di Edgar L. Doctorow.

Affresco monumentale dei primi del Novecento in America, Ragtime racconta le storie di numerosi personaggi: il rapporto tra Madre e Padre cambia e la donna è sempre più indipendente, Fratello Minore cerca disperatamente una causa in cui credere, il pianista di ragtime Coalhouse Walker Jr. cerca vendetta dopo l'omicidio per motivi razziali dell'amata Sarah, l'immigrato lituano Tateh vuole costruire un futuro migliore per la figlia, l'anarchica Emma Goldman si batte per i diritti dei lavoratori, la bellissima Evelyn Nesbit deve testimoniare nel processo del marito dopo che l'uomo ha sparato al suo ex amante, Houdini è in cerca di un'esperienza sovrannaturale. E mentre il mondo si avvicina inconsapevolmente alla Prima Guerra Mondiali, i nostri protagonisti dovranno vedersela con un mondo in cui le esigenze degli afroamericani, delle donne, degli immigrati e dei lavoratori non potranno più essere ignorate dalla classe dirigente.

Debuttato a Broadway nel 1998, la produzione originale di Ragtime si avvaleva di un cast di quasi 50 elementi e un'orchestra di quasi 30. Il Charing Cross Theatre propone un allestimento in chiave minore, con un cast di circa venti artisti che non solo recitano e cantano, ma suonano anche gli strumenti in scena. Il regista John Doyle ha lanciato nel 2004 questo nuovo concept, denominato actor-musician concept, con un'innovativa produzione di Sweeney Todd in cui gli attori che in una certa scena non stavano recitando o cantando accompagnavano i solisti al piano o con qualunque altro strumenti essi sapessero suonare. Questo nuovo stile ha avuto un certo successo negli Stati Uniti e rivaluta il ruolo dell'orchestra nel panorama delle rappresentazioni dal vivo: i musicisti non sono più relegati in un buco sotto il palco come voleva Wagner, ma sono parte integrante dell'azione e della narrazione. Gli interpreti devono essere quindi particolarmente talentuosi, perché devono recitare, cantare e suonare contemporaneamente. Sotto la sapiente regia di Thom Southerland (Grey Gardens), tutto fila liscio come olio e - anche se un po' dispiace non poter ascoltare la fantastica colonna sonora di Stephen Flaherty in tutta l'espressiva bellezza di un'orchestra al completo - questa produzione di Ragtime è una vera gemma. La scenografia di Tom Rogers e Toots Butcher è, come la regia, semplice e creativa e il risultato finale ci ricorda come le grandi idee funzionino meglio dei grandi budget.

Jenniver Saayen (Sarah Brown) e Ako Mitchell (Coalhouse Walker Jr.)

Il cast di attori-musicisti è versatile e talentuoso: Anita Louise Combe è una fantastica Madre, Jenniver Saayeng (Les Liaisons Dangereuses) è una Sarah dalla voce da brivido e Gary Tushaw è un Tateh incredibilmente commovente. Bravi anche Earl Carpenter (Padre), Jonathan Stewart (Fratello Minore) e Joanna Hikman (Evelyn). Nei panni di Coalhouse troviamo Ako Mitchell che, anche se non riesce a cantare la (difficilissima) parte come dovrebbe, riesce comunque a portare in scema un uomo sopraffatto dalle emozioni e da una sete di giustizia che sfocia in vendetta. Abbastanza deludente Valerie Cutko (Piaf) nei panni di Emma Goldman. E' difficile dire chi sia il personaggio principale di Ragtime, è un musical in stile Robert Altman in cui il vero protagonista è in realtà la comunità rappresentata nel suo insieme. Il cast avrà pure i suoi alti e bassi, ma i momenti corali sono da mozzare il fiato e il colpo d'occhio è eccezionale.

In breve. Stupenda versione da camera di un blockbuster del teatro di Broadway, diretto con stile e originalità per mostrare che anche con un budget ridotto si può portare la magia in scena.

★★★★½

Kenny Morgan all'Arcola Theatre


The Deep Blue Sea viene considerato il capolavoro del commediografo inglese Terence Rattigan (autore anche di Harlequinade) e nel 2011 è diventato un apprezzato film con Tom Hiddleston e Rachel Weisz. Rattigan concepì la trama del dramma quando gli fu comunicata la notizia del suicidio del suo giovane ex amante Kenneth Morgan. Kenny Morgan è come il drammaturgo Mike Poulton ha immaginato le ultime ore di vita del suicida e il risultato è uno stupefacente dramma in scena all'Arcola Theatre.

Londra, 1949. Il tentativo di suicido del trentenne Kenneth Morgan (ex attore allo sbando, ex amante di Terence Rattingan ed ex giovane di belle speranze) viene interrotto bruscamente quando un vicino di camera della pensione in cui vivono sente odore di gas. Kenneth viene curato e accudito dai premurosi vicini e in quello che si rivelerà essere l'ultimo giorno della sua vita riceve due visite importanti. La prima è proprio quella di Terry Rattigan, l'acclamato commediografo, che lo invita a tornare a vivere con lui; ma Kenny rifiuta, perché stanco di vivere con i patetici tentativi di Rattigan di nascondere anche agli amici più intimi la loro relazione. Il secondo è il ritorno a casa del lunatico fidanzato Alec, che dopo aver scoperto del tentativo di suicidio decide di lasciare Kenny. Ancora una volta solo e senza speranze, Kenneth tenta nuovamente il suicidio.

Splendidamente diretto da Lucy Bailey, Kenny Morgan è un dramma dal forte impatto emotivo. Tutti i piccoli passi che portano Kenny a compiere il gesto estremo sono mostrati con un'umanità che non nasconde l'aspetto fortemente drammatico della vicenda. Il rapporto tra Terry e Kenny e quello tra Alec e Kenny appaiono come i due estremi di uno spettro e nessuno dei due è particolarmente positivo. Tra un amante fagocitante e uno al limite della bipolarità, Kenny trova una momentanea ancora di salvezza solo nella "gentilezza degli estranei", nei vicini messi in allerta dall'odore del gas. L'ottimo testo di Mike Poulton è farcito di citazioni da The Deep Blue Sea, ma Kenny Morgan si erge fieramente sulle proprie gambe e lo spettatore che non conosce l'opera di Rattigan può apprezzarlo tanto quanto un suo profondo conoscitore.

Paul Keating e Pierro Niel-Mee

Certo, con le sue quasi tre ore uno potrebbe sostenere che il dramma è un po' troppo lungo e il primo atto in particolare è un po' troppo statico. Ma raramente mi sono trovato così coinvolto con un personaggio quanto lo sono stato con l'omonimo protagonista di questo nuovo dramma: negli ultimi istanti lo spettatore si scopre smanioso della speranza che qualcun altro entri nella camera di Kenny e lo salvi. L'ultimo momento è particolarmente potente: immersi del buio, gli spettatori non possono che ascoltare impotenti i profondi respiri di Kenny che, sdraiato di fronte alla stufa, inala il gas letale.

Paul Keating è un fenomenale Kenny e la sua performance è una di quelle straordinariamente dettagliate che rimangono impresse. Descrive magistralmente l'arco del personaggio e mette a nudo la propria anima come solo un grande interprete sa fare. Simon Dutton è forse un po' troppo affabile e paterno nel ruolo di Rattigan: è sicuramente un bravo attore, ma la sua performance non mette in mostra la debolezza e la vergogna del personaggio come dovrebbe. Pierro Niel-Mee è ottimo nel ruolo dell'instabile fidanzato Alec e la sua performance brutale e violenta si integra alla perfezione quella di Keating. Davvero superlativo anche George Irving nel ruolo di Mr. Ritter, l'uomo che salva Kenny la prima volta. E' un immigrato austriaco e, in quanto ebreo, il metodo di suicidio scelto da Kenny lo ha tubato profondamente: il discorso con cui cerca di convincere il protagonista a desistere dalle sue intenzioni è uno dei più toccanti del dramma. Brave anche Marlene Sidaway nel ruolo della padrona di casa e Lowenna Melrose nella parte dell'amante di Alec.

In breve. Splendidamente diretto e recitato, Kenny Morgan è un piccolo capolavoro dall'enorme impatto emotivo, un dramma toccante e un "must see" per gli amanti del teatro di passaggio a Londra.

★★★★½

sabato 15 ottobre 2016

The Go-Between all'Apollo Theatre


Chiude oggi all'Apollo Theatre di Londra una mosca bianca del West End, uno strano esperimento nel panorama del musical odierno. The Go-Between è un nuovo musical con musica e versi di Richard Taylor e libretto di David Wood, tratto da L'età incerta di L. P. Hartley.

L'anziano Leo è tormentato dai ricordi di un'estate della sua primissima adolescenza, un'estate trascorsa nella tenuta degli aristocratici Maudsley. Tutto prende una strana piega quando il suo amichetto Marcus si ammala e Leo rimane così solo nella casa della famiglia dell'amico e deve trovare un altro modo per occupare le proprie giornate. Si invaghisce di Marian, la sorella di Marcus, e la ragazza approfitta dell'infatuazione del ragazzino per farlo diventare il portatore dei messaggi segreti tra lei e il contadino Ted. L'amore tra i due è ostacolato dalle differenze di classe e sfocia in tragedia quando Lady Maudsley requisisce una lettera a Leo e coglie in flagrante la figlia e il contadino. Lo scandalo porta Ted al suicidio e per decenni questo fatto perseguita Leo, finché non decide di andare a trovare l'anziana Marian e di essere, per l'ultima volta, il portatore di un messaggio d'amore molto speciale.

Questo The Go-Between è davvero un'eccezione per gli standard del West End e, per fare un paragone con un musical recensito di recente, è l'anti-Kinky Boots. Nessun cambio di scena, costumi di una semplice eleganza, scenografia essenziale e allusiva, limitatissime coreografie e invece dell'orchestra c'è solo un pianoforte in scena. Circondato da musical commerciali come Mamma Mia! e Jersey Boys, The Go-Between è un inno al minimalismo, al principio di "less is more", un tentativo di riscoprire la qualità che a volte è soffocata alla quantità. Peccato però che la qualità dietro The Go-Between non sia di prim'ordine. La colonna sonora di Richard Taylor è piacevole, ma nulla di più, i versi sono un po' triti e qualunquisti (abbiamo ancora bisogno di una canzone sulle farfalle nel ventunesimo secolo? Ne siamo proprio sicuri?). Il libretto di David Wood cattura l'ineffabilità del mondo dei ricordi e la sua malinconia, ma quando bisogna affondare i denti sul soggetto a Wood cade la dentiera. Il momento climatico del secondo atto e (spoiler!) il suicidio di Ted avvengono così di sfuggita che uno spettatore che non ha mai letto il libro fa davvero fatica a rendersi conto di cosa sia successo. Il che è particolarmente grave quando il punto di partenza della storia è che Leo è ossessionato dal rimorso di quello che è successo. Wood toglie ossigeno alla sua stessa candela e il risultato finale è un po' delutente. 

Stuart Ward (Ted), Michael Crawford (Leo) e William Thompson (Leo da piccolo)

L'aspetto tecnico è decisamente migliore: i costumi e la scenografia di Michael Pavelka sono raffinati e suggestivi, le luci di Tim Lutkin danno al tutto un'atmosfera seppia da vecchia fotografia. La regia di Roger Haines fa il possibile con ciò che gli è stato dato e, anche se non è riuscito a infondere nuova linfa al musical, ha lavorato bene con i suoi interpreti. Michael Crawford, la grande star del West End, è eccellente nel ruolo dell'anziano e tormentato Leo. Certo, la voce è non è quella di vent'anni fa, ma la grande umanità che riversa nei suoi personaggi e i penetranti occhi azzurri non sono sfuggiti a nessuno nel teatro. La sempre deliziosa Gemma Sutton è superba e delicata nel ruolo di Maria e a lei è stato affidato il pezzo migliore della colonna sonora, Grow and Change, e lo interpreta alla perfezione. Bravo anche Stuart Ward nel ruolo di Ted e Archie Stevens in quello del piccolo Marcus. Un po' troppo sotto tono è il Leo adolescente di William Thompson (uno dei tre ragazzini che si alternano nel ruolo), che sparisce al confronto del ben più carismatico Marcus. Unica nota veramente stonata è la Lady Maudsley decisamente sopra le righe di Issy van Randwyck.

In breve. Allestimento raffinato e non privo di meriti di un musical che, pur non essendo particolarmente incisivo, costituisce una piacevole alternativa nel panorama musicale del West End. Da vedere per l'ottima performance del veterano Michael Crawford.

★★★½

venerdì 14 ottobre 2016

La Tempesta al King's Cross Theatre


Chi pensa che Shakespeare sia noioso deve fare i conti con Phyllida Lloyd, la fantastica regista che ha curato un nuovo allestimento di una trilogia shakespeariana (Enrico IV, Giulio Cesare, La Tempesta) con un cast tutto al femminile. Ma la Lloyd non si è limitata a cambiare i sessi, ha anche ambientato tutte e tre le opere in un carcere femminile, dando risvolti inattesi alle opere shakespeariane. Per ora sono andato solo a vedere La Tempesta, lo stupendo romance considerato dai più come l'addio di Shakespeare al teatro.

Prospero, il Duca di Milano, è stato vittima di un colpo di stato ad opere del fratello e del re di Napoli e si è trovato esiliato con la figlia in un'isola sperduta. Quindici anni dopo tutti i nemici di Prospero stanno navigando vicino all'isola ed il duca spodestato usa i suoi poteri magici e lo spiritello Ariel per scatenare una poderosa tempesta che li fa naufragare nel suo regno. Prospero ha in mente un piano di vendetta, ma presto le cose prenderanno una piega più positiva in questo dramma che sfugge a ogni definizione e ci parla dell'amore, della vecchiaia, dell'amicizia e del perdono.

Alcuni critici non molto rigorosi ritengono La Tempesta una critica al colonialismo, ma questo nuovo allestimento ci ricorda qualcos'altro: ci ricorda che anche Prospero è prigioniero, è la vittima di qualcuno. Un dettaglio che è facile dimenticare quando si vedono i piani dell'astuto stregone. Ma l'eccellente regia di Phyllida Lloyd non si lascia perdere questo dettaglio così succoso, anzi ne fa il punto forte del suo adattamento. Con musica, balli e grandi interpretazioni, questo adattamento della Tempesta è superiore a molti allestimenti della Royal Shakespeare Company e riesce a dare al testo una dimensione umana che molti registi perdono quando si parla di Shakespeare, sopraffatti dalla reverenza per il testo.

Grandi attrici hanno già interpretato Prospero, Vanessa Redgrave e Helen Mirren per citarne un paio, ma la consumata primadonna shakespeariana Harriet Walter porta il ruolo a un livello sfiorato da pochi colleghi di entrambi i sessi. Il suo Prospero è maternamente paterno e saggio, protettivo e irascibile con un Robinson Crusoe che ha passato troppo tempo in solitudine. Dame Walter ha tutto quello che serve a un attore che si cimenta con Shakespeare: parla in blank verse come se fosse la sua lingua materna, ha una profonda comprensione del testo e un carisma scenico più unico che raro. E' difficile staccarle gli occhi di dosso e il suo Prospero è un capolavoro di caratterizzazione e umanità. 

Dame Harriet Walter è Prospero

Il resto del cast è altrettanto buono, e tra tutti spicca l'Ariel di Jade Anouka: spumeggiante e ribelle, solca il palco come solo uno spirito riuscirebbe a fare... e che voce! Il resto dell'ottimo e multietnico cast comprende: Sheila Atim (Ferdinando), Jackie Clune (Stefano), Shiloh Coke (Alonso), Karen Dunbar (Trinculo), Zainab Hasan (Miranda), Jennifer Joseph (Antonio), Martina Laird (Sebastiano), Sophie Stanton (Calibano) e Carolina Valdés (Gonzago). Semplici ed efficaci i movimenti di Ann Yee e i costumi di Chloe Lamford, così come le luci di James Farncombe.

In breve. Impeccabile e originalissimo allestimento di un grande classico, stupendamente diretto e recitato. Se passate a Londra non potete perdervelo e se siete under 25 i biglietti sono gratis!

★★★★½

Shopping and Fucking al Lyric Hammersmith


Prostituzione minorile, sesso orale, anale e telefonico, dipendenza da droghe e capitalismo. Trovate l'intruso. Non lo vedete? Allora la pensate proprio come Mark Ravenhill, autore del controverso Shopping and Fucking. Debuttato al Royal Court Theatre nel 1996, Shopping and Fucking è considerato un capolavoro del cosiddetto in-yer-face theatre, un genere teatrale di breve fortuna negli anni '90 il cui scopo era scandalizzare il pubblico in ogni modo.

Il dramma non ha una trama lineare vera e propria, ma tra i deliranti scenari che ci presenta possiamo intravedere la storia di Mark, un uomo adulto che vive con i giovanissimi Robbie (di cui è amante) e Lulu (tossicodipendente). In cerca di sesso occasionale e di mancanza di legami affettivi, Mark incontra il quattordicenne Gary, un giovane marchettaro, che viene introdotto nel piccolo circolo di Mark. Robbie è geloso, Lulu anche e alla fine Mark esaudisce la fantasia di Gary e lo pugnala. Il tutto viene commentato da Brian, una figura divina a metà tra un venditore e un predicatore, che serafica ci avverte che finché riusciremo a far girare denaro nessun problema sarà davvero serio. 

Non fatevi spaventare da una trama così morbosa, in realtà Shopping and Fucking è molto divertente. Certo a tratti è un po' datato (ci sono cose che fanno terribilmente anni novanta), ma in altri punti è spaventosamente attuale. La regia di Sean Holmes è riuscita a fare quello che pochissimi registi fanno: offrire una rilettura autoironica di un testo non solidissimo in modo che, mettendo in ridicolo le sue stesse debolezze, le trasforma nei suoi punti di forza. Certo a volte la semiotica non va troppo per il sottile (il prezzo attaccato alle mutande degli attori per ricordarci che tutto è in vendita è un po' scontata...), ma Holmes serve allo spettatore un piatto deliziosamente metateatrale: gli attori sono ripresi dal vivo sul palco e le loro immagine vengono proiettate sullo sfondo, siparietti di karaoke, attori che vendono (letteralmente!) spille e merendine al pubblico e ballano con loro... La prima parte in particolare è talmente divertente che quando l'azione si trasforma in un baccanale nel senso più euripideo del termine lo spettatore rimane ancora più sconvolto. Questa produzione di Shopping and fucking è esilarante e disturbante come solo pochi revival sanno essere.

Alex Arnold è Robbie

Lo spettacolo vede in scena cinque attori di ottimo livello e tutti molto, molto disinibiti. La performance migliore è quella della Brian di Ashley McGuire, paterna e distruttiva allo stesso tempo, abile affabulatrice e drago sopito. Sam Spruell è un Mark viscido al punto giusto e molto valido soprattutto nelle sue scene con il tormentato Gary del bravo David Moorst. Completano il cast Alex Arnold e Sophie Wu, bravi nel portate in scena la fragilità di Robbie e Lulu.

In breve. Coinvolgente nuova messa in scena di uno spettacolo ancora attuale. Solo per stomaci forti!

The Entertainer al Garrick Theatre


Our revels now are ended, la stagione teatrale della Kenneth Branagh Theatre Company, inauguratasi lo scorso Novembre con il Racconto d'Inverno, è giunta al termine. E, per chiudere la stagione, Kenneth Branagh ha scelto di riproporre sulle scene londinesi il dramma di John Osborne che si rivelò un successo inaspettato per Laurence Olivier nel 1957. The Entertainer ci porta porta all'interno di casa Rice, dove la giovane Jean ritorna dopo aver lasciato il fidanzato per divergenze politiche. Qua ritrova il burbero nonno Billy e la querula matrigna Phoebe, il romantico fratello Frank e l'illuso padre Archie. Archie è una star di seconda categoria del varietà, irrimediabilmente donnaiolo, sessualmente ambiguo, evasore fiscale impenitente e un fallimento su tutti i fronti come padre, figlio, marito e artista. L'equilibrio delicato della famiglia Rice si spezza definitivamente quando il primogenito muore in guerra: la giovane amante lascia Archie e l'uomo rifiuta di trasferirsi in Canada con la moglie, dove la famiglia di lei ha trovato un ottimo lavoro per il cabarettista. Alla fine, dopo aver eseguito un ultimo numero, Archie è costretto a vedersela con l'agenzia delle entrate. 

In un certo senso The Entertainer ricorda un po' Morte di un commesso viaggiatore. Racconta la storia di uomo, un uomo sicuramente pieno di difetti, che nonostante tutto prova a dare il proprio contributo a quelli che gli stanno intorno. Eppure, Morte di un commesso viaggiatore resta un capolavoro senza tempo, una celebrazione della fatiche umane e la frustrazione di un sogno irrealizzabile. The Entertainer non riesce a lasciare niente di questo al pubblico, ma anzi lo soffoca con un primo atto interminabile e poi lo lascia basito con un finale affrettato e brusco. Il risultato finale è deludente come una bomba inesplosa, un dramma che promette e promette, ma non mantiene niente. Forse la colpa è del regista Rob Ashford, che non ha saputo dare una direzione al testo, valorizzare i suoi interpreti o fare riferimenti a una Gran Bretagna più attuale e post Brexit. O forse la colpa è solamente del testo, che per lo spettatore moderno risulta datato senza speranza. Per il pubblico degli anni '50, un pubblico con un fresco ricordo di guerre e bombardamenti, The Entertainer può aver sfiorato certe corde, ma oggi mi chiedo se questo testo abbia ancora qualcosa da dirci. John Osborne era uno dei giovani scrittori "arrabbiati" del dopoguerra, ma sembra che del suo furore oggi non siano rimaste neanche le braci. 



Certo, Kenneth Branagh è un consumato primo attore e il suo Archie è il giusto mix tra glorioso e repellente. Uomo di mondo e intrattenitore, con uno sconfinato repertorio di battute trite e ammiccamenti, non riesce bene a delineare il confine tra il palco e i salotto (colpa anche di Ashford, che ha trasformato i numeri di vaudeville in una sorta di psico-teatro nello stile del film Chicago, invece che lasciarli in scene separate come il testo vorrebbe). Forse a tratti c'è un po' troppo autocompiacimento, ma all'erede di Olivier lo si può anche concedere. Brava Greta Scacchi nel ruolo di Phoebe, piatta e monocorde Sophie McShera (Daisy di Downton Abbey) nella parte di Jean e veramente bravo Gawn Grainger nel ruolo del vecchio Billy. La performance più sentina e sincera è forse quella del giovane Jonah Hauer-King nel ruolo di Frank, il disilluso figlio di Archie. Per il resto, stupende scenografie di Christopher Oram, ottime luci di Neil Austin, simpatica musica dal vivo di Patrick Doyle e divertenti coreografie di Chris Bailey

In breve. Produzione elegante e ben recitata con un enorme buco al posto del cuore. Ha i suoi momenti, ma sembra essere irrimediabilmente datato.

Kinky Boots all'Adelphi Theatre



Finalmente tornato a Londra per il nuovo anno universitario! Ed esiste un modo migliore di festeggiare che un chiassoso musical vincitore del Tony Award al miglior nuovo musical? Kinky Boots, il musical tratto dall'omonimo film di Geoff Deane e Tim Firth, si è rivelato un acclamato successo sia a Broadway che a Londra, vincendo ogni premio possibile e l'amore incondizionato del pubblico. 

Con una colonna sonora di Cyndi Lauper e libretto di Harvey Fierstein, il musical racconta di Charlie Price, l'erede di una fallimentare fabbrica di scarpe da uomo, che dopo aver conosciuto l'esuberante drag queen Lola decide di dare nuova linfa agli affari creando un nuovo tipo di stivali sexy per drag queen... gli stivali da donna infatti non sono abbastanza robusti per reggere il peso di un uomo e gli eccentrici artisti si ritrovano spesso con i tacchi spezzati. Ma Charlie dovrà scontrarsi contro i pregiudizi della sua piccola città, le lamentele della storica fidanzata Nicola e la propria diffidenza nei confronti di questa clientela così sopra le righe... alla fine Charlie supera ogni pregiudizio e grazie a Lola e alle sue "girls" ottiene un successo strepitoso alla settimana della moda di Milano.

Kinky Boots è una commedia solare e spumeggiante che, senza andare troppo nel profondo, parla dell'accettare noi stessi e gli altri. La colonna sonora è divertente anche se non particolarmente memorabile e il libretto non riesce a delineare personaggi troppo precisi. Il primo atto è esilarante e coinvolgente, nel secondo la bidimensionalità del libretto porta a dei momenti di stasi e di una certa superficialità, che esplodono in un finale sopra le righe ma che per un musical come questo può anche andare bene. Il grosso limite del libretto di Fierstein è che riesce a far ridere ogni volta che vuole, ma quando prova ad essere profondo fallisce miseramente. Jerry Mitchell ha curato sia la regia che le coreografie e mentre la prima potrebbe essere un po' più incisiva, le seconde sono veramente favolose, soprattutto nelle scene di Lola e le "girls".

I tre protagonisti in una scena del musical

Davvero ottimo il cast, capitanato da uno strepitoso e inarrestabile Matt Henry nel ruolo di Lola. Molto bravi anche l'adorabile Charlie di David Hunter e l'esilarante Laureen (il nuovo interesse amoroso di Charlie) della debuttante Elena Skye. Ma tutto il cast è davvero di primo livello, con voci fantastiche e forti personalità.

In breve. Kinky Boots è uno spettacolo leggerissimo e divertente, ottimo anche per chi non ama i musical, con eccellenti coreografie e un cast di prim'ordine. Ideale per una serata piacevole in famiglia.

½

lunedì 11 aprile 2016

Andare a teatro con prezzi abbordabili a Londra!

Londra è un sempreverde del turismo europeo e non solo, una città in cui fuggire per un weekend, un ponte o una vacanza. Amata dalle coppiette, dalle comitive di tutte l'età e dalle famiglie con bambini, Londra è il grande banchetto in cui, per parafrasare Patrick Dennis, solo gli scemi muoiono di fame. Dal cambio della guardia alla Torre, dalla National Gallery al Museo di Storia Naturale, da Saint Paul al London Eye, Londra offre un'infinita gamma di luoghi d'interesse per tutti i gusti e vi posso assicurare che qualsiasi cosa vi piaccia a Londra troverete un museo interamente dedicato ad esso.

Tanti turisti non perdono l'opportunità di visitare una delle attrazioni più rinomate, redditizie e popolari che Londra può offrire, i teatri del West End. E, fidatevi, non solo appassionati di teatro vanno a vedere qualcosa nelle playhouses londinesi, ma vedere uno spettacolo in posti come Londra o New York è diventata una tappa di rito. Basti solo pensare che lo scorso anno i teatri del West End hanno fatturato più di un miliardo di sterline. Londra è la città con più teatri al mondo e ovunque andrete, anche nel peggior quartiere periferico, troverete un teatro... anche in posti che non avreste mai immaginato possibile. Nella mia esperienza di teatro londinese non sono mancati spettacoli in chiese sconsacrate, cimiteri abbandonati, parchi, fabbriche di cioccolato in disuso, linee morte della metropolitana e vecchie piscine. Troverete teatri da cinquemila posti e altri da cinquanta, eleganti teatri d'opera hannoveriani e posti adibiti ad attività decisamente non artistiche fino a vent'anni fa. 

Ma non lasciatevi ingannare! Il fatto  che il teatro sia così popolare non significa che sia economico. Tutt'altro! Il teatro a Londra è molto, molto, molto caro e il cambio sterlina-euro non ci aiuta certo a rendere la cosa più digeribile. In tutti i teatri troverete centinaia di biglietti venduti per oltre novanta sterline (non vi dico neanche il cambio in euro, ve lo risparmio). Ok, vi ho appena dato una cattiva notizia, ma non c'è bisogno di disperarsi. Se volete dei consigli su come arrabattarvi col teatro londinese senza diventare voi stessi "les misérables", siete arrivati nel posto giusto: in quanto studente universitario, conosco tutti i trucchi per vedere il meglio della scena teatrale londinese a bassissimo costo. Quindi, sedetevi e mettetevi comodi, come andare a teatro senza diventare poveri è la risposta per voi.

A TEATRO CON 5£

Ebbene sì, è possibile. Potete andare a teatro - e che teatro! - con sole cinque sterline. Ecco tutto quello che potete vedere con questo budget limitatissimo:
  • National Theatre. Uno dei teatri più belli, prestigiosi e con il cartellone più ricco di Londra offre un buon numero di biglietti (e bei biglietti, parlo delle primissime file della platea) per ogni rappresentazioni di ognuno degli spettacoli in scena nelle tre sale del National Theatre. Per accedere a questi biglietti dovete avere meno di 25 anni e iscrivermi (gratuitamente) all'Entry Pass. Un consiglio: questi biglietti vengono venduti in fretta, prenotateli con largo anticipo! 
  • Globe Theatre. Ricostruito nel 1997 seguendo il progetto originale del diciassettesimo secolo, il Globe Theatre vi darà la possibilità di vedere uno spettacolo in una perfetta ricostruzione di un teatro elisabettiano. Per ogni rappresentazione ci sono 700 posti in piedi in platea per 5£, un'occasione davvero da non perdere. Shakespeare è notoriamente ostico per i non inglesi, ma le produzioni del Globe sono sempre molto coinvolgenti e anche se non capirete proprio tutto tutto, sarà un'esperienza indimenticabile. E, fear not, la platea non è quasi mai al  completo, non sarete mica pigiati come sardine! NB: se l'inglese proprio non è il vostro forte, consiglio sempre le commedie (in particolare Sogno di una notte di mezz'estate); dall'altra parte, se stare in piedi a lungo vi pesa, ricordate che Macbeth è la più breve delle opere shakespeariane. 
  • Matilda al Cambridge Theatre. Uno dei musical più amati e popolari degli ultimi anni, Matilda offre sedici biglietti a 5£ per i giovani tra i sedici e i venticinque anni. Questi biglietti sono disponibili per ogni performance e vengono messi in vendita direttamente al botteghino alle 10 AM (arrivate presto se li volete! E' il miglior prezzo che troverete per un musical del West End).
  • Barbican. Gli spettacoli della Royal Shakespeare Company al Barbican offrono venti biglietti a 5£ per i giovani tra i 16 e i 25 anni. Da acquistare di persona al botteghino.

Il Globe Theatre


A TEATRO CON 10£

Se aumentate di poco il vostro budget vi si apriranno altre possibilità, tra cui:
  • Royal Opera House. Il meraviglioso teatro dell'Opera di Covent Garden vende biglietti a 10£ per studenti. Per accedere a questa favolosa offerta vi basta la tessere della vostra università e iscriversi a rohstudents.
  • Menier Chocolate Factory. E' uno dei miei teatri preferiti, mette in scena straordinarie produzioni di musical e opere teatrali che poi hanno così successo da essere portate nel West End e a Broadway. Se avete meno di 21 anni potete provare a guardare sul sito, se siete fortunati troverete ancora qualcuno dei loro golden tickets!
  • Donmar Warehouse. Colonna portante del teatro londinese, la Donmar mette in vendita online ogni lunedì alle 9 (le 10 italiane) un numero limitato di biglietti a 10£. Le produzioni della Donmar sono sempre eccezionali, non lasciatevele scappare. Per maggiori informazioni cliccate qui.
  • Young Vic. Questo fantastico teatro vende un numero limitato di biglietti a 10£ per studenti e under 25. Da prenotare online e con largo anticipo. 

La Donmar Warehouse


DAY SEATS

I day seats sono una benedizione e se vivete a Londra sono i vostri migliori amici. Questo perché la grandissima parte dei teatri del West End vende ogni mattina all'apertura del botteghino un numero limitato di biglietti scontatissimi. Questi biglietti, di solito situati nella prima fila della platea o nei palchi, sono i day seats. Il prezzo varia a seconda del teatro, ma in genere vanno dalle 10 alle 15£, più raramente 18£. I box offices dei teatri aprono alle 10 o alle 10:30 e vi consiglio di arrivare e mettervi in fila almeno un'ora prima dell'apertura: il numero è limitato e tante persone vogliono vedere gli spettacoli con un prezzo così contenuto! Qui troverete una lista dei teatri che vendono day seats, non lasciateveli scappare!

PENSIONATI e DISOCCUPATI

Alcuni teatri offrono biglietti a metà prezzo per studenti, pensionati (o over 65) e disoccupati. Questi biglietti possono essere acquistati online o direttamente al botteghino. Tra i teatri che offrono queste riduzioni i migliori sono il Royal Court Theatre, il Young Vic, l'Almeida Theatre e la Royal Festival Hall.

STUDENTI

Oltre a tutte le altre riduzioni per studenti e under 25 già citate (National Theatre, Matilda, Barbican, ROH, Menier Chocolate, Almeida, Young Vic, Royal Court e Royal Festival Hall), altri teatri offrono concessioni interessanti per studenti. Tra di loro anche l'eccellente Southwark Playhouse.

Il fenomenale In the Heights al King's Cross Theatre vende biglietti a 15£ per tutti gli studenti, se passate per Londra durante l'estate NON potete lasciarvelo scappare. Un altro dei musical più amati è Wicked, in scena all'Apollo Victoria Theatre, e vende biglietti per studenti a 32£. Lo so  che sembra caro, ma per quella cifra vi vendono il posto migliore che hanno: se siete studenti, con 32£ vi potete compare un posto che vale letteralmente tre volte tanto.

Biglietti scontati per tutti gli spettacoli a Leicester Square


ALTRI CONSIGLI

  • Les Misérables, uno dei musical più amati e rappresentati di tutti i tempi, non vende day seats e non ha nessuno sconto per studenti o altro. Quando registra il tutto esaurito (lo saprete perché di fronte al teatro c'è un cartello con la scritta "FULL HOUSE" o "SOLD OUT"), potrete comprare al box office dei biglietti in piedi per 12,5£. Le zone in piedi sono sul fondo della prima e della seconda gallerie: non fatevi ingannare dalle apparenze, la vista dalla zona in piedi della seconda gallerie è la migliore! Vi consiglio di provare a vedere il venerdì e il sabato sera, in quei giorni è quasi sempre sold out.
  • TodayTix è una comodissima e utilissima app che vi vende biglietti leggermente scontati per tutti gli spettacoli del West End. Quest'app vi permette inoltre di partecipare a delle speciali lotterie che alcuni spettacoli (Kinky Boots, Hand to God, quelli della Kenneth Branagh Theatre Company) fanno tutti i pomeriggi e che vi permettono di vincere biglietti scontatissimi per gli spettacoli più acclamati della stagione. Se vi avvalete di certi codici, avrete anche 10£ di sconto sul prezzo finale. Eccone qualcuno: TEMGU, ETVVB, ZDWZC, GAAKA, EKJVB, PJXPH, AKSWT
  • A Leicester Square (praticamente dietro alla National Gallery, c'è una fermato di metro apposta e in mezzo alla piazza c'è una statua di Shakespeare) c'è The Official London Theatre Ticket Booth, dove potere compare i biglietti per il giorno stesso o fino a due giorni in anticipo di alcuni degli spettacoli più famosi  e longevi del West End, tra cui Mousetrap, The Woman in Black e Mamma Mia! Sconti fino al 40%!
  • Un'ultima raccomandazione. I teatri di Londra (al contrario della maggior parte di quelli di Broadway) sono degli edifici di una bellezza mozzafiato, incantevoli architetture costruite nel XVIII secolo con affreschi, lampadari di cristallo e decorazioni in oro e stucchi. Il rovescio della medaglia è che - anche se l'acustica è ottima- non offrono sempre una visuale perfetta. Alcuni teatri (in particolare il Garrick, Her Majestic's e Criterion) sono letteralmente disseminati di colonne e altri, per la curvatura e inclinazione delle gallerie, offrono una visuale ridotta. Per assicurarvi di non scegliere posti di cui potrete pentirvi vi raccomando di visitare seatplan.com: questo sito raccoglie migliaia di recensioni non sugli spettacoli, ma sulle poltrone e potrete quindi sapere se un posto è comodo, scomodo, ha abbastanza spazio per le gambe e com'è la visuale prima ancora di acquistarlo!

Spero che questa guida vi sia utile e se seguite alcuni di questi consigli vedrete spettacoli eccezionali con buoni posti e pagando pochissimo. Fatemi sapere le vostre idee, opinioni, domande e, mi raccomando, buon teatro a tutti!!

      venerdì 8 aprile 2016

      Les Blancs al National Theatre


      Lorraine Hansberry (1930-1965) è una delle più importanti figure del teatro americano del ventesimo secolo, nonostante la sua opera ammonti a solo due drammi. Ma tanto basta. La prima, A Raisin in the Sun, debuttò a Broadway nel 1959 ed ebbe il merito di portare in scena una famiglia di afroamericani dal punto di vista – per una buona volta – degli afroamericani, senza cadere negli stereotipi in cui Via col Vento era caduto venti anni prima. La seconda, Les Blancs, debuttò postuma e completata da Robert Nemiroff, ex-marito ed editore della Hansberry. A oltre quarantacinque anni dal debutto, il Royal National Theatre ha deciso di mettere in scena un nuovo allestimento dell’opera per introdurre il pubblico inglese al genio di Lorraine.

      Tshembe torna a casa, un imprecisato Paese dell’Africa ex colonia britannica, per assistere ai funerali del padre, ma tutto è cambiato: il fratello più giovane, Eric, è in crisi e il maggiore, Abioseh, è diventato un prete e probabilmente un sicofante dell’uomo bianco. Anche la missione e l’ospedale sono in crisi, dato che da qualche giorno non si hanno più notizie del Reverendo Neilsen, una sparizione che coincide con l’inizio di attacchi terroristici ai danni dei locali. In un Paese sull’orlo della guerra civile e in cui le popolazioni oriunde soffrono ancora del gioco dei conquistatori, Tshembe dovrà decidere se tornare in Europa dalla moglie (bianca) e dal figlio o restare e garantire alla propria gente un futuro migliore. 

      Les Blancs è un dramma di proporzioni epiche che solleva domande cruciali sul colonialismo e le sue conseguenze, sullo sfruttamento dell’Africa, sulla colpa dell’Europa, sull’indipendenza e sul razzismo. Qua e là il testo scricchiola e mi sembra inevitabile chiedersi come sarebbe stato se la Hansberry l’avesse portato a termine. Comunque, nonostante i suoi piccoli difetti, Les Blancs resta un’opera straordinariamente importante e il suo significato ha ancora una sua sinistra attualità. Questa produzione, diretta da Yaël Farber, fa un po’ troppo affidamento sul palco rotante della sala Olivier del National Theatre, uno stratagemma che a volte fa colpo e altre è solo ridondante; una delle scene finali, in particolar modo, sarebbe stata molto più potente se lo stesso trucco non fosse già stato usato svariate volte nel corso dello spettacolo. La scenografia, firmata da Soutra Gilmour, è essenziale ed efficacie, con la stilizzata missione al centro della scena e rocce e sabbia tutto intorno; non altrettanto buone le luci di Tim Lutkin, a tratti troppo artificiose.

      Siân Phillips e Danny Sapani

      Les Blancs, con i suoi echi shakespeariani e sofoclei, si avvale delle buone interpretazioni di Elliot Cowan (Morris, il giornalista americano venuto a scrivere un articolo sulla missione), James Fleet (il disilluso Dottor Dekoven), Clive Francis (il crudele maggiore Rice), Anna Madeley (Marta) e di un cast di oltre quindici elementi. Ottima la performance di Tunji Kasim nel ruolo di Eric, il combattutto figlio del reverendo Neilsen e di una donna africana, un ragazzo in lotta tra i richiami di due mondi e in cerca di un'identità. L'interpretazione migliore della serata, però, è quella di Dame Siân Phillips nel ruolo di Madame Neilsen, l'anziana e cieca moglie del reverendo. Dame Phillips riesce a portare in scena in modo esemplare il coraggio di questa donna che non si è mai lasciata piegare dalle difficoltà, una donna che conosce i difetti di chi le sta intorno, che ama l'Africa e che dà a Tshembe il consiglio definitivo: ora l'Africa ha bisogno di guerrieri. 

      Nei panni del protagonista Tshembe Matoseh troviamo Danny Sapani che, invece, delude. Il suo è un ruolo complesso e delicato, un esplosivo misto di Amleto, Edipo e Malcolm X, ma Sapani sceglie la via più facile e si limita a urlare le sue battutte e l'unica emozione che porta in scena è la rabbia. Una rabbia certamente giustificata, ma che è solo uno dei tanti aspetti del suo personaggio.

      Nonostante tutto, questa produzione di Les Blancs è molto buona e presenta delle immagini da mozzare il fiato: se solo avesserro corretto un po' di più il tiro il risultato finale sarebbe stato davvero perfetto.

      ½

      lunedì 4 aprile 2016

      Laurence Olivier Awards 2016


      Ieri sera sono stati consegnati i Laurence Olivier Award, il più alto riconoscimento del teatro inglese. Nella meravigliosa Royal Opera House, Michael Ball ha presentato la cerimonia, a cui hanno partecipato - oltre ai candidati - tante altre star, tra cui Vanessa Redgrave, Kit Harrington, Cindy Lauper, Kiri Te Kanawa, Alfred Enoch, Julia McKenzie, Lesley Manville, Amber Riley, Shirley Bassey, Rob Brydon, Stephen Campbell Moore, Jim Carter, Adam Cooper, Noma Dumezweni, Luke Evans, David Gandy, Emma Hatton, Lenny Henry, Eddie Izzard, Beverley Knight, James Norton, Savannah Stevenson e Luke Treadaway. Qua sotto trovate tutto l'elenco dei vincitori e, se volete, andate a sbirciarvi le mie recensioni!






      Miglior Revival
      Ma Rainey's Black Bottom al National Theatre, Lyttelton

      Miglior spettacolo per famiglie
      Showstopper! The Improvised Musical all'Apollo Theatre

      Migliori costumi
      Gregg Barnes per Kinky Boots all'Adelphi Theatre

      Miglior scenografia 

      Miglior Lighting Design
      Mark Henderson per Gypsy al Savoy Theatre

      Best Sound Design

      Migliore nuova produzione di un'opera
      Cavalleria Rusticana/Pagliacci alla Royal Opera House

      Miglior risultato nell'Opera
      English National Opera Chorus e Orchestra per La Forza del Destino, Lady Macbeth Of Mtsensk e The Queen Of Spades al London Coliseum

      Miglior attore non protagonista
      Mark Gatiss per Three Days In The Country al National Theatre, Lyttelton

      Miglior attrice non protagonista

      Judi Dench, miglior attrice non protagonista per Il Racconto d'Inverno


      Migliore nuova opera teatrale

      Miglior attore

      Miglior attrice

      Miglior commedia
      Nell Gwynn all'Apollo Theatre

      Miglior balletto
      Woolf Works di Wayne McGregor alla Royal Opera House

      Miglior risultato nella danza
      Alessandra Ferri per Chéri e Woolf Works alla Royal Opera House

      Migliore colonna sonora

      Miglior coreografo

      Miglior regia
      Robert Icke per l'Orestea all'Almeida Theatre

      Imelda Staunton e Lara Pulver, premiate per il musical Gypsy


      Miglior attore non protagonista in un musical 

      Miglior attrice non protagonista in un musical
      Lara Pulver per Gypsy al Savoy Theatre

      Miglior regia
      Gypsy al Savoy Theatre

      Miglior attore in un musical 
      Matt Henry per Kinky Boots all'Adelphi Theatre

      Miglior attrice in un musical
      Imelda Staunton per Gypsy al Savoy Theatre

      Miglior Musical
      Kinky Boots all'Adelphi Theatre

      Kinky Boots, il miglior nuovo musical

      giovedì 31 marzo 2016

      People, Places and Things al Wyndham's Theatre


      Dopo il grande successo al National Theatre, l'ultima opera di Duncan Macmillan approda nel West End per una stagione strettamente limitata al Wyndham's Theatre. Il dramma racconta di Emma, un'attrice alcolizzata e drogata che decide di dare una svolta alla propria vita e di entrare in un centro di disintossicazione. La strada è lunga e faticosa, il processo è doloroso ed Emma è troppo cinica per applicarvici con la sincerità e la dedizione che serve. Dopo un primo fallimentare tentativo, Emma torna al centro, partecipa costruttivamente agli incontri, aiuta gli altri ad inscenare quello che vorranno fare una volta riabilitati e, infine, riceve il permesso di lasciare il programma, perfettamente guarita. Tornata in società, Emma scopre che lo spirito di serenità e ottimismo che sentiva nel centro è difficile da mantenere nel mondo reale... 

      C'è poco da dire, People, Places and Things è un dramma straordinario, un'opera coinvolgetene, emozionante, a tratti esilarante e a tratti commovente. La difficoltà di Emma è portata in scena in modo molto umano e anche il finale, un po' cinico, non guasta niente, ma allontana il rischio di un finale scontato e disneyano. Una delle cose più efficaci sono i parallelismi che il dramma crea tra il processo teatrale e la terapia di gruppo: seduti in cerchio, gli attori e i tossici condividono le proprie esperienze e fanno progetti su come interpretare i loro personaggi o le migliori versioni di loro stessi una volta riabilitati.

      Non solo il testo è potente, ma la regia (di Jeremy Herrin) e tutto l'aspetto creativo e tecnico è curato con una perfezione tale da lasciare sbalorditi. Ad esempio, la scena della prima notte al centro con Emma che subisce i sintomi dell'astinenza è stata davvero agghiacciante, con copie identiche a lei che sgusciavano fuori dalle pareti, da sotto le lenzuola, dal soffitto: una vera e propria allucinazione, un incubo vissuto allo stesso modo da Emma e dal pubblico.


      Denise Gough è una fenomenale Emma, non credo di aver mai visto un'interpretazione tanto dettagliata, potente, sottile e articolata. Il modo in cui passa dall'orgoglio all'umiliazione, dal desiderio di riuscire alla certezza del fallimento, dall'ebrezza alla depressione, tutto cementifica una performance estenuante: Denise resta in scena per oltre due ore e mezza, sempre in movimento, mettendo la propria anima a nudo ogni istante di più. Come riesca a farlo otto volte a settimana è un mistero, la sua Emma è un vero tour de force. 

      Tutto il resto del cast è altrettanto valido, in particolare Nathaniel Martello-White nel ruolo del tossico riabilitato che torna nel centro per aiutare gli altri. Ruba la scena nel duplice ruolo della terapista e della madre di Emma Barbara Marten: la sua presenza materna e rassicurante è un'ancora tanto per Emma quanto per il pubblico.

      People, Places and Things è un capolavoro, un'opera sensazionale che racconta con umanità e ironia il viaggio di una persona che vuole salvare se stessa, un viaggio doloroso che non si può compiere senza sacrificio.

      ½

      martedì 29 marzo 2016

      In The Heights al King's Cross Theatre


      Mentre il suo ultimo musical Hamilton spopola a Broadway, Lin-Manuel Miranda fa faville anche a Londra con In The Heights. Debuttato nell'Off Broadway per poi diventare un successo finalista da Pulitzer anche a Broadway, In The Heights non avrebbe potuto trovare trovare miglior location del King's Cross Theatre: in questo vecchio binario abbandonato, il musical risplende in tutta la sua energica bellezza.

      Washington Heights, lo storico quartiere degli immigrati latino-americani, si sta gentrificando al punto tale che alcuni dei suoi abitanti sono costretti ad abbandonare il quartiere. In questa culla di anime caraibiche, Nina torna a casa dopo una fallimentare esperienza universitaria, il padre Rosario pensa di vendere l'attività per comprare alla figlia il futuro che merita, il suo impiegato Benny vorrebbe uscire con Nina, ma Rosario glielo impedisce perché vuole qualcosa di più per la ragazza. Abuela Claudia, arrivata negli USA dopo la rivoluzione cubana, vince una cifra stratosferica alla lotteria, la parrucchiera Daniela è costretta a chiudere la propria attività per aprirla dove gli affitti sono più ragionevoli, il gran caldo provoca un enorme black out. E, su tutti, vigila Usnavi, figlio di immigrati dominicani e proprietario della bodega in cui tutti i personaggi spendono almeno un momento della propria giornata. Sarà proprio Usnavi, giovane ambizioso, a dover affrontare la scelta più difficile.

      In the Heights è un ottimo musical che mescola rap e hip-hop con ritmi dal sapore caraibico, condendo il tutto con graffianti versi in inglese e spagnolo. La musica e i versi di Lin-Manuel Miranda si sposano perfettamente con il bel libretto di Quiara Alegría Hudes e il risultato finale è un godibilissimo musical che affronta come pochi altri il sempre attuale tema dell'immigrazione. La produzione, diretta da Luke Sheppard, è messa in scena tra due ali parallele di spettatori e questa soluzione trasforma il palco in un corridoio di energia, delimitato dalla bodega di Usnavi e dall'attività di Rosario. Il corridoio viene sfruttato al meglio dal coreografo Drew McOnie, che utilizza lo spazio per incanalare l'energia del cast in modo esplosivo.

      La bodega di Usnavi (Sam Mackay)

      Il cast, purtroppo, non è sempre all'altezza dell'aspetto tecnico-creativo nel musical. Nel ruolo del protagonista/narratore Usnavi, Sam Mackay è simpatico e divertente, ma il suo rap non è sempre all'altezza delle aspettative e forse è semplicemente troppo vecchio per il ruolo. Lo stesso vale per Joe Aaron Reid, un Billy dalla voce da brivido ma che ha passato la ventina da un bel pezzo. Antoine Murray-Straughan Cleve September sono ottimi ballerini e David Badella è forse l'uomo migliore in scena. La sua performance nel ruolo di Kevin Rosario è emozionante e Badella riesce a creare un personaggio sempre in bilico tra l'orgoglio e la frustrazione, un padre di famiglia combattuto e un immigrato che rischia di cadere nel pregiudizio nei confronti di altri immigrati.


      Il cast femminile è nettamente superiore e si avvale delle ottime interpretazioni di Eve Polycarpou nel ruolo dell'Abuela Claudia e di Josie Benson in quello di Camila Rosario. Lily Frazer ruba la scena nel ruolo di Nina: la recitazione è ottima, la voce è da urlo. Sei anni fa l'ho vista in Les Misérables, era la sostituta di Eponine, e sono davvero felice di vederla riconfermare tutto il suo talento nel ruolo da protagonista che merita.

      In The Heights mostra uno spaccato di vita degli immigrati di prima e seconda generazione negli Stati Uniti, ma la riflessione che porta in scena è universale: qualcuno dovrebbe metterlo in scena in Italia e farlo vedere a chi dico io, perché non esiste prova migliore di come questo fenomeno possa arricchire due culture, invece di separarle come spesso succede. 

      The Father al Duke of York's Theatre


      Quest'anno Londra parla francese. O, almeno, lo farebbe se non ci fosse il grande traduttore Christopher Hampton ad impedirlo. Comunque, sta di fatto che il giovane romanziere e drammaturgo francese Florian Zeller è il fenomeno teatrale dell'anno e ora Londra ospita non una, ma tre produzioni dei suoi drammi: The Father (Duke of York's Theatre), The Mother (Tricylce Theatre) e The Truth (Menier Chocolate Factory). 

      The Father racconta di Andre, un ex ballerino di tip tap (o ingegnere?) in pensione che vive nella sua bella casa parigina. Giorno per giorno, però, Andre vede il mondo intorno a sé farsi confuso e sfilacciato: l'Alzheimer si sta portando via la sua vita pezzo per pezzo. La grande astuzia dell'opera è quella di mettere lo spettatore sullo stesso piano di Andre: il pubblico, così come il protagonista, non sa cosa sta succedendo. Nella prima scene, Andre parla con la figlia dei progetti della donna, quella di trasferirsi a Londra con il fidanzato. Nella scena successiva la figlia, interpretata da un'altra attrice, è felicemente sposata con un uomo da oltre dieci anni. In quella dopo è divorziata e non c'è nessun uomo nella sua vita. Quello che dapprima sembra un rompicapo hitchcockiano si svela essere l'incubo quotidiano di un uomo il cui cervello lo sta tradendo, un uomo che non riesce a connettersi con quelli che gli stanno intorno o con il suo stesso passato. E, di scena in scena, mentre la stanza si svuota e i volti degli stessi personaggi cambiano, la confusione nella vita di Andre si spinge oltre il punto di non ritorno.



      Nessun film né romanzo è mai riuscito a mostrarmi quanto The Father la vita di una persona affetta da Alzheimer. Mentre negli altri media ci si concentra sul malato (come nel film Still Alice, che ruotava tutto intorno alla splendida interpretazione di Julianne Moore), The Father ci mostra il mondo intorno al malato, facendo vivere al pubblico le stesse sensazioni del protagonista: il costante stupore, l'angoscia della sorprese di essere circondato da persone che professano di amarti, ma che tu non riconosci. Questo è il grande lavoro di Zeller, far vivere al pubblico un'esperienza unica ed estremamente realistica, un'esperienza che tante installazioni interattive a pretenziose non riescono a raggiungere. E' davvero un piccolo miracolo teatrale e un trionfo di regia, magnifica, curata da James Macdonald.

      Davvero notevoli anche gli effetti sonori, la colonna sonora che si fa via via meno regolare e stonata una scena dopo l'altra, fino a diventare completamente sconnessa come il protagonista, il bravo Kenneth Cranham. Il finale inevitabile è straziante e potente, così come tutto in questo dramma. Ho lasciato il teatro con la certezza che avrei visto presto qualcos'altro firmato da Zeller e, francamente, non vedo l'ora.