giovedì 31 marzo 2016

People, Places and Things al Wyndham's Theatre


Dopo il grande successo al National Theatre, l'ultima opera di Duncan Macmillan approda nel West End per una stagione strettamente limitata al Wyndham's Theatre. Il dramma racconta di Emma, un'attrice alcolizzata e drogata che decide di dare una svolta alla propria vita e di entrare in un centro di disintossicazione. La strada è lunga e faticosa, il processo è doloroso ed Emma è troppo cinica per applicarvici con la sincerità e la dedizione che serve. Dopo un primo fallimentare tentativo, Emma torna al centro, partecipa costruttivamente agli incontri, aiuta gli altri ad inscenare quello che vorranno fare una volta riabilitati e, infine, riceve il permesso di lasciare il programma, perfettamente guarita. Tornata in società, Emma scopre che lo spirito di serenità e ottimismo che sentiva nel centro è difficile da mantenere nel mondo reale... 

C'è poco da dire, People, Places and Things è un dramma straordinario, un'opera coinvolgetene, emozionante, a tratti esilarante e a tratti commovente. La difficoltà di Emma è portata in scena in modo molto umano e anche il finale, un po' cinico, non guasta niente, ma allontana il rischio di un finale scontato e disneyano. Una delle cose più efficaci sono i parallelismi che il dramma crea tra il processo teatrale e la terapia di gruppo: seduti in cerchio, gli attori e i tossici condividono le proprie esperienze e fanno progetti su come interpretare i loro personaggi o le migliori versioni di loro stessi una volta riabilitati.

Non solo il testo è potente, ma la regia (di Jeremy Herrin) e tutto l'aspetto creativo e tecnico è curato con una perfezione tale da lasciare sbalorditi. Ad esempio, la scena della prima notte al centro con Emma che subisce i sintomi dell'astinenza è stata davvero agghiacciante, con copie identiche a lei che sgusciavano fuori dalle pareti, da sotto le lenzuola, dal soffitto: una vera e propria allucinazione, un incubo vissuto allo stesso modo da Emma e dal pubblico.


Denise Gough è una fenomenale Emma, non credo di aver mai visto un'interpretazione tanto dettagliata, potente, sottile e articolata. Il modo in cui passa dall'orgoglio all'umiliazione, dal desiderio di riuscire alla certezza del fallimento, dall'ebrezza alla depressione, tutto cementifica una performance estenuante: Denise resta in scena per oltre due ore e mezza, sempre in movimento, mettendo la propria anima a nudo ogni istante di più. Come riesca a farlo otto volte a settimana è un mistero, la sua Emma è un vero tour de force. 

Tutto il resto del cast è altrettanto valido, in particolare Nathaniel Martello-White nel ruolo del tossico riabilitato che torna nel centro per aiutare gli altri. Ruba la scena nel duplice ruolo della terapista e della madre di Emma Barbara Marten: la sua presenza materna e rassicurante è un'ancora tanto per Emma quanto per il pubblico.

People, Places and Things è un capolavoro, un'opera sensazionale che racconta con umanità e ironia il viaggio di una persona che vuole salvare se stessa, un viaggio doloroso che non si può compiere senza sacrificio.

½

martedì 29 marzo 2016

In The Heights al King's Cross Theatre


Mentre il suo ultimo musical Hamilton spopola a Broadway, Lin-Manuel Miranda fa faville anche a Londra con In The Heights. Debuttato nell'Off Broadway per poi diventare un successo finalista da Pulitzer anche a Broadway, In The Heights non avrebbe potuto trovare trovare miglior location del King's Cross Theatre: in questo vecchio binario abbandonato, il musical risplende in tutta la sua energica bellezza.

Washington Heights, lo storico quartiere degli immigrati latino-americani, si sta gentrificando al punto tale che alcuni dei suoi abitanti sono costretti ad abbandonare il quartiere. In questa culla di anime caraibiche, Nina torna a casa dopo una fallimentare esperienza universitaria, il padre Rosario pensa di vendere l'attività per comprare alla figlia il futuro che merita, il suo impiegato Benny vorrebbe uscire con Nina, ma Rosario glielo impedisce perché vuole qualcosa di più per la ragazza. Abuela Claudia, arrivata negli USA dopo la rivoluzione cubana, vince una cifra stratosferica alla lotteria, la parrucchiera Daniela è costretta a chiudere la propria attività per aprirla dove gli affitti sono più ragionevoli, il gran caldo provoca un enorme black out. E, su tutti, vigila Usnavi, figlio di immigrati dominicani e proprietario della bodega in cui tutti i personaggi spendono almeno un momento della propria giornata. Sarà proprio Usnavi, giovane ambizioso, a dover affrontare la scelta più difficile.

In the Heights è un ottimo musical che mescola rap e hip-hop con ritmi dal sapore caraibico, condendo il tutto con graffianti versi in inglese e spagnolo. La musica e i versi di Lin-Manuel Miranda si sposano perfettamente con il bel libretto di Quiara Alegría Hudes e il risultato finale è un godibilissimo musical che affronta come pochi altri il sempre attuale tema dell'immigrazione. La produzione, diretta da Luke Sheppard, è messa in scena tra due ali parallele di spettatori e questa soluzione trasforma il palco in un corridoio di energia, delimitato dalla bodega di Usnavi e dall'attività di Rosario. Il corridoio viene sfruttato al meglio dal coreografo Drew McOnie, che utilizza lo spazio per incanalare l'energia del cast in modo esplosivo.

La bodega di Usnavi (Sam Mackay)

Il cast, purtroppo, non è sempre all'altezza dell'aspetto tecnico-creativo nel musical. Nel ruolo del protagonista/narratore Usnavi, Sam Mackay è simpatico e divertente, ma il suo rap non è sempre all'altezza delle aspettative e forse è semplicemente troppo vecchio per il ruolo. Lo stesso vale per Joe Aaron Reid, un Billy dalla voce da brivido ma che ha passato la ventina da un bel pezzo. Antoine Murray-Straughan Cleve September sono ottimi ballerini e David Badella è forse l'uomo migliore in scena. La sua performance nel ruolo di Kevin Rosario è emozionante e Badella riesce a creare un personaggio sempre in bilico tra l'orgoglio e la frustrazione, un padre di famiglia combattuto e un immigrato che rischia di cadere nel pregiudizio nei confronti di altri immigrati.


Il cast femminile è nettamente superiore e si avvale delle ottime interpretazioni di Eve Polycarpou nel ruolo dell'Abuela Claudia e di Josie Benson in quello di Camila Rosario. Lily Frazer ruba la scena nel ruolo di Nina: la recitazione è ottima, la voce è da urlo. Sei anni fa l'ho vista in Les Misérables, era la sostituta di Eponine, e sono davvero felice di vederla riconfermare tutto il suo talento nel ruolo da protagonista che merita.

In The Heights mostra uno spaccato di vita degli immigrati di prima e seconda generazione negli Stati Uniti, ma la riflessione che porta in scena è universale: qualcuno dovrebbe metterlo in scena in Italia e farlo vedere a chi dico io, perché non esiste prova migliore di come questo fenomeno possa arricchire due culture, invece di separarle come spesso succede. 

The Father al Duke of York's Theatre


Quest'anno Londra parla francese. O, almeno, lo farebbe se non ci fosse il grande traduttore Christopher Hampton ad impedirlo. Comunque, sta di fatto che il giovane romanziere e drammaturgo francese Florian Zeller è il fenomeno teatrale dell'anno e ora Londra ospita non una, ma tre produzioni dei suoi drammi: The Father (Duke of York's Theatre), The Mother (Tricylce Theatre) e The Truth (Menier Chocolate Factory). 

The Father racconta di Andre, un ex ballerino di tip tap (o ingegnere?) in pensione che vive nella sua bella casa parigina. Giorno per giorno, però, Andre vede il mondo intorno a sé farsi confuso e sfilacciato: l'Alzheimer si sta portando via la sua vita pezzo per pezzo. La grande astuzia dell'opera è quella di mettere lo spettatore sullo stesso piano di Andre: il pubblico, così come il protagonista, non sa cosa sta succedendo. Nella prima scene, Andre parla con la figlia dei progetti della donna, quella di trasferirsi a Londra con il fidanzato. Nella scena successiva la figlia, interpretata da un'altra attrice, è felicemente sposata con un uomo da oltre dieci anni. In quella dopo è divorziata e non c'è nessun uomo nella sua vita. Quello che dapprima sembra un rompicapo hitchcockiano si svela essere l'incubo quotidiano di un uomo il cui cervello lo sta tradendo, un uomo che non riesce a connettersi con quelli che gli stanno intorno o con il suo stesso passato. E, di scena in scena, mentre la stanza si svuota e i volti degli stessi personaggi cambiano, la confusione nella vita di Andre si spinge oltre il punto di non ritorno.



Nessun film né romanzo è mai riuscito a mostrarmi quanto The Father la vita di una persona affetta da Alzheimer. Mentre negli altri media ci si concentra sul malato (come nel film Still Alice, che ruotava tutto intorno alla splendida interpretazione di Julianne Moore), The Father ci mostra il mondo intorno al malato, facendo vivere al pubblico le stesse sensazioni del protagonista: il costante stupore, l'angoscia della sorprese di essere circondato da persone che professano di amarti, ma che tu non riconosci. Questo è il grande lavoro di Zeller, far vivere al pubblico un'esperienza unica ed estremamente realistica, un'esperienza che tante installazioni interattive a pretenziose non riescono a raggiungere. E' davvero un piccolo miracolo teatrale e un trionfo di regia, magnifica, curata da James Macdonald.

Davvero notevoli anche gli effetti sonori, la colonna sonora che si fa via via meno regolare e stonata una scena dopo l'altra, fino a diventare completamente sconnessa come il protagonista, il bravo Kenneth Cranham. Il finale inevitabile è straziante e potente, così come tutto in questo dramma. Ho lasciato il teatro con la certezza che avrei visto presto qualcos'altro firmato da Zeller e, francamente, non vedo l'ora.

mercoledì 2 marzo 2016

Table Top Shakespeare: Riccardo II al Barbican Centre


La Forced Entertainment porta in scena al Barbican Centre l'opera completa di William Shakespeare per celebrare il quattrocentesimo anniversario della morte del più grande drammaturgo di sempre. "Che c'è di nuovo?" direte voi, "non è mai stato fatto prima?". In effetti sì, si fanno maratone di Shakespeare nello stesso modo in cui i nerd fanno maratone di Star Wars. Il punto è che la Forced Entertainment lo fa in modo un po' particolare: invece di attori e attrici, comuni oggetti di ogni giorno vengono usati per rappresentare i personaggi su un semplice tavolo di legno.

Così, nelle sapienti mani di Terry O'Connor, una bottiglia d'acqua diventa re Riccardo, un tozzo portacandele diventa John of Gaunt, una bottiglietta di salsa diventa Aumerle e così via. E, grazie alla profonda voce dell'attrice, la storia rivive - riadattata e riassunta - davanti alla piccola platea, con il fascino e il ritmo ipnotico di una favola misteriosa.

Quello di Table Top è un gradevole esperimento che utilizza un curioso stratagemma per raccontare le storie narrate da Shakespeare: certo, ci si stanca presta del trucco, ma il lavoro della Forced Entertainment dimostra ancora una volta la straordinaria duttilità del testo shakespeariano.

Un pezzo del Macbeth della Forced Entertainment

martedì 1 marzo 2016

The Maids ai Trafalgar Studios


Dopo quasi vent'anni di assenza, il famoso thriller teatrale di Jean Genet torna sulle scene londinesi. Protagoniste d'eccezione sono due star televisive di nuova generazione: la prima, inglesissima, è Laura Carmichael, Lady Edith di Downton Abbey; la seconda, americana, è Uzo Aduba, vincintrice di due Emmy per la sua eccellente interpretazione di Suzanne in Orange is the New Black.

Ispirato ad eventi realmente accaduti, The Maids racconta delle sorelle Solange e Claire al servizio di una ricca e affascinante signora. Il loro rapporto con la padrona è controverso e ambivalente: la amano e la disprezzano, la temono e l'adorano, ne sono gelose e la vorrebbero morta. Perché, per quanto la amino, comprendono che non si realizzeranno mai in nessun modo se non come serve, figure intercambiabili e solo vagamente presenti nel campo visivo della loro datrice di lavoro. All'inizio del dramma, le due serve scoprono che il fidanzato della padrona - che loro avevano fatto arrestare ingiustamente - viene scarcerato per mancanza di prove. La notizia getta nel panico Claire e Solange, consapevoli che il loro inganno verrà scoperto. Decidono quindi di uccidere la padrona per cominciare una nuova vita, ma accorgendosi di non essere in grado di eliminare una creatura che per loro è quasi divina, indirizzano la propria sete di vendetta l'una contro l'altra. 

The Maids è un testo complesso ed hegeliano sul rapporto servo-padrone, in cui Claire e Solange sono l'altra faccia della medaglia rappresentata dalla padrona. I loro sforzi per essere riconosciute come individui dotati di una propria unicità sono frustrati dalla loro stessa adorazione per la padrona: quando la donna è assente, le sorelle ne indossano gli abiti e mettono in scena una visione distorta della loro realtà, in cui una interpreta la padrona e l'altra interpreta l'adorante sorella. E' un dramma molto denso, forse troppo per il suo stesso bene. Arricchito con il vizio francese della filosofia, The Maids presenta scene agghiaccianti, ma anche altre verbose e ripetitive, in un continuo cambio di toni tra momenti spasmodici e altri semplicemente noiosi.  


A rendere al meglio questo capolavoro imperfetto ci pensano le tre protagoniste, impeccabilmente interpretate dalle rispettive attrici. Uzo Adubo è una straordinaria Solange e il suo monologo finale, in cui fa esplodere i sentimenti repressi in anni di umiliante servizio, è semplicemente mozzafiato: come riesce a farlo otto volte a settimana è un mistero. Certo, in alcuni momenti la sua performance sembra riprendere tratti e movenze della sua Suzanne di Orange is the New Black, ma dato che i due personaggi sono simili sotto alcuni aspetti non c'è niente di male: se sai fare qualcosa bene, perché non farlo? Laura Carmichael interpreta una padrone che sicuramente non è cattiva, ma totalmente indifferente alle sue serve: a volte le vizia, ma più spesso se ne dimentica. La sua breve apparizione sulla scena dà il vero avvio al dramma e la Carmichael lo fa con l'autorevolezza imparata a Downton. Zawe Ashton rischierebbe di scomparire nel confronto con le talentuose star televisive, ma invece ruba la scena nel delineare una Claire che, come la padrona, è capace di momenti di volubilità ma anche di altri di grande lucidità.

Un po' come il testo, la regia di Jamie Lloyd oscilla tra l'acuto ed il pacchiano: certe scene sono dirette alla perfezione, in altre ricorre a luci forti e musica assordante per ribadire cose che il testo afferma già con una certa ridondanza. Molto bella la scenografia, la gabbia dorata/ring in cui si consuma la lotta per l'affermazione.

The Maids è un flawed masterpiece che tocca apici di tensione mozzafiato e di ripetitività, ma la grande prova di recitazione delle tre attrici tiene il pubblico incollato alla poltrona anche quando il testo lo farebbe scappare via.

½