Notre Dame de Paris al London Coliseum
Io adoro
Notre Dame de Paris. Se scrivo, studio e parlo di teatro è colpa sua. Quando avevo sette anni la RAI trasmise in diretta la replica dall'Arena di Verona e per me fu amore a prima vista. Guardavo sempre la registrazione fatta su VHS (ve li ricordate i VHS?), lo disegnavo, per qualche anno fu l'unico CD che ascoltavo. E' grazie a
Notre Dame che cominciai a guardare prima altri musical e poi opere teatrali, scoprendo quella che sarebbe diventata una delle mie più grandi passioni. I miei mi avevano portato a vederlo dal vivo del 2004, al PalaSharp di Milano e l'ho poi rivisto nel 2017, per l'ultima volta all'Arena di Verona con il cast originale. Immaginatevi quindi la mia gioia quando hanno annunciato che il tour francese si sarebbe fermato per una manciata di tappe proprio a Londra! Gioia e ansia in realtà, perché il mondo anglosassone ha sempre avuto qualche difficoltà con
il musical l'opera popolare di
Riccardo Cocciante e
Luc Pamondon.
Notre Dame debuttò a Londra nel 2001, nel gigantesco Dominion Theatre, dove rimase in scena per diciassette mesi e ottenne alcune delle peggiori recensioni mai scritte. Furono criticate le musiche e i cori non dal vivo (l'assenza di un'orchestra in un musical a Londra è un vero sacrilegio e non a torto, considerando i prezzi), il libretto poco dinamico, la recitazione sopra le righe e, in generale, un'eccessiva melodrammaticità.
Del resto, Notre Dame è davvero un po' un pesce fuor d'acqua nel panorama musicale anglosassone. Cocciante ha sempre rifiutato l'etichetta di "musical", affermando orgogliosamente che la sua creatura è un'opera popolare. E' una defininizione che lascia un po' insoddisfatti, ma vederlo finalmente in scena nel cuore del West End mi ha fatto davvero capire che non è un musical. O forse lo è, ma il linguaggio è decisamente diverso. E' indubbiamente melodrammatico e operistico in scala: tutto è amplificato, i gesti, le voci, le emozioni, il trucco. Non sarebbe certo il primo musical ad essere un po' melodrammatico - sicuramente ricorderemmo Les Misérables e The Phantom of the Opera - ma a differenza dei suoi fratelli maggiori inglesi, Notre Dame rigetta ogni forma di realismo. Mentre tutte le altre produzioni nascondono i microfoni sotto le parrucche, il cast di Notre Dame li sfoggia fieramente accanto alla bocca. E mentre gli altri cantanti di Broadway e di Londra si vantano di essere raffinati attori che hanno frequentato la Juilliard School o la Royal Academy of Dramatic Art, il cast di Notre Dame dà libero sfogo a una gamma di espressioni grottesche e movimenti esagerati. Per il pubblico londinese è difficile accettare un Frollo che entra ed esce di scena turbinando il mantello nero come un cattivo della Disney.
Angelo Del Vecchio (Quasimodo) e Hiba Tawaji (Esmeralda)
E se da una parte hanno sicuramente ragione - Notre Dame è davvero tanto, a volte anche troppo - in Italia lo amiamo. E anche in Francia. E, recentemente, anche in Corea. Non c'è che dire, tradotto in nove lingue, andato in scena in 23 nazioni e visto da oltre tredici milioni di spettatori, Notre Dame è sicuramente lo show dei record. Un ruolo non marginale in questo successo è quello della meravigliosa storia di Victor Hugo, lo struggente amore del deforme campanaro Quasimodo per la bella gitana Esmeralda, di cui si innamorano anche l'arcidiacono Frollo, il poeta di strada Gringoire ed il capitano degli arcieri Phoebus. Sarà proprio quest'ultimo ad essere scelto da Esmeralda, originando una spirale tragica che porterà alla morte di quasi tutti i personaggi. Ma è innegabile che il vero trionfo dello spettacolo è l'eccellente colonna sonora di Riccardo Cocciante, che ha scritto una canzone più bella dell'altra sfornando perle come "Il tempo delle cattedrali", "Bella" e "Vivere per amare". Ora per la prima volta, parte della colonna sonora è stata eseguita dal vivo al London Coliseum da una sezione di venti archi diretti da Matthew Brind. Indubbiamente la differenza di sente e l'overture non è mai stata così bella.
Per noi italiani così abituati alla produzione che va in tournée nelle nostre città da ormai vent'anni è anche interessante notare le differenze nella messa in scena: alcuni costumi sono più elaborati, il trucco meno marcato, alcuni numeri più acrobatici e Fiordaliso veste un più lusinghiero abito rosa. Anche ascoltare lo show nella sua lingua originale ha un suo perché: i versi di Luc Plamondon sono più vicini al romanzo di Hugo e caratterizzano i personaggi i maniera leggermente diversa da quelli nella traduzione di Pasquale Pannella: Phoebus, per esempio, è più sgradevole in francese, anche se il suo assolo "Cuore in me", in francese "Déchiré", gioca su un'interessante assonanza tra questo senso di lacerazione (déchiré, appunto) e il desiderio (désir). I versi italiani hanno però il merito di sviluppare meglio alcuni punti, mentre il francese tende a ripetere certi versi ancora e ancora.
Daniel Lavoie è Frollo
L'italiano Angelo Del Vecchio è un ottimo Quasimodo e può vantare il primato di essere l'unico attore ad aver cantato il ruolo in tre lingue differenti. Alternando il timbro gutturale da campanaro deforme a note più pulite, il Quasimodo di Del Vecchio sembra incarnara Notre Dame, con i suoi gargoyles e le guglie che si slanciano verso il cielo. Stupende e struggenti le sue "Dieu que le monde est injuste" e "Dans Mon Esmeralda". Nel ruolo della bella gitana, Hiba Tawaji regala una performance intensa e sensuale, perfetta dal momento in cui entra con un passo da cerbiatta in scena per cantare "Bohémienne" a quello in cui fa commuovere con "Vivre". Daniel Lavoie interpreta Frollo dalla produzione originale del 1998 e anche se la voce decisamente non è più quella di un tempo la sua interpretazione è ancora incisivia e tormentata. Nonostante le dozzine di film, serie tv e cartoni animati in cui il romanzo è stato riadattato, credo che il musical presenti la versione di Frollo più vicina a quella descritta da Hugo, un uomo profondamente sofferente, lacerato dal desiderio e dalla differenza tra gli ideali medievali e quelli rinascimentali che si profilano all'orizzonte. Una condizione che Lavoie cattura in pieno, con tanto di mantello da pipistrello sempre svolazzante.
Richard Charest è Gringoire
A completare il cast ci pensano i personaggi satelliti Gringoire, Febo, Fiordaliso e Clopin. Il primo vanta il fascino e la voce stupenda - la migliore del cast - di Richard Charest, mentre il capitano è interpretato con arroganza e note non sempre perfette da Martin Giroux. Alyzée Lalande è una bellissima e ottima Fiordaliso, dalla bellezza un po' infantile e dalla voce cristallina, mentre Jay è un Clopin possente e carismatico, che guida i sans-papiers nella loro lotta per l'asilo. Eccellenti anche i ballerini e gli accrobati che tengono tutto il pubblico con il fiato sospeso per i loro numeri da brivido sulle campane e sulla facciata di Notre Dame. Il palco del Coliseum è profondissimo, una caratteristica che ha un po' penalizzato numeri come "La festa dei folli" e "Libertà": in un palco tanto grande il corpo di ballo, per quanto ottimo, sembrava quasi perdersi.
Se i temi del musical e del romanzo di Hugo sono universali, il panorama politico degli ultimi anni ha dato un maggior peso al sub-plot dei clandestini in cerca d'asilo ed è difficile restare indifferenti a canzoni come "Les sans-papiers", "Condamnés" e "Déporés": canzoni che potevano sembrare quasi decorative e riempitive ora sono il cuore pulsante dell'opera popolare, mostrando la crudeltà di una società che oggi come allora ignora i valori che l'imponente cattedrale e l'educazione umanistica rappresentano – o dovrebbero rappresentare. E sì, sicuramente Notre Dame non sarà mai il beniamino del pubblico inglese, è troppo melodrammatico, è troppo europeo, è troppo troppo. Ma da italiano per me Notre Dame de Paris rimarrà sempre un commovente capolavoro, anche con i suoi difetti.
In breve. Un ottimo cast porta il musical in lingua originale nel cuore di Londra, un'esperienza bella e rara impreziosita dall'orchestra dal vivo.
★★★★½