giovedì 18 novembre 2021

Macbeth alla Royal Opera House


Nel 1847 Giuseppe Verdi scrisse al suocero per presentare il capolavoro a lui dedicato, descrivendolo come "Macbeth che io amo a preferenza delle altre mie opere". Il modesto successo dell'opera fu motivo di cruccio per il maestro, che rimise mano alla partitura nel 1865 per una nuova versione, anch'essa accolta tiepidamente dal pubblico, questa volta a Parigi. Sarebbe felice però di sapere che negli ultimi settant'anni l'opera è stata decisamente rivalutata ed è ora parte del repertorio dei maggiori teatri del mondo: la Scala inaugurerà la sua stagione tra un paio di settimane proprio con Macbeth, come aveva già fatto nel 1975 con un superbo allestimento con una straordinaria Shirley Varrett e Piero Cappuccilli. Alla Royal Opera House la produzione firmata da Phyllida Lloyd viene messa in scena saltuariamente dal suo debutto nel 2002 e torna ora a Covent Garden per la prima volta dal 2018.  

Il connubio della regia della Lloyd e della scenografia di Anthony Ward regalano un Macbeth stilizzato e claustrofobico, tutto rinchiuso tra mura che rievocano una prigione, un manicomio e il senso di ineluttabilità che attanaglia i protagonisti. In particolare è la corona che i due bramano a rivelarsi il rischio peggiore, una vera e propria gabbia dorata in cui entrano consapevolmente nel momento dell'incoronazione. È una messa in scena semplice e austera che coglie nel pieno lo spirito dell'opera, soprattutto nella sua lettura verdiana. Tuttavia – e giustamente – la grande protagonista della serata è stata la musica, la ricca e inquietante partitura di Verdi, superbamente eseguita dall'orchestra e dal cast. La prima è stata diretta con vigore e precisione dal nostro Daniele Rustioni: si vocifera che sarà lui a rimpiazzare Antonio Pappano nel 2024 e, se così fosse, questo Macbeth dimostra che Covent Garden resterà in ottime mani. Sotto la sua bacchetta l'orchestra ruggisce e dà nuova vita alla partitura, grazie in particolare agli eccellenti ottoni.

Anna Pirozzi e Simon Keenlyside

Il cast non è da meno. Ero leggermente in pensiero per Simon Keenlsyde, il cui Conte d'Almaviva aveva poca voce l'estate scorsa alla Scala, ma qui è ancora in splendida forma. Certo, l'età comincia a farsi sentire e il suo timbro baritonale non è forse più ricco come un tempo, ma Keenlyside trasforma un (piccolo) limite in un'opportunità e usa delle note un po' più metalliche per delineare il conflitto interiore del suo Macbeth. Il suo Pietà, rispetto, amore resta comunque uno dei momenti più profondi e musicalmente impeccabili della serata, in cui il baritono si conferma ancora un interprete di rara sensibilità. Accanto a lui Anna Pirozzi è una Lady straordinaria che, giustamente, ottiene la maggiore ovazione della serata. Una grande presenza scenica, una recitazione intelligente che mescola spietatezze e compassione e una voce che rende pienamente giustizia alle arie e duetti assegnatele da Verdi renda la sua Lady Macbeth un trionfo sotto tutti i punti di vista: le sue Vieni t'affretta, La luce langue (un'aggiunta dell'edizione del 1865) e Una macchia è qui tuttora sono delle autentiche – e applauditissime – gemme.


Pirozzi e Keenlsyde non sono sicuramente le uniche eccellenze in scena. Günther Groissböck è un Banquo carismatico che vorremmo non smettesse mai di cantare, anche se ci dobbiamo accontentare di un ottimo Come dal ciel precipita. Un altro che non dovrebbe mai smettere di cantare è David Junghoon Kim che, nel ruolo di Macduff, commuove con una struggente Ah, la paterna mano, l'unica aria tenorile dell'opera. Completano il cast i giovani Egor Zhuravskii (Malcolm), April Koyejo-Audiger (Dama di Lady Macbeth) e Blaise Malaba (Dottore), tutti dotati di splendide voce e grande presenza scenica, come le loro future carriere sicuramente dimostreranno.

Le streghe

L'unica nota che, se non stonata, risulta almeno dolente, sono i momenti corali. O meglio, alcuni di essi. Oltre a tagliare Lady Macduff, incattivire ulteriormente Lady Macbeth e svariati altri cambiamenti del testo shakespeariano, Verdi moltiplica le streghe, che da tre diventano un coro. Nella visione della Lloyd queste "veggenti" sono ubique e implacabili, conoscitrici di misteri arcani e vero motore della tragedia. Le streghe spostano la scenografia, consegnano lettere, salvano Fleance dagli assassini ed incombono nel momento dell'incoronazione di Malcolm, suggerendo così futuri risvolti tragici che turberanno l'ordine appena stabilito. Con i loro turbanti rossi e il monosopracciglio (alas, niente barba!), le streghe hanno un grande impatto visivo, ma non sono altrettanto ben riuscite a livello acustico: cantano bene, ma la dizione è povera ed è impossibile sentire più di un paio di parole qua e là. È un peccato, anche perché a loro vengono affidati gli inizi del primo e del terzo atto, il cui impatto viene leggermente tarpato da un esordio non brillantissimo. Decisamente meglio riusciti sono i momenti corali di Si colmi il calice (in cui la Pirozzi regna sovrana, in tutti i sensi) e la meravigliosa Patria oppressa!: il tabelau di profughi orchestrato dalla Lloyd nel 2002 si dimostra tragicamente attuale.

In breve. Due grandi talenti italiani sono il cuore di un Macbeth musicalmente superbo e, in particolare, la direzione musicale di Rustioni suggerisce che non dovrà ricorrere al regicidio per rimpiazzare Pappano.


★★★½

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