Cleansed al National Theatre
Benvenuti nel mondo di Sarah Kane, controversa drammaturga inglese che negli ultimi anni del Novecento ha presentato al pubblico londinese cinque drammi molto violenti e dibattuti, prima di impiccarsi all'età di 28 anni. Tra questi cinque, nessuno è più violento e dibattuto di Cleansed, Purificati, il terzo dramma della Kane. La leggenda racconta che Sarah abbia trovato l'ispirazione in un saggio del critico Roland Bartes che afferma "essere innamorato è come essere ad Auschwitz". E questa è anche un perfetto riassunto della trama: i cinque personaggi principali verranno brutalmente torturati e martoriati nel corso dei cento minuti del dramma per l'amore che li lega tra loro.
Ambientato in quello che sembra un ospedale psichiatrico abbandonato, la prima scena ci presenta Tinker, l'aguzzino, che inietta eroina nelle palpebre di Graham e questo scatena tutti gli eventi che seguono. La sorella di Graham, Grace, che lo ama forse anche più del dovuto, lo viene a cercare e pagherà il prezzo del suo amore con l'elettroshock (esperienza vissuta in prima persona dalla Kane) e con un trapianto di genitali maschili per diventare identica a Graham. La coppia gay costituita da Carl e Rod passa anche attraverso momenti peggiori: per mostrare a Carl che anche l'amore può essere piegato, Tinker lo impala parzialmente, gli taglia la lingua, le mani, i piedi e il pene (proprio quello che impianterà a Grace) e infine uccide Rod. Robin, un ragazzino innamorato di Grace, verrà umiliato fino ad essere spinto al suicidio. Una ballerina viene fucilata perché innamorata - e corrisposta - da Tinker. Alla fine, quando anche gli aguzzini lasciano il palco, Grace - ora Graham - si scatena in una violenta danza per esprimere il suo dolore o, forse, una gioia selvaggia per essere l'unica ancora in vita sul palco.
Cleansed è un dramma violento ed esplicito: si vedono corpi nudi, sesso e sangue, torture, omicidi, stupri e un suicido. Alcune scene sono così brutali che ogni sera dal debutto diversi spettatori hanno lasciato la sala durante il corso della rappresentazione; una donna seduta nella fila davanti alla mia è svenuta e, una volta tornata in sé, il marito ha passato il resto del tempo a sussurrare quando poteva guardare e quando doveva distogliere lo sguardo. La violenza, spesso gratuita e sopra le righe, è una costante del teatro della Kane; lei ha sempre difeso questa scelta sostenendo che il suo tentativo è quello di mettere in scena quello che si credeva inscenabile, spingere le barriere del realismo sulla scena fino a dove non erano mai state spinte prima. Fair enough. "Non c'è niente che non si possa raffigurare su un palco" ha detto la Kane "Se dici che non puoi inscenare qualcosa, dici che non puoi parlarne, ne stai negando l'esistenza e questa è una cosa straordinariamente ignorante da fare". E' un ragionamento che ha una sua logica, non c'è che dire. Il problema però è che l'approccio della regista Katie Mitchell tende ad essere, per usare una parola un po' troppo esagerata, quasi puritano. Sia chiaro, l'efferatezze, il nudo e la tortura avvengono come da copione, ma non c'è quell'esaltazione del massacro, quello spingere oltre le barriere del teatro che la Kane tanto bramava. E' come se Woody Allen dirigesse un film su una sceneggiatura di Tarantino, non può ignorare la violenza ma la minimizza quando può. Certo, un piede mozzato in scena è un piede mozzato in scena, la violenza e tanta e forte da guardare (mentirei se dicessi di non aver mai distolto lo sguardo), ma quando l'amputazione finisce si passa oltre e fine. Le vittime gemono sommessamente, ma nessuno grida per il dolore. E alcune scene, nel contesto, appaiono quasi pudiche. Il risultato è un "vorrei ma non posso", che preferisco interpretare come un non voler cedere al gusto del massacro piuttosto che come un tentativo di rendere più commestibile un testo indigesto.
E, svenimenti a parte, ho sentito parecchi - e non molto educati - sbadigli: se lo scopo è scioccare qualcosa è andato chiaramente storto. Alcuni momenti hanno decisamente una loro poesia, come quando gli scagnozzi di Tinker (il cui nome pare sia stato ispirato dal critico teatrale Jack Tinker, fiero stroncatore di tutte le opere della Kane) camminano al rallentatore stringendo mazzi di fiori bianchi, ma credo che il sentimento generale sia soprattutto di perplessità. Perché, alla resa dei conti, rimane la domanda: cosa sto vedendo? Forse è tutto un incubo di Graham dovuto a un'overdose di eroina o forse è semplicemente quello che vediamo: persone torturate perché amano altre persone. E, forse, c'è addirittura un messaggio positivo: Carl continua ad amare Rod anche dopo essere stato mutilato ed evirato, solo la morte del fidanzato pone effettivamente fine alla loro relazione.
Certo, è uno spettacolo molto duro da portare in scena: gli attori non devono solo superare il comprensibile blocco di apparire nudi davanti a centinaia di persone, ma quelli che interpretano sono ruoli che richiedono di portate alla luce le loro parti più oscure (non solo letteralmente), sono parti che logorano e affaticano un attore oltre a ogni dire. Graham Butler (Riccardo II) è un bravo Graham, Natalia Klamar è un'inquietante ballerina, Matthew Tennyson è un Robin dolce e indifeso e Michelle Terry dà davvero l'anima nel ruolo di Grace. Tom Mothersdale riesce addirittura nella titanica impresa di far provare quasi compassione per il tormentato Tinker; Peter Hobday (Carl) e George Taylor (Rod) non fanno altro che essere torturati, ma lo fanno con stile.
La domanda di fondo, però, resta: è uno spettacolo valido o è una provocazione fine a sé stessa? Sarah Kane è stata un modello per giovani scrittori e ha portato qualcosa di nuovo e innovativo al teatro inglese, ma quanto di quello che ha scritto è valido oggi e non è semplicemente un grido di aiuto da parte di una donna molto malata (il suo ultimo dramma, Psychosis 4.48, rappresentato postumo, è chiaramente una lettera di un suicida)? Oggi, dopo sette episodi della saga di Saw e il successo dei film splatter, questo testo ci dice ancora qualcosa se togliamo la violenza? O forse, questo testo scritto all'indomani del genocidio in Bosnia, un testo che grida "Olocausto!" da tutte le parti, ha detto tutto quello che doveva dire? Io non lo so, forse un regista più coraggioso della Mitchell ha la risposta. Questa produzione ha due problemi. Il primo è la regista, che non ha capito che se balli col diavolo ti conviene stringerti forte o lasciar perdere. L'altro è il testo di per sé, un'opera praticamente unica nella storia del teatro scritta da una grande ribelle. E, come si sa, il banco di prova per i ribelli è il tempo: alcuni lo superano brillantemente è diventato dei pionieri, altri si rivelano essere solo dei provocatori e finiscono nel dimenticatoio. Forse, a diciotto anni dal debutto al Royal Court, non è ancora passato abbastanza tempo per esprimere un vero e proprio giudizio su Cleansed.
★★★
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