Macbeth all'Almeida Theatre
In realtà la regia della Farber non porta i protagonisti in territori inesplorati e le dinamiche di coppia dei Macbeth non sono diverse da quelle che vengono portate in scena solitamente: Lady M spinge il marito al regicidio e ne raccoglie i pezzi quando l'uomo crolla dopo il delitto, per poi invertire i ruoli e assumere la posizione dominante mentre la moglie scivola nel senso di colpa e nella pazzia. L'intera messa in scena della regista, del resto, non è bizzarra o estrema quanto si sarebbe potuto immaginare (o temere) e il risultato finale è un solido Macbeth che regala bei tableau e forti emozioni. Il primo atto (che termina con l'omicidio di Banquo) fatica a trovare sia un proprio ritmo che un proprio stile, ma nella seconda metà della serata la Farber riaggiusta il tiro e presenta un prodotto più coeso e coerente. Certo, alcuni dei suoi tic registici ci sono sempre – la musica dal vivo, una donna che canta, momenti ritualistici (bellissimo il masque delle streghe nel secondo atto), un grande interesse negli elementi naturali (sia il fuoco che l'acqua svolgono un ruolo di rilievo nelle ultime scene) – ma in Macbeth questi sono sia più appropriati che meglio calibrati rispetto ad altre opere dirette in precedenza dalla regista.
Il tempo sembra svolgere un ruolo di primo piano nella produzione dell'Almeida: da quando una delle tre streghe – le ottime Diane Fletcher, Maureen Hibbert e Valerie Lilley – rivela l'orologio che sovrasta il palco, il tempo dell'azione e il tempo interiore in cui si muovono i personaggi sembra mutare e dilatarsi. Una settimana fa abbiamo sentito Cush Jumbo dire che "the time is out of joint" in Amleto (un'altra tragedia molto interessata alla soggettività del trascorrere del tempo) e anche qui potremmo dire qualcosa di simile. Macbeth ferma il tempo, distrugge il tempo, si colloca fuori dal tempo quando uccide re Duncan (un debole William Gaunt) ed esso torna a scorrere regolarmente solo dopo l'uccisione del regicida: "the time is free", annuncia Macduff (il bravo Emun Elliott) sopra il cadavere di Macbeth. "Domani, e domani e domani striscia a piccoli passi, di giorno in giorno, fino all'ultima sillaba del tempo prescritto" dice Macbeth nel suo ultimo, celebre soliloquio e forse più che in ogni altro allestimento recente di Macbeth è proprio il concetto del tempo su cui la regia ci fa riflettere. Le streghe dal sapore beckettiano concludono la tragedia così come la iniziano, mostrandoci come il ciclo degli orrori e delle vicende è pronto a riniziare con un nuovo protagonista, in un carosello tanto infinito quanto sanguinario.
La tanto attesa Saoirse Ronan è una brava Lady Macbeth. Più una first lady che una regina, la Lady M della Ronan dà il meglio di sé nella seconda parte della tragedia: se è vero che nelle prime scene non risulta feroce quanto potrebbe, è dopo l'omicidio di Duncan che mostra tutta la sua spietata freddezza. L'attrice brilla quando interpreta una lady M intenta ad incantare i propri ospiti, come al banchetto dopo l'incoronazione, in cui mostra il suo talento non solo come affabile padrona di casa, ma anche come un'astuta politica capace di rimediare rapidamente agli errori (o deliri) del marito. Ottima è la chimica con James McArdle (già suo marito nel film Ammonite): i Macbeth sono una coppia unita e piena di passione e nello sgretolamento del loro rapporto dopo gli omicidi vediamo il vero fulcro della loro rovina. Come la Ronan, anche McCardle alterna momenti di grande emotività ad altri di crudele pragmatismo e il suo è un Macbeth intrappolato in un gioco più grande di lui, ma di cui finisce per imparare le regole diventando non solo un complice, ma l'artefice di nuove nefandezze. È tuttavia nel rimorso che l'interpretazione di McArdle raggiunge il massimo e l'attore non è mai intenso e toccante come quando seduto sul bordo del letto sussurra con voce incrinata "I am in blood".
Se la prova d'attore dei due protagonisti non raggiunge mai i livelli di introspezione che potremmo aspettarci da artisti del loro calibro, la colpa non è la loro. Ci sono allestimenti di Macbeth in cui i due protagonisti sono l'intera opera e il successo o il fallimento della messa in scena pesa unicamente sulle loro spalle – sto pensando ad esempio al celebre Macbeth diretto da Trevor Nunn nel 1976, in cui Ian McKellen e Judi Dench regalavano una terrificante discesa nella corruzione dell'animo umano su un palco virtualmente deserto. Il Macbeth che potrete vedere all'Almeida è teatro d'auteur, in cui le scelte estetiche e registiche della Farber rimangono sempre in primo piano. In questo caso i Macbeth sono sicuramente importanti, ma dei tasselli di un mosaico più grande invece che dei pilastri portanti. Nonostante la durata insolita, questo è un Macbeth che favorisce l'azione allo scavo psicologico e scene di grande impatto visivo al lacerante e sottile smembramento di un'anima corrotta. Il risultato finale funziona, avvince e cancella i brutti ricordi che il pubblico londinese si porta dietro da ormai tre anni. Resta comunque un po' un peccato che con attori del genere non si raggiungano mai le vette (o gli abissi) emotivi e psicologici che Macbeth si presta bene ad esplorare.
In breve. Saoirse Ronan fa un bel debutto sulle scene britanniche in un Macbeth intenso e avvincente che lascia poco spazio agli attori.
Nessun commento:
Posta un commento